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naufraghi in balia
2. Il
crescente paradigma tecnocratico
20. Nella Laudato si’ ho offerto una breve spiegazione del
paradigma tecnocratico che è alla base dell’attuale processo di degrado
ambientale. Si tratta di ‘un modo di comprendere la vita e l’azione umana che è
deviato e che contraddice la realtà fino al punto di rovinarla’. [13] In
sostanza, consiste nel pensare ‘come se la realtà, il bene e la verità
sbocciassero spontaneamente dal potere stesso della tecnologia e dell’economia’.
[14] Come conseguenza logica, ‘da qui si passa facilmente all’idea di una
crescita infinita o illimitata, che ha tanto entusiasmato gli economisti, i
teorici della finanza e della tecnologia’. [15]
21. Negli
ultimi anni abbiamo potuto confermare questa diagnosi, assistendo al tempo
stesso a un nuovo avanzamento di tale paradigma. L’intelligenza artificiale e i
recenti sviluppi tecnologici si basano sull’idea di un essere umano senza
limiti, le cui capacità e possibilità si potrebbero estendere all’infinito
grazie alla tecnologia. Così, il paradigma tecnocratico si nutre mostruosamente
di sé stesso.
22. Le risorse naturali necessarie per la tecnologia, come il litio, il silicio e tante altre, non sono certo illimitate, ma il problema più grande è l’ideologia che sottende un’ossessione: accrescere oltre ogni immaginazione il potere dell’uomo, per il quale la realtà non umana è una mera risorsa al suo servizio. Tutto ciò che esiste cessa di essere un dono da apprezzare, valorizzare e curare, e diventa uno schiavo, una vittima di qualsiasi capriccio della mente umana e delle sue capacità.
23. Fa
venire i brividi rendersi conto che le capacità ampliate dalla tecnologia danno
‘a coloro che detengono la conoscenza e soprattutto il potere economico per
sfruttarla un dominio impressionante sull’insieme del genere umano e del mondo
intero. Mai l’umanità ha avuto tanto potere su sé stessa e niente garantisce
che lo utilizzerà bene, soprattutto se si considera il modo in cui se ne sta
servendo. [...] In quali mani sta e in quali può giungere tanto potere? È
terribilmente rischioso che esso risieda in una piccola parte dell’umanità’.
[16]
24. Non
ogni aumento di potere è un progresso per l’umanità. Basti pensare alle
tecnologie “mirabili” che furono utilizzate per decimare popolazioni, lanciare
bombe atomiche, annientare gruppi etnici. Vi sono stati momenti della storia in
cui l’ammirazione per il progresso non ci ha permesso di vedere l’orrore dei
suoi effetti. Ma questo rischio è sempre presente, perché ‘l’immensa crescita
tecnologica non è stata accompagnata da uno sviluppo dell’essere umano per
quanto riguarda la responsabilità, i valori e la coscienza [...]. È nudo ed
esposto di fronte al suo stesso potere che continua a crescere, senza avere gli
strumenti per controllarlo. Può disporre di meccanismi superficiali, ma
possiamo affermare che gli mancano un’etica adeguatamente solida, una cultura e
una spiritualità che realmente gli diano un limite e lo contengano entro un
lucido dominio di sé’. [17] Non è strano che un potere così grande in simili
mani sia capace di distruggere la vita, mentre la matrice di pensiero del
paradigma tecnocratico ci acceca e non ci permette di vedere questo gravissimo
problema dell’umanità di oggi.
25. Contrariamente a questo paradigma tecnocratico diciamo che il mondo che ci circonda non è un oggetto di sfruttamento, di uso sfrenato, di ambizione illimitata. Non possiamo nemmeno dire che la natura sia una mera “cornice” in cui sviluppare la nostra vita e i nostri progetti, perché ‘siamo inclusi in essa, siamo parte di essa e ne siamo compenetrati’, [18] così che ‘il mondo non si contempla dal di fuori ma dal di dentro’. [19]
26. Ciò
esclude l’idea che l’essere umano sia un estraneo, un fattore esterno capace
solo di danneggiare l’ambiente. Dev’essere considerato come parte della natura.
