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Se nel
senso comune il termine ‘divinazione’ (o ‘mantica’)
pare indicare qualche remota pratica dell’antichità, disancorata dalle nostre
consuetudini, riflettendo su espressioni più usuali (per esempio “augùri”, “di
buon auspicio” e così via) scopriamo che queste celano legami con antiche scienze
della previsione e rituali propiziatori. Le une e gli altri hanno lasciato un
segno nel nostro linguaggio e, seppur trasfigurati, permangono nel nostro
contesto culturale.
Il vocabolo
‘augùrio’ deriva dal latino ‘augurium’, che indicava il presagio
tratto dal comportamento degli uccelli, dalla cui interpretazione i sacerdoti
dell’antica Roma potevano conoscere la volontà degli Déi e il futuro. Così, quando
auguriamo a qualcuno che si realizzi un evento positivo, esprimiamo un ‘auspicio’ (da
avis, ‘uccello’ e ‘specio’, ‘osservo’), cioè ci riferiamo inconsapevolmente
all’osservazione del volo degli uccelli.
Nella nostra cultura, di matrice giudaico-cristiana, l’arte divinatoria è classificata come ‘superstizione’, osteggiata sia dalla religione (per la quale è un tentativo profano e illegittimo di conoscere l’inconoscibile) sia dalla scienza (la cui estensione capillare e profonda nel nostro immaginario ha braccato senza tregua i residui di credenze nei presagi, negli oracoli, nelle profezie). La divinazione ricopre nella nostra società un ruolo marginale: ciò rispecchia la priorità attribuita alla religione cristiana rispetto ad altri insiemi di credenze, riti e culti con cui l’uomo riconosce e onora l’esistenza di un ordine superiore. Nella nostra cultura, pertanto, vige una separazione tra pensiero religioso e pensiero magico-divinatorio, riconosciuta anche dall’etica aconfessionale. Al contrario, presso contesti culturali diversi, come nelle civiltà greca, romana e mesopotamica, divinazione e religione sono inscindibili, si articolano l’una nell’altra e insieme danno forma a ciò che indichiamo come ‘pensiero magico-religioso’.
Proiettare il proprio sguardo nel futuro, precorrere l’avvenire, penetrare i meccanismi del presente, squarciare il velo dell’ignoto e celebrare il Sacro sono reazioni umane nei confronti dell’aspetto incomprensibile della realtà, dell’inesprimibile e affascinante mistero di essere al mondo.
(S. Tonutti)
Come
sarebbe valutato il ruolo attuale dell’umanità su questo pianeta alla luce
delle Filosofie del passato?
Qualunque
delle grandi Filosofie scegliessimo come valida, il nostro ruolo attuale
riceverebbe un giudizio negativo. Infatti, esso è in contrasto con le priorità
di valore proclamate da tutti questi sistemi. Ciò vale per l’aristotelismo, il
buddismo, il confucianesimo e le altre grandi filosofie degli ultimi duemila
anni.
I
più grandi sistemi filosofici distinguono nettamente tra ciò che è grande da un
punto di vista quantitativo e ciò che lo è da un punto di vista qualitativo. Si
ricerca la grandezza in senso Spirituale, non le grandi dimensioni.
Si riconosce l’importanza della tecnologia, ma al primo posto vi sono i valori culturali. La qualità della vita non è messa in relazione con un consumo insensato. Le grandi filosofie richiedono alle persone di valutare le conseguenze a distanza delle proprie azioni e la prospettiva utilizzata deve essere universale nel Tempo e nello Spazio. Nessuno dei grandi filosofi considerava i rapporti di mercato e i modi di produzione come fonti di norme per lo stato, la società o l’individuo.
(A. Naess)
Presso tutti i popoli, il pensiero magico-religioso nelle sue più disparate manifestazioni accoglie le pressioni conoscitive dell’uomo, i suoi timori, la sua esigenza ordinatrice, la sua devozione intima: di risposta attribuisce significato a ciò che è oscuro, nomina ciò che è indicibile, mette ordine nel caos, stabilisce un codice di espressione del culto, genera un repertorio di riferimenti simbolici da condividere nel gruppo. Più in particolare, nella mantica trovano un tentativo di risoluzione gli aspetti della condizione umana che generano la vertigine del vuoto conoscitivo e la paralisi nell’azione.
Che cosa
offre all’uomo la divinazione, scienza che Cicerone
nel De divinatione definiva ‘intuizione
e apprendimento delle cose future’?
Appunto la
tecnica per conoscere l’avvenire, per decidere il presente, per interpretare il
linguaggio delle divinità. Essa è, innanzitutto, tecnica e azione. Anche nella
nostra cultura emergono, seppure abbozzati, questi tratti salienti delle
pratiche divinatorie: per queste non c’è spazio nel complesso delle credenze
istituzionalizzate, né riconoscimento all’interno delle forme del pensiero ufficiale.
Tuttavia il ricorso alla consultazione divinatoria non solo ci appartiene per tradizione, ma è un fenomeno in crescita presso tutti i gruppi sociali: che sia binaria (il ‘testa o croce’ della moneta) o precognitiva (predizione del futuro), che utilizzi i tarocchi, interpreti i sogni o la posizione delle stelle, la divinazione, assieme alla magia, risponde al desiderio umano di conoscere le cose a venire, pone le condizioni per favorire la scelta e l’azione dell’uomo in situazioni ambigue, rischiose, di dubbio.
L’analisi delle nostre tradizioni popolari ci dimostra come le ritualità connesse alle pratiche magico-divinatorie spesso integrino le credenze religiose: in situazioni di drammatica crisi per l’uomo, esse sostituiscono l’azione alla rassegnazione, sollevano l’uomo dall’immobilità, dallo stato di impasse di fronte al destino e gli offrono uno strumento per tentare di cambiarne il percorso.
(S. Tonutti)
Il modo in cui nel regno animale si ripartiscono le iniziative di formazione degli Stati ha qualcosa di casuale. Ricorda un po’ la divisione dei numeri primi nel mondo dei numeri. Forse anche in quest’ambito, come in quello, si scoprirà una qualche regolarità. Non c’è dubbio che sussistano delle relazioni tra le caratteristiche degli organismi e la loro organizzabilità; la capacità di sviluppare tessuti cornei, fossili o minerali ne costituisce uno dei presupposti, se non addirittura l’unico.
Il
principio che agisce per formare un’organizzazione si serve di preferenza di
elementi inorganici per realizzare costruzioni organiche, come quelle, spesso
magnifiche, che compaiono tra i gruppi ‘inferiori’.
Chi osservi
un radiolare, un cuoretto o il guscio di un riccio di mare ha l’impressione che
agiscano qui forze che dimorano al di là della vita, che può darsi forniscano
un’impronta di ordine e di armonia non tanto al mondo inorganico, quanto
piuttosto a un mondo sovraorganico.
Forse questo ha qualche relazione con il fatto che, man mano che si sale a livelli più evoluti del regno animale, la costruzione degli Stati sembra farsi più rara. Anche per quanto riguarda la pura organizzazione, per gli insetti il problema sembra perfettamente risolto. Ciò non va trascurato, se si vuole caratterizzare l’uomo in quanto zoòn politikón.
La
decisione che per altre razze è già stata presa è per lui ancora sospesa, lo
stampo è ancora fluido, e questo rappresenta la sua salvezza. Di conseguenza
egli può condurre, in modo pedagogico e da autodidatta, uno studio sulla
formazione degli Stati, tanto all’interno del regno degli animali, quanto entro
il quadro offerto dalla sua propria storia: è il suo libro illustrato. Nella formazione degli Stati non è possibile rinvenire alcun
genere di progresso: questo significa cioè che le forme perfette non
compaiono solo a un livello evoluto di sviluppo, né caratterizzano solo
determinati ambiti del regno animale. Accanto alle specie sociali se ne trovano
altre, con esse strettamente imparentate, che vivono una vita solitaria.
Tracce di una simile standardizzazione si sono presentate spesso nel mondo della Storia e, occorre sottolinearlo, proprio nel mondo della Storia, il che ci porta a concludere che l’uomo secondo la sua natura, e forse anche secondo la sua umanità, non appartiene alle specie che si organizzano naturalmente in Stati, che dunque la caratterizzazione di zoón politikón non ne coglie la natura essenziale.
Anche nelle
isole più solitarie, nei luoghi dove si conservano i ‘fossili viventi’, l’uomo
ha certamente sviluppato razze particolari attraverso la separazione
millenaria, ma non ha dato origine né a uno stato biologico, né a una nuova
specie. Quando viene scoperto egli è uomo tra gli uomini e può recuperare con
un solo passo ciò che nel frattempo gli uomini ‘sviluppati’ hanno raggiunto.
Giudizi e pregiudizi, leggi e costumi che definiscono una condizione pura e incontaminata, possono innalzare montagne tra gli uomini, spalancare fratture difficilmente colmabili. È in questo paesaggio che la storia gioca la sua parte, e non si tratterebbe di storia, bensì della storia della natura, se la libera volontà non determinasse il quadro che ne traccia i confini. La riflessione risale a essa come a un’ultima istanza. Il suo momento trova sede nel tempo e può trasformare il mondo laddove lo spirito si libera dei propri limiti.
Essa è l’elemento caratterizzante la species humana e in quanto tale, sebbene nell’individuo si presenti come eccezione, determina la via e i compiti della specie e della civiltà umana attraverso i secoli. Se paragonate a ciò che per noi uomini è possibile, queste forme di separazione si rivelano effimere. In tutti i tempi hanno richiesto il sacrificio di vittime, e tuttavia non ve n’è una che non sia stata travolta dall’evoluzione o distrutta da una rivoluzione.
(E. Junger)