CHI DELLA FOLLA, INVECE,

CHI DELLA FOLLA, INVECE,
UN LIBRO ANCORA DA SCRIVERE: UPTON SINCLAIR

lunedì 6 agosto 2012

UN BUSINESS CHE SPARA













































Di tutte le definizioni, la più riuscita mi sembra quella di Mario Puzo:
'La mafia è un 'business' come un altro, con la differenza che ogni  tanto
spara'.
Per saperne qualcosa di più scrissi a Edgar Hoover, il vecchio capo dell'-
FBI. Nella lettera di risposta la frase più lunga era la firma!
L'argomento è sempre di grande attualità: hanno pubblicato anche un libro
di cucina attribuito a un certo Joe Cipolla, che insegna come preparare i
pomodori alla 'don' e l'agnello alla 'consigliori'.
Ci sono specialisti, come il reporter Nicholas Pileggi, o l'ex poliziotto Ral-
ph Salerno, che non si occupano d'altro.
Il film 'Il Padrino', che narra le imprese di Vito Corleone, uomo d'onore e
pezzo da novanta, ha cancellato, dalla classifica degli incassi, Rossella O'-
Hara, la struggente fanciulla di 'Via col vento'.


























Ha detto il superstite Meyer Lansky, considerato il banchiere dell'organiz-
zazione: 'Siamo importanti, siamo più grossi dell'United Steel'.
Mi sarebbe piaciuto dare un'occhiata all'impresa, chiacchierare con qual-
cuno, osservarla un po' da dentro.
Ricordai una frase di Puzo, letta in qualche intervista: 'Amicizie e favori:
incontrai un tipo simpatico, ti dà una mano quando ne hai bisogno, lo ri-
pagherai un giorno o l'altro'.
Telefonai a un collega, un cronista svelto, che a Little Italy e a Brooklyn
ha buone conoscenze; fu lui che combinò l'incontro.
Fhater Louis Gigante mi diede appuntamento una sera da Rafaela, al Vil-
lage; è il classico ristorante italo-americano, con il juke-box che suona
soprattutto dischi di Frank Sinatra, i quadri col Vesuvio e i Faraglioni, i
fiaschi di Chianti, nell'aria un sottile e penetrante odore di aglio e soffritto.
Padre Louis sta nel Bronx, amministra una parrocchia di portoricani inva-
sa dalla droga.




















E' un robusto giovanotto dalla faccia aperta, fuma grossi sigari, ride di
cuore; ha tentato anche la politica, voleva entrare al Congresso ma non
ce l'ha fatta.
Arrivò su una lunga macchina guidata dalla segretaria; nel locale si muo-
veva come uno di casa, la padrona gli fece molta festa. Ci mise in una
saletta e, quando entrava uno sconosciuto, la musica di un nastro che
andava di continuo saliva di volume.
Una precauzione.
- Padre,
osservai,
- tra poco non ci sentiremo neppure tra noi.
Il diluvio di note si placò.
Gli dissi come vedevo la storia: ero pronto ad ascoltare e a riferire con
scrupolo, niente scherzi, forse sarebbe stato bene spiegare perché, fra
tanti immigrati, c'era chi non voleva fare il sarto o il barbiere, o pulire le
strade, chi non sopportava di essere tenuto fuori dal mondo e sfruttato.
Avevano capito che in America senza soldi non sei nulla!
Ne vollero tanti, e alla svelta.
Molti non sapevano né leggere né scrivere, molti dicono ancora adesso
'carusi' per bambini, e 'giobbo' per lavoro.
Citai, con un po' di vergogna, Enrico Fermi e Al Capone: non siamo tut-
ti uguali. Ci sono stati anche un Dillinger, e Bonnie e Clyde, e non erano
di Castellammare del Golfo.





