La vita, l’intelligenza e la libertà dell’uomo sono inserite nella natura che
arricchisce il nostro pianeta e fanno parte delle sue forze interne e del suo
equilibrio.
27.
Pertanto, un ambiente sano è anche il prodotto dell’interazione dell’uomo con
l’ambiente, come avviene nelle culture indigene e come è avvenuto per secoli in
diverse regioni della Terra. I gruppi umani hanno spesso “creato” l’ambiente,
[20] rimodellandolo in qualche modo senza distruggerlo o metterlo in pericolo.
Il grande problema di oggi è che il paradigma tecnocratico ha distrutto questo
rapporto sano e armonioso. Tuttavia, l’indispensabile superamento di tale
paradigma tanto dannoso e distruttivo non si troverà in una negazione
dell’essere umano, ma comprende l’interazione dei sistemi naturali con i
sistemi sociali. [21]
28. Dobbiamo tutti ripensare alla questione del potere umano, al suo significato e ai suoi limiti. Il nostro potere, infatti, è aumentato freneticamente in pochi decenni. Abbiamo compiuto progressi tecnologici impressionanti e sorprendenti, e non ci rendiamo conto che allo stesso tempo siamo diventati altamente pericolosi, capaci di mettere a repentaglio la vita di molti esseri e la nostra stessa sopravvivenza. Si può ripetere oggi con l’ironia di Solov’ëv: ‘Un secolo così progredito che perfino gli era toccato in sorte di essere l’ultimo’. [22] Ci vuole lucidità e onestà per riconoscere in tempo che il nostro potere e il progresso che generiamo si stanno rivoltando contro noi stessi. [23]
Il
pungiglione etico
29. La
decadenza etica del potere reale è mascherata dal marketing e dalla falsa
informazione, meccanismi utili nelle mani di chi ha maggiori risorse per
influenzare l’opinione pubblica attraverso di essi. Con l’aiuto di questi
meccanismi, quando si pensa di avviare un progetto con forte impatto ambientale
ed elevati effetti inquinanti, gli abitanti della zona vengono illusi parlando
del progresso locale che si potrà generare o delle opportunità economiche,
occupazionali e di promozione umana che questo comporterà per i loro figli. Ma
in realtà manca un vero interesse per il futuro di queste persone, perché non
viene detto loro chiaramente che in seguito a tale progetto resteranno una
terra devastata, condizioni molto più sfavorevoli per vivere e prosperare, una
regione desolata, meno abitabile, senza vita e senza la gioia della convivenza
e della speranza; oltre al danno globale che finisce per nuocere a molti altri.
30. Basti pensare all’effimero entusiasmo per il denaro ricevuto in cambio del deposito di scorie tossiche in un sito. La casa acquistata con quei soldi si è trasformata in una tomba a causa delle malattie che si sono scatenate. E non parlo spinto da una sfrenata immaginazione, ma per qualcosa che abbiamo vissuto. Si potrebbe dire che questo è un esempio estremo, ma non si può parlare di danni “minori”, perché è proprio la somma di molti danni considerati tollerabili che finisce per portarci alla situazione in cui ci troviamo ora.
31. Tale
situazione non ha a che fare solo con la fisica o la biologia, ma anche con
l’economia e il nostro modo di pensarla. La logica del massimo profitto al
minimo costo, mascherata da razionalità, progresso e promesse illusorie, rende
impossibile qualsiasi sincera preoccupazione per la casa comune e qualsiasi
attenzione per la promozione degli scartati della società. Negli ultimi anni
possiamo notare che, sconcertati ed estasiati davanti alle promesse di tanti
falsi profeti, i poveri stessi a volte cadono nell’inganno di un mondo che non
viene costruito per loro.
