CHI DELLA FOLLA, INVECE,

CHI DELLA FOLLA, INVECE,
UN LIBRO ANCORA DA SCRIVERE: UPTON SINCLAIR

sabato 11 agosto 2012

CHICAGO













 

Chicago mi era sempre parso il luogo più seducente del mondo, ogni volta
che sentivo gli amici nella sala da biliardo di Frank Holliday che parlavano
dei loro viaggi.
Mi affascinava come i camerieri delle carrozze ristorante e i facchini delle
carrozze di prima classe parlavano di Chicago e raccontavano storie roman-
tiche sulla vita notturna del South Side.
Quando ci arrivai nel 1930, Chicago era ancora più luccicante, ma ci restam-
mo un giorno soltanto, per suonare al Savoy Ball-room, prima di andare sul-
la Costa Occidentale per partecipare al film di Amos e Andy.
Ci tornai venerdì 13 febbraio 1931, a suonare per otto settimane nei teatri
gestiti da Balaban e Katz, e allora la vidi bene e ne sentii le vibrazioni.
















La cosa che faceva più impressione era l'insieme del South-Side.
Era una vera comunità dove vigeva il principio: 'Io do una cosa a te, tu ne
dai una a me'.
Una comunità che aveva dodici neri milionari, nessun nero faceva la fame,
nessun nero si lamentava o piangeva, e nessuno di loro era uno zio Tom.
Gli uomini e le donne era rispettati ed erano gente di grande dignità, dot-
tori, avvocati, politici, lustrascarpe, barbieri, estetisti, baristi, portieri not-
turni, tassisti e padroncini, macellai, proprietari di locali notturni, distillato-
ri clandestini.
Un po' di tutto, ma non drogati.


























Chicago allora era tutto ciò che raccontavano nella sala da biliardo: il cen-
tro - il cosiddetto Loop - i cabaret, il maggior nodo ferroviario del mondo,
grandi spiagge sul lago Michigan lungo tutta Chicago, la vita di città, la vita
di periferia, i quartieri di lusso e i quartieri all'apparenza degradati dove pe-
rò ci si divertiva più che in qualsiasi altra zona della città.
In quel periodo si cominciarono a sentire alla radio e a leggere su tutti i gior-
nali le storie dei gangster e di Al Capone. Mi presentarono a Sam Ablon,
un tale che era ritenuto uno dei capi della malavita e diventammo buoni a-
mici.


























Veniva spesso a prenderci dopo lo spettacolo, a me e a Sonny Greer, e
ce ne stavamo a bere tutta la notte. Lui si ubriacava e noi pure, finché
non superavamo il segno ed era ora di andare a casa.
- Bene, carissimo,
dicevamo.
- Ti portiamo noi a casa, Sam. Non ti scoccerà nessuno.
Suonavamo in teatri come l'Oriental e il Regal, mi ricordo quella volta
che eravamo al Paradise nel West Side, e allora era consuetudine che
chi aveva il nome in cartellone venisse taglieggiato.
Fu il direttore, Sam Fleischnik, ad avvertirmi che avevo avuto visite.
- Stamattina sono passati dei ragazzi della mala,
mi spiegò,
- E hanno detto che Duke Ellington deve sganciare 500 dollari, altri-
menti chiamano 'il prete' (il boss protettore) e non potrà più suonare.
















Sai che gli ho risposto?
- Cosa gli hai risposto?
- Gli ho detto che tutti i ragazzi della band hanno la pistola, nessuno e-
scluso, e che se la sarebbero vista con noi.
- Sei fuori di testa,
dissi, cercando di riprendermi.
Quella sera, finiti i nostri quattro spettacoli, ritornavamo verso il South-
Side quando al semaforo ci si avvicinò una macchina.
Ci puntò un faro addosso e ci spaventammo a morte.
- Scusate,
disse una voce.
- Stiamo cercando una persona!
(Duke Ellington, La musica è la mia signora)


Prosegue in:

http://dialoghiconpietroautier.myblog.it/archive/2012/08/11/chicago-2.html &

http://paginedistoria.myblog.it/archive/2012/08/11/chicago-3.html










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