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con Giuseppe Tucci (15/6)
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completo accompagnato
(da alcune immagini...) [post]
&d ancora....
il 3 ottobre [1226] (18)
Quando
avrai imparato a meditare, nonché disegnare con anima e spirito, la foglia e al
lieve suo respiro, potrai salire in vetta!
Quando
avrai compreso all’Albero a cui appartiene il suo Genio, solo allora potrai
raccoglierne la luce profonda a cui alla sua ombra, Anima e Spirito aspirano e
con loro Dio, ricomporre nella tua Conoscenza ugual smarrita foresta!
Quando scorgerai i colori della Stagione (e con Lei il breve Frammento di questa e ogni apparente esistenza) lenti smarrire la linfa nell’eterna promessa di vita per ogni Primavera, avrai compreso il seme della saggezza a cui la radice della foglia aspira: fondare il misero vostro Intelletto, o un più profondo Eremo meditativo aggrappato con salda la radice nella dura roccia.
Quando
avrai compreso – ancora – donde, in Verità e per il vero, Intelletto e Pensiero
derivano, mentre osservi attonito la Cima, l’intero Albero sarà bruciato al
rogo della nuova Conoscenza, la quale per sua corrotta e deviata natura, ne
priva la linfa della vita a cui ogni essere aspira.
E quando il non-essere si smarrì, non più al frutto d’una strana mitologia - o al peccato della conoscenza -, ma all’ombra d’una diversa Selva, sognò l’Essere a cui apparteneva e che per Secoli havea vissuto e transitato sulla stessa Via incarnato per ogni trascorsa vita.
Sognò Cime Frammenti
Pietre e Radici e con Loro, passate trascorse vite congiunte alla Natura d’un’eterna
preghiera di nuovo cresciuta ai Rami degli Dèi, o al Golgota d’un medesimo Dio,
assieme sacrificati all’uncinato altare della nuova materia politica.
Il rogo avanzò per ugual medesimo Sentiero: c’è chi della Selva aspira al solo rogo o calore del legno, e chi invece, ne medita la Cima della Conoscenza per ogni smarrita e più profonda elevata Saggezza!
C’è, in verità e per il vero, nel karma di questa umile esistenza, chi pone l’Anima e lo Spirito, al rogo d’una strano Tempo senza il Tempo di Dio per solo poterlo svelare.
C’è, in
verità e per il vero, chi condanna al patibolo d’una fallace breve conoscenza
l’Anima dell’Infinito e le Stagioni di Dio; osserva: mentre corri verso la
Vetta, la foglia smarrire la linfa con tanta troppa bellezza, per solo poter
meditare la fine della breve sua e tua esistenza:
quel colore, infatti, così soave che dipinge l’intera Selva, testimonia la
promessa d’una nuova certezza,
scolpita nel duro inverno dell’Universo, donde, in verità e per il vero, dal
freddo d’un apparente Nulla trarrà sacrificio oblio o merito - del sofferto
respiro - scolpito o imprigionato - per ogni nuova esistenza.
E sì! Di certo potrai correre per ugual medesima selva, rimembrare e aspirare alla Vita, per poi scoprire il corpo d’una diversa esistenza: ricorderai la Selva e i colori scomposti d’una antica esiliata e più profonda sacra conoscenza, per millenni transitata su ugual via; ricorderai come in un Sogno strano la trascorsa esistenza al patibolo d’un diverso Ramo, mentre soffocava o conferiva linfa da cui il frammentato soffocato respiro di Dio; rimembrerai il peccato commesso e colui che promise l’eterno perdono e Dio.
Ricorderai
il cantico e la preghiera e la pace eterna di Dio.
Ti perderai
nei flutti del torrente e con Lui diventerai Uno.
Guarderai smarrito il Suo sguardo mentre brilla al sole d’Autunno riflesso sul Torrente che parla per lingua d’ugual Dio.