32. Si incrementano idee sbagliate sulla cosiddetta “meritocrazia”, che è diventata un “meritato” potere umano a cui tutto deve essere sottoposto, un dominio di coloro che sono nati con migliori condizioni di sviluppo. Un conto è un sano approccio al valore dell’impegno, alla crescita delle proprie capacità e a un lodevole spirito di iniziativa, ma se non si cerca una reale uguaglianza di opportunità, la meritocrazia diventa facilmente un paravento che consolida ulteriormente i privilegi di pochi con maggior potere. In questa logica perversa, cosa importa loro dei danni alla casa comune, se si sentono sicuri sotto la presunta armatura delle risorse economiche che hanno ottenuto con le loro capacità e i loro sforzi?
33. Nella
propria coscienza, e di fronte ai figli che pagheranno per i danni delle loro
azioni, si pone la domanda di senso: qual è il senso della mia vita, qual è il
senso del mio passaggio su questa terra, qual è in definitiva il senso del mio
lavoro e del mio impegno?
3. La debolezza della politica internazionale
34. Mentre ‘la
storia sta dando segni di un ritorno all’indietro [...] ogni generazione deve
far proprie le lotte e le conquiste delle generazioni precedenti e condurle a
mete ancora più alte. È il cammino. Il bene, come anche l’amore, la giustizia e
la solidarietà, non si raggiungono una volta per sempre; vanno conquistati ogni
giorno’. [24] Per ottenere un progresso solido e duraturo, mi permetto di
insistere sul fatto che ‘vanno favoriti gli accordi multilaterali tra gli Stati’.
[25]
35. Non
giova confondere il multilateralismo con un’autorità mondiale concentrata in
una sola persona o in un’élite con eccessivo potere: ‘Quando si parla della
possibilità di qualche forma di autorità mondiale regolata dal diritto, non
necessariamente si deve pensare a un’autorità personale’. [26] Parliamo
soprattutto di ‘organizzazioni mondiali più efficaci, dotate di autorità per
assicurare il bene comune mondiale, lo sradicamento della fame e della miseria
e la difesa certa dei diritti umani fondamentali’. [27] Il punto è che devono
essere dotate di una reale autorità per “assicurare” la realizzazione di alcuni
obiettivi irrinunciabili. Così si darebbe vita a un multilateralismo che non
dipende dalle mutevoli circostanze politiche o dagli interessi di pochi e che
abbia un’efficacia stabile.
36. È deplorevole che le crisi globali vengano sprecate quando sarebbero l’occasione per apportare cambiamenti salutari. [28] È quello che è successo nella crisi finanziaria del 2007-2008 e che si è ripetuto nella crisi del Covid-19. Infatti, ‘pare che le effettive strategie sviluppatesi successivamente nel mondo siano state orientate a maggiore individualismo, minore integrazione, maggiore libertà per i veri potenti, che trovano sempre il modo di uscire indenni’. [29]
Riconfigurare
il multilateralismo
37. Più che
salvare il vecchio multilateralismo, sembra che oggi la sfida sia quella di
riconfigurarlo e ricrearlo alla luce della nuova situazione globale. Vi invito
a riconoscere che ‘tante aggregazioni e organizzazioni della società civile
aiutano a compensare le debolezze della Comunità internazionale, la sua
mancanza di coordinamento in situazioni complesse, la sua carenza di attenzione
rispetto a diritti umani’. [30] A tale riguardo, il processo di Ottawa contro
l’uso, la produzione e la fabbricazione delle mine antiuomo è un esempio che
dimostra come la società civile e le sue organizzazioni siano in grado di
creare dinamiche efficienti che l’ONU non raggiunge. In questo modo, il
principio di sussidiarietà si applica anche al rapporto globale-locale.
