Prosegue con...:
Una giusta educazione pensiamo che non consista nell’armonia magnifica delle espressioni e della lingua, ma nella saggia disposizione di un pensiero razionale e nella vera opinione sul bene, sul male, sulla virtù e sul vizio.
Chiunque perciò pensi una cosa e ne insegni un’altra ai suoi discepoli, è, a mio parere, tanto lontano dall’essere un buon educatore quanto dall’essere un uomo onesto.
Se la discordanza tra il pensiero e la parola fosse su punti di scarsa importanza sarebbe un male, ma fino a un certo livello sopportabile; al contrario, se una persona in dottrine di somma importanza insegna l’opposto di ciò che pensa, non è questo il modo di agire di bottegai, e non di onesti ma di pessimi uomini, che lodano soprattutto le merci che ritengono di infima qualità, ingannando e adescando con lusinghe coloro a cui vogliono trasferire, io credo, le loro merci cattive?
Dunque, tutti quelli che dicono di insegnare dovrebbero avere un comportamento morale ed avere nell’animo pensieri non in contraddizione con quelli che professano in pubblico; io credo che dovrebbero comportarsi in tal modo soprattutto quelli che istruiscono nella retorica i giovani, commentando gli scritti antichi, tanto i retori, quanto i grammatici, e ancora più i sofisti, e i teologi, che vogliono essere più degli altri maestri non solo di letteratura, ma anche di comportamento morale ed affermano che sia loro prerogativa la filosofia politica ... e non solo...
Se sia vero o no, si tralasci per ora: io, lodandoli di aspirare ad un impegno così bello, li loderei di più, se non mentissero e se non dimostrassero di avere un pensiero in sé e di insegnare ai loro discepoli un altro.
Ma come?
Ebbene, Omero, Esiodo, Demostene, Tucidide, Isocrate e Lisianon ebbero gli Dèi maestri di ogni cultura?
Non si credettero gli uni sacri ad Ermete e gli altri alle muse?
Io credo che sia strano che chi spiega opere di questi ed altri autori neghi onore agli Dèi ed ai Santi che essi hanno onorati! Ma sebbene io pensi che questo sia strano, non dico che essi debbano insegnare ai giovani dopo aver cambiato opinione, ma concedo loro una scelta: di non insegnare le dottrine che essi non ritengono morali o, se vogliono, insegnino dapprima con l’esempio e convincano i loro allievi che né Esiodo né Omero né alcuno degli autori che essi spiegano dopo averli condannati di empietà, di stoltezza e di errore religioso.
E poiché essi dalle opere di questi autori traggono lo stipendio e il sostentamento, confessano di essere avidi di guadagni immorali e di sopportare qualunque cosa per poche dracme. Fino a questo momento erano molti i motivi che sconsigliavano di frequentare i templi ed il timore che minacciava da ogni parte faceva perdonare il dissimulare le opinioni più sincere riguardo gli Dèi; ma poiché ora gli Dèi ci hanno concesso la libertà, a me sembra illogico che gli uomini insegnino quelle dottrine che non ritengono vere.
Al contrario, se pensano che siano saggi quelli di cui spiegano le opere e si insediano, per così dire, a loro profeti, per prima cosa cerchino di emularne la religiosità verso gli Dèi (e correggendo tale Lettera specchio dei tempi ed adeguandola alla Dottrina-Filosofia, o meglio, evolvendola, come se il Pagano riproponesse se medesimo fedele alla propria Natura cresciuta alla morale di una nuova Storia ora di nuovo scritta... evoluta e più saggiamente compiuta) ripropongo quanto da lui detto....
‘vadano nelle comunità dei Cristiani, così come in quelle più antiche dei Filosofi (..se solo intendono donde un determinato principio leso e perseguitato nella falsa ragione di uno stato), nei loro Eremi e Santuari, senza la dotta saccenza che al meglio li contraddistingue; del proprio ed altrui Impero ad udire Matteo e Luca...; oppure i principi di Filosofi ancor più antichi e ancora più perseguitati, circa un comune ideale di legge e diritto divino; codesti cesari accompagnati dai loro maestri, sempre che ne siano all’altezza morale e spirituale... di intendere tal dire e parlare....
[Nobili e superiori Principi conformi alle scelte di uomini ancora perseguitati per i loro Ideali]
Ed allora potremmo comprendere chi il vero idiota che mal intende, o peggio sovrintende, pensiero e parola; chi il vero idiota il quale non riconosce l’uomo posto nel difficile concetto nel cammino della Storia, il quale ha pur elevato un Pensiero e Principio molto più profondo di quanto in realtà (apparentemente) avversava.
Un Principio certo non estraneo all’odierno cammino!
Ovvero l’avversione verso la totale mancanza di coerenza fra l’esempio del dovere e quanto in realtà seminato.
(Dedico la presente lettera a tutti coloro che sono coerenti con le loro scelte... unite ai loro impegni con sé stessi ed il prossimo.)
(L’Epistolario di Giuliano Imperatore)
La logica e il principio di non-contraddizione aristotelici, asserzioni inscindibili della coerenza, che vengono insegnate a scuola perché basilari per la costruzione del pensiero e del ragionamento congruente per la soluzione di un problema qualsiasi, oggi, in politica non hanno alcun valore.
Sin dai tempi antichi l’uomo pensante, ovvero il filosofo, si è posto di fronte alla logica, sostantivo che deriva appunto dal greco lógos che oltre a pensiero, parola, concetto, ha anche il significato di ragionamento.
Il ragionamento, dunque, è logico e, in quanto tale, permette di discernere, in sintesi, ciò che è valido da ciò che non è valido, ciò che è coerente da ciò che è incoerente, ciò che contraddice un concetto ritenuto valido dal concetto stesso, nel contempo e nel contesto.
Ciò lo asseriva Parmenide, filosofo eleatico vissuto nel VI secolo a.C., secondo cui la legge formale della non-contraddizione è la legge dell’Essere, a cui il pensiero risulta vincolato in modo necessario per dargli compiutezza e validità.
Questa dialettica si riscontra pure in Platone, per il quale la logica è la costruzione matematica delle connessioni delle idee che costituiscono la base della realtà e che confuta gli errori e i paradossi applicando il principio di non contraddizione. Questo principio, che venne formulato da Aristotele, infatti, sancisce la falsità di ogni proposizione significativa che una certa proposizione A e la sua negazione non-A, siano entrambe vere contemporaneamente e nella stessa maniera.
Ciò “è impossibile che il medesimo attributo, nel medesimo tempo, appartenga e non appartenga al medesimo oggetto e sotto il medesimo riguardo”.
Più semplicemente, la proposizione “A è anche non-A” è falsa.
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