Avrai
certezza del male e del bene che passano lungo la stessa riva, e quando le ossa
affioreranno come sassi dal letto d’un sogno antico a cui l’Anima aspira,
mutilato dal demonio d’un diverso diavolo, comprenderai la poesia di Dio.
Quando
osservi danzare il tuo primitivo Dio, Uno come l’Elemento che corre per donare
Vita, avrai compreso il Suo segreto; scorgerai una lacrima nell’ululato d’una
foglia d’autunno che riluce e brilla per l’intera Selva, e solo in
quell’Infinita hora comprenderai come invoca il miracolo della Parola abdicata
al Secondo d’una diversa ugual Vita donde deriva: chiedere il frutto
dell’innata conoscenza in noi smarrito, implorare Poesia o Preghiera!
Scorgerai non più Tempo Stagione e Vita, ma Uno e il miracolo della Natura, e con Lei il Sacro per sempre violato.
E solo
quando avrai imparato a disegnare la foglia e comprenderne l’oracolo da Lei
comandato, solo allora, dicevo, potrai salire in Vetta e conquistare il mondo?
Questo il
problema all’Alba del nostro e loro giorno, smarrito o ritrovato per ugual tramonto
mentre la Stagione compie l’apparenza del Tempo incamminato.
Giacché tutti aspirano alla Vetta della materiale conquista, pochi all’oro della foglia che si specchia e confonde nella corsa del torrente che dalla stessa sale e ne conquista la Cima della vera e più profonda conoscenza, comporre smarrita eterna preghiera e con Lei saggezza per sempre smarrita, o ancor peggio, precipitata nell’Abisso della materia!
Allora non
puoi stupirti se al bivio del Sentiero, al confino, la Cima, si scompone nel
luogo del Sacro d’un Sogno violato e profanato dal demone della materia posto
al servizio d’una strana parabola confonderne Parola; non ti stupire, ti
dicevo, se in ugual medesimi profanati
templi per sempre dimenticati in nome del dio del progresso, scorgerai Mani
comporre congiunte preghiere all’Altare di millenari profeti.
Nel paradosso della materia l’Eresia invoca il proprio apparente disgiunto Frammento (apparentemente avverso all’Universo) nel motivo del Bene e del Male di questa e ogni vita implorare la Sua ugual Parola riflessa in una foglia che anch’essa narra la propria ed altrui precedente esistenza; compone hora la bellezza di questa smarrita Selva e che Dio benedica anch’essa!
E con Lei
ogni creatura!
ORSU’ PROSEGUIAMO IL SENTIERO
L’identità dell’autore del trattato Gli Dei e il Mondo è oggetto di un’antica controversia. Già il Tillemont, in base a numerosi passaggi del Res Gestre di Ammiano Marcellino, aveva distinto due personaggi legati all’imperatore Giuliano l’Apostata ai quali attribuire con eguale probabilità la paternità del trattato; in realtà da recenti studi effettuati dall’Anima dell’anacoreta si è scoperto un Terzo Sallustio, del quale la Storia ivi tracciata e ripercorsa in tutti questi eterni Sentieri ove mutilata del Genio, aspira alla somma taciuta perseguitata Verità.
Dei due conosciuti transitati alla nostra ombra trattasi di Flavius Sallustius e di Saturninius Secundus Salustius. Entrambi sono noti anche grazie a due iscrizioni onorifiche ritrovate a Roma che consentono di conoscere il loro cursus honorum. In particolare da queste iscrizioni si ricava che Flavius Sallustius, originario della Spagna, fu prefetto del pretorio della Gallia dal 361 al 363, Saturninius Secundus Salustius, nato in Gallia, fu nominato prefetto del pretorio d’Oriente nel 361. Poiché sussistono argomentazioni a favore dell’uno o dell’altro personaggio per l’attribuzione del trattato, la critica si è divisa in due, noi facciamo riferimento al Terzo pressoché sconosciuto… di cui medesimo Giuliano udiva il Genio così ispirato…
a Sallustio...