38. A medio termine, la globalizzazione favorisce gli scambi culturali spontanei, una maggiore conoscenza reciproca e modalità di integrazione dei popoli che porteranno a un multilateralismo “dal basso” e non semplicemente deciso dalle élite del potere. Le istanze che emergono dal basso in tutto il mondo, dove persone impegnate dei Paesi più diversi si aiutano e si accompagnano a vicenda, possono riuscire a fare pressione sui fattori di potere. È auspicabile che ciò accada per quanto riguarda la crisi climatica. Perciò ribadisco che ‘se i cittadini non controllano il potere politico – nazionale, regionale e municipale – neppure è possibile un contrasto dei danni ambientali’. [31]
39. La
cultura postmoderna ha generato una nuova sensibilità nei confronti di chi è
più debole e meno dotato di potere. Ciò si collega alla mia insistenza, nella
Lettera enciclica Fratelli tutti, sul primato della persona umana e sulla
difesa della sua dignità al di là di ogni circostanza. È un altro modo di
invitare al multilateralismo per risolvere i veri problemi dell’umanità,
cercando soprattutto il rispetto della dignità delle persone in modo che
l’etica prevalga sugli interessi locali o contingenti.
40. Non si tratta di sostituire la politica, perché d’altra parte le potenze emergenti stanno diventando sempre più rilevanti e sono di fatto in grado di ottenere risultati importanti nella risoluzione di problemi concreti, come alcune di esse hanno dimostrato nella pandemia. Proprio il fatto che le risposte ai problemi possano venire da qualsiasi Paese, per quanto piccolo, conduce a riconoscere il multilateralismo come una strada inevitabile.
41. La
vecchia diplomazia, anch’essa in crisi, continua a dimostrare la sua importanza
e necessità. Non è ancora riuscita a generare un modello di diplomazia
multilaterale che risponda alla nuova configurazione del mondo, ma, se è capace
di riformularsi, dovrà essere parte della soluzione, perché anche l’esperienza
di secoli non può essere scartata.
42. Il mondo sta diventando così multipolare e allo stesso tempo così complesso che è necessario un quadro diverso per una cooperazione efficace. Non basta pensare agli equilibri di potere, ma anche alla necessità di rispondere alle nuove sfide e di reagire con meccanismi globali a quelle ambientali, sanitarie, culturali e sociali, soprattutto per consolidare il rispetto dei diritti umani più elementari, dei diritti sociali e della cura della casa comune. Si tratta di stabilire regole universali ed efficienti per garantire questa protezione mondiale.
43. Tutto
ciò presuppone che si attui una nuova procedura per il processo decisionale e
per la legittimazione di tali decisioni, poiché quella stabilita diversi
decenni fa non è sufficiente e non sembra essere efficace. In tale contesto,
sono necessari spazi di conversazione, consultazione, arbitrato, risoluzione
dei conflitti, supervisione e, in sintesi, una sorta di maggiore
“democratizzazione” nella sfera globale, per esprimere e includere le diverse
situazioni. Non sarà più utile sostenere istituzioni che preservino i diritti
dei più forti senza occuparsi dei diritti di tutti.
4. Le Conferenze sul clima: progressi e fallimenti
44. Da
decenni, i rappresentanti di oltre 190 Paesi si riuniscono periodicamente per
affrontare la questione climatica. La Conferenza di Rio de Janeiro del 1992 ha
portato all’adozione della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui
Cambiamenti Climatici (UNFCCC), un trattato che è entrato in vigore quando sono
state raggiunte le necessarie ratifiche da parte dei Paesi firmatari nel 1994.
Questi Stati si riuniscono ogni anno nella Conferenza delle Parti (COP), il più
alto organismo decisionale. Alcune sono state un fallimento, come quella di Copenaghen
(2009), mentre altre hanno permesso di compiere passi importanti, come la COP3
di Kyoto (1997). Il suo prezioso Protocollo è quello che ha fissato come
obiettivo la riduzione delle emissioni complessive di gas serra del 5% rispetto
al 1990. La scadenza era il 2012, ma evidentemente non è stata rispettata.
45. Tutte
le parti si sono inoltre impegnate ad attuare programmi di adattamento per
ridurre gli effetti del cambiamento climatico già in corso. È stata inoltre
prevista un’assistenza per coