CHI DELLA FOLLA, INVECE,

CHI DELLA FOLLA, INVECE,
UN LIBRO ANCORA DA SCRIVERE: UPTON SINCLAIR

mercoledì 8 agosto 2012

BLUE NOTES






















































I'm gonna lay my head on some railroad line
I'm gonna lay my head on some railroad line
An' let that two-nineteen train pacify my min'.

(Appoggerò la testa su qualche binario ferroviario/
  appoggerò la testa su qualche binario ferroviario/
  e lascerò che il treno delle due e diciannove dia
  pace alla mia mente./)

La progressione armonica tipica del blues - nella sua forma consolidata -
è quella di tonica-sottodominante-dominante; altrettanto tipica di questa
forma musicale è la cosiddetta 'scala di blues', in cui il terzo e il settimo
grado della scala maggiore sono leggermente abbassati e sono detti...
'blue notes'.
Questa lieve alterazione di alcuni valori della scala diatonica è, secondo
l'opinione dei più, il risultato di un adattamento di un'originaria scala afri-
cana, di cinque toni, senza semitoni, alla scala europea.


























Meglio ancora: il risultato finale di un conflitto fra due concezioni musicali
molto diverse fra loro.
Non è forse inutile avvertire a questo proposito che è alquanto arbitrario,
ed è per lo meno una forzatura, cercare di spiegare una musica non rigo-
rosamente diatonica, armonicamente ambigua, nei termini di una musica
che appartiene a una diversa cultura: quella occidentale, bianca.
La melodia blues - scrive Roberto Leydi - si articola prima di tutto in un
gioco sottilissimo, percettibile e impercettibile, di domande e risposte, in-
terne ed esterne.
Se prendiamo una qualsiasi melodia blues messa giù sulla carta, non esitia-
mo un istante a riconoscere l'inizio in levare, cioè sul tempo debole. E pu-
re vediamo subito come, pur essendo senza alcun dubbio impiantata su
quattro battute, la melodia 'ascoltabile' occupa soltanto due battute e mez-
za interamente occupata dalla pausa.


























E proprio su parte di questa pausa inizia la seconda frase, in modo da
usufruire del battere in pausa, come premessa al proprio levare di par-
tenza.
Riconoscere ciò è già affermare il carattere antifonico del blues....
L'impianto antifonale del blues, il suo tempo prevalentemente lento, la
sua incertezza tonale, il suo quasi biologico respiro ritmico fondato su
un tempo binario, la sua tradizionale progressione armonica, la semplici-
tà della struttura strofica che fa leva sull'iterazione, la sua estrema dutti-
lità, costituiscono alcuni degli elementi che hanno reso il blues una piat-
taforma ideale per l'improvvisazione dei cantanti e in seguito degli stru-
mentisti del jazz.
Di più: col passare degli anni, che ne hanno accresciuto enormemente
la popolarità, il blues ha finito per assumere la funzione di una struttura
linguistica perfettamente nota, in tutte le sue sottigliezze, in tutte le sue
risorse semantiche, sia agli esecutori che agli ascoltatori, divenendo
così il perfetto veicolo per ogni tipo di messaggio che abbia significa-
to nel particolare ambito in cui si muovono gli uomini del jazz.....





















In nessuna delle tante forme in cui si è manifestata la musicalità dei
negri americani è altrettanto chiaramente riconoscibile il retaggio an-
cestrale dell'ambiguità del linguaggio africano.
Al riguardo meritano di essere richiamate le osservazioni di Ernest
Borneman, antropologo prima ancora che profondo studioso del
jazz delle origini:
'Mentre la tradizione europea tende alla regolarità - di intonazione,
di tempo, di timbro e di vibrato - quella africana tende invece a ne-
gare questi valori. Nel linguaggio, per esempio, si preferiscono le
circonlocuzioni alle definizioni precise: un'affermazione senza peri-
frasi è considerata quasi brutale, e ad ogni modo non sufficiente-
mente espressiva, mentre è considerata segno di intelligenza e di
personalità l'invenzione di perifrasi sempre diverse.
Una eguale propensione per il discorso obliquo o ellittico la ritro-
viamo nella musica: una nota non è mai attaccata in maniera diret-
ta, ma lo strumento e la voce le si avvicinano dall'alto o dal basso,
giocano intorno alla sua altezza senza mai soffermarvisi, e se ne
staccano lasciandola in tutta la sua ambiguità'.




















Questa ambiguità di fondo, l'instabilità tonale, l'incertezza modale,
la mutevolezza, la duttilità, la ricchezza timbrica (caratteristica an-
che della voce del negro che canta...) trovano un singolare ma non
casuale riscontro nella poetica stessa del blues.
Il 'blues singer' passa infatti con volubilità da un soggetto all'altro,
muta improvvisamente il filo del discorso, che si fa oscuramente
allusivo.
I blues singer hanno sempre parlato di 'double talk' (linguaggio
cifrato, si potrebbe tradurre) delle loro canzoni, del fatto cioè che
in realtà quello che cantano non è la stessa cosa di quello che pen-
sano. In ogni canzone blues è celato un segreto.
In quasi ogni verso è nascosto qualcosa....
Certe oscure allusioni, certi ammiccamenti, certe ambiguità, i 'dou-
ble talks', che rappresentano spesso dei rompicapo per gli studio-
si del blues, debbono essere messi in relazione anche con la diffi-
cile situazione in cui si trovava il negro schiavo e in cui si trovò poi
il negro amancipato, e che costrinse l'uno e l'altro a tener nascosti
per secoli i propri sentimenti e i propri pensieri all'uomo bianco.
Anche quando, dopo il 1865, tutti i negri furono liberati, non ven-
ne infatti meno la loro necessità di difendersi, facendo blocco fra
loro, e parlando, per cominciare, in gergo....
(A. Polillo, Jazz)



Prosegue in:

http://dialoghiconpietroautier.myblog.it/archive/2011/05/28/era-sempre-vita-da-piantagione.html

http://paginedistoria.myblog.it/archive/2011/05/29/non-ora-signor-greensnake.html














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