I boscaioli continuavano il lavoro con la
massima indifferenza, come se non ci fosse nessuno a osservarli. Quattro
facevano andar su e giù la sega che aveva ormai oltrepassato la metà del
tronco. Il quinto era salito per attaccare la fune che sarebbe servita per far
cadere l’albero dalla parte giusta Seduto su di un sassone, da solo, vicino
alla base dell’albero, stava uno dei genî, simile a tutti gli altri; era il Genio
dell’Abete che si stava tagliando. Seguiva il lavoro dei boscaioli con grande
attenzione.
Tutti stavano zitti.
Si udiva soltanto il rumore della sega e
il fruscio dei rami mossi involontariamente dal vento. Il sole andava e veniva
a causa delle frequenti nubi. Il colonnello notò che sull’abete che si stava
abbattendo non c’era neppure un uccello mentre quelli intorno ne erano addirittura
rigurgitanti.
Ad un tratto il Bernardi si staccò da un
punto del semicerchio, avanzò per il terreno libero e si avvicinò al genio che
sedeva solo, battendogli una mano sulla spalla.
‘Siamo venuti per salutarti, Sallustio!’
…disse a voce alta come per far capire che
parlava anche a nome di tutti gli altri compagni.
Il Genio dell’Abete rosso si alzò in
piedi, senza però staccar gli occhi dalla sega che rodeva il suo tronco.
‘Quello che succede è triste, non ci siamo
assolutamente abituati’
continuò il Bernardi con voce pacata.
‘Ma tu sai quanto io abbia fatto per cercare d’impedirlo. Tu sai che siamo stati traditi e che ci è stato rubato il vento’.
E così dicendo rivolse i suoi sguardi,
forse per puro caso, in direzione del colonnello Procolo, nascosto dietro la
schiena dei Genî.
‘Siamo venuti a dirti addio’
…continuò il Bernardi.
'Questa sera stessa tu sarai lontano, nella grande ed eterna Foresta di cui in gioventù abbiamo sentito tanto parlare. La verde Foresta che non ha confini, dove non ci sono conigli selvatici, né ghiri, né grillitalpa che mangiano le radici, né bostrici che scavino il legno, né vermi che divorino le foglie. Lassù non ci saranno tempeste, non si vedranno fulmini o lampi, neppure nelle calde notti d’estate’.
‘Ritroverai i nostri compagni caduti. Essi
hanno ricominciato la vita, questa volta definitivamente. Sono tornati piantine
a fior di terra, hanno di nuovo imparato a fiorire e sono saliti lentamente
verso il cielo. Molti di loro devono esser già cresciuti bene. Salutami il
vecchio Teobio, se lo rivedi, digli che un Abete come lui non si è più visto, e
sì che sono passati più di 200 anni. Questo gli potrà far piacere’.
‘Sì, è un po’ dura una partenza così. Ci
si era affezionati l’un l’altro e tutto questo sembra strano. Ma un bel giorno
finiremo per ritrovarci. I nostri rami si toccheranno ancora, e riprenderemo i
nostri discorsi e gli uccelli ci staranno a sentire. Ce ne sono lassù di grandi
e bellissimi, uccelli a molti colori, come da queste parti non esistono’.
‘Ti confesso che avevo preparato un gran
discorso, ma è meglio che parli così alla buona. Fra qualche giorno, forse
domani stesso, qualcun altro di noi verrà a raggiungerti; può darsi che siano
molti e che in mezzo ci sia pure io’.
‘Tu troverai il tuo posto pronto, ti
rifarai con la pazienza un tronco, assai più bello di questo. Gli Abeti di
quella foresta raggiungono anche i trecento metri e passano da parte a parte le
nubi. In fondo ti ci troverai bene: chissà, fra due tre mesi, ho paura, avrai
già dimenticato anche i fratelli del Bosco Vecchio, non ti ricorderai più
nemmeno dei nostri tempi felici’.