Ricordai le offese che i piccoli siciliani, i piccoli napoletani sbarcati con
la valigia di fibra e il bottiglione dell'olio a Ellis Island, avevano sopporta-
to. Li chiamavano 'testa di brillantina', per quei capelli lucidi e diversi dal-
la riga, come li portava Rodolfo Valentino nel 'Figlio dello sceicco', 'dra-
go', che vuol dire uno che viene dall'Italia, o 'ginzo', individuo di razza la-
tina, o 'maccaroni', che non ha bisogno di spiegazioni.
Un ragazzo su cento andava a scuola; gli altri crescevano sui marciapie-
di di Hell's Kitchen, picchiandosi coi polacchi o gli irlandesi, andando a
rubare alla ferrovia o ai carrettini della frutta.
Anticipai, insomma, le ragioni della difesa.
- Well,
disse father Gigante, soffiando verso il soffitto anelli di fumo, o fissando
il bicchiere opaco di whisky.
- Chi vuoi vedere?


























- Qualcuno che abbia un nome o dei fatti da raccontare. E' morto da po-
co Joe Adonis, da mesi nessuno sa niente di Joe Colombo, ho visto che
il libro di Gay Talese, 'Onora il padre', marcia forte.
- Magari Frank Costello; sarebbe bello se parlasse.
- Ha ottant'anni,
disse padre Luigi.
- Non sta più a Central Park, ma si è spostato verso Long Island. E' una
specie di pensionato, un pensionato multimiliardiario. E' molto stimato.
Ma non ho niente a che fare con lui. Vive solo, con la moglie: è stato un
buon marito.
- Lo sono quasi tutti: ho letto che la signora O'Bannion, vedova del noto
gangster di Chicago, ha fatto scrivere sulla tomba del compianto marito
una sola frase: 'Amore mio'.
- Costello aveva cervello, molto cervello; a un tizio che gli chiese qual
era stato il suo primo delitto, rispose: 'Nascere italiano'.
- Fu combattuto dai politicanti, e molti dovevano a lui il posto.
- Certo è un personaggio che sa sempre controllarsi.




















- D'accordo.
- Ha conosciuto, per caso Lucky Luciano?
- Per caso. Mi trovavo a Napoli, in vacanza. Non so come, ma gli dis-
sero che ero di passaggio e mi invitò a cena, da Giuseppone del mare.
Non so perché volle vedermi. Fu una serata estremamente piacevole,
parlammo di tante cose e mi spiegò perché Vito Genovese doveva la-
sciare l'America e ritornare al paese; prima o poi avrebbero montato
delle accuse contro di lui, per cacciarlo dentro.
E così fu.






















- Luciano era una persona notevole; tutti infatti, lo chiamavano 'capo',
anche i big degli affari per intenderci. Lo chiusero in carcere perché
gestiva bordelli; non riesco a credere che un individuo capace di accu-
mulare milioni e milioni di dollari con attività illegali finisca dai magistra-
ti perché manovra prostitute. Ma a quei tempi c'era Tom Dewey, il
giovane procuratore generale, che voleva mettersi in luce con un pro-
cesso clamoroso. Per tre volte riuscì infatti a farsi eleggere governato-
re.
- Luciano rese apprezzati servizi agli Stati Uniti in guerra, col suo inter-
vento evitò sabotaggi e fastidi alle navi che attraccavano a New York,
facilitò lo sbarco alleato in Sicilia, stabilì collegamenti con gli amici dell'-
isola. In cambio ottenne la libertà e il rimpatrio. Meglio, in tutti i modi,
che cinquant'anni di penitenziario. Raccontano che, al momento della
partenza, quando il piroscafo cominciò a staccarsi lentamente dalla ban-
china, tutti i portuali si erano schierati sui moli, agitando le mani come
per dire: 'ARRIVEDERCI...., TORNA PRESTO LUCKY!!'.
(E. Biagi, America)


Prosegue in:

http://dialoghiconpietroautier.myblog.it/archive/2012/08/06/un-business-che-spara-2.html &

http://paginedistoria.myblog.it/archive/2012/08/06/un-business-che-spara-3.html










 

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