Il Bernardi tacque.
L’altro gli strinse la mano, dicendo:
‘Grazie, adesso va’ pure con gli altri,
perché mi pare che si metta al brutto. Non è il caso di fare cerimonie’.
Orsù procediamo per questo difficile Sentiero cancellato, o solo appena accennato.
Orsù proseguiamo per questa impervia mulattiera e non certo per brama della Cima, giacché aspiriamo - come l’Elemento che.....
...perenne transita in ogni Stagione della vostra Storia – all’antico
Olimpo di Madre Natura.
Orsù miei invisibili eroi - perenni nemici dei tiranni così come
dei loro fratelli ciclopi e titani - figli d’un Tempo eternamente perseguitato
- avviamoci al lento risveglio dell’Autunno fino al rogo dell’Inverno, quando
gli ‘humani’ si scaldano al sonno della nostra perseguitata Ragione; aspettiamo
con ansia di parlare con il ghiaccio la neve ed il vento, e non certo per
perseguitare barattare o tradire Madre Natura, semmai una antica Preghiera per
essere appena compresa… e rinascere alla bellezza della Primavera…
Orsù miei Eroi, foglie che cederete presto Passo e cammino ad un
antico Ramo d’oro, solo la neve del nostro comune invisibile Infinito - sonno
simile all’universo e dio -, potrà dipingere il più bel panorama o altare di
questa terra, ove potremo inciampare sul volgo o l’eterna smorfia della pur
morta materia spacciata come cosa viva.
Orsù miei poeti dimenticati e oltraggiati, offuscati dalla superiore vista, prossima alla cecità assoluta, di colui che siede alla nostra Ombra!
Orsù miei incorrotti puri paladini che sempre ispirate sano
intendimento, che mi curate del morbo odierno, voi mutilati dell’antico Genio,
posti al rogo del volgo del falso intelletto, temprate lo Spirito martoriato e
avvilito di tanta troppo sulfureo veleno… unito all’ingorda ignoranza
mascherata da falsa saggezza, d’un sapere mai colto pregato o solo ammirato…
Orsù, avviamoci per questo Secolar Sentiero ad udire la voce del
Vento, ad ammirare Alba e Tramonto in laude all’Infinito, e se inciampi su un
tronco a forma di ingiuria, se l’uncino vuole mozzarti la lingua, se il cane
abbaia più della bestia, se il lupo si maschera da agnello, se il tempo
precipita e nessuno prega, solo Ulisse e il suo Omero,… solo il Profeta e
l’oscura cometa potranno forgiare la Stagione persa all’uscita di questa
caverna.
Orsù mio amico non piangere anche se le ossa dei vivi ti mordono il collo come vampiri, i morti accoglieranno l’eterna preghiera di chi Straniero in questa Terra satura di tenebra spacciata per arte evolutiva.
Orsù aguzzino (tu che leggi ciò di cui non intendi e comprendi d’un
linguaggio troppo antico, giacché sei materia avversa allo Spirito con cui
parlo e scrivo…), che ci spii dall’alba alla sera della tua disonesta via
condita con il pretesto d’un falso comandamento; tu che possiede l’arte moderna
di compiere l’opera antica di demonizzare e confondere ogni Genio - e non solo
dell’antica Selva.
Orsù cancro e moneta d’un diverso principio di questa ed ogni Terra
leggi questa mia (giacché l’Anima parla con un antico superiore
Destino…l’Albero del nostro comune Sapere lo intravedi appena: l’Autunno lo
colora e forgia dell’Infinito Principio, per te solo moneta d’un diverso dio
neppure compreso…) giacché Pensiero Idea ed Intelletto ti siano sempre nemici
in questo comune cammino…
Noi aspiriamo all’infinito tu all’inutile ingorda materia, orsù demonio procediamo ancora…
(Giuliano....)
[& il capitolo... al completo...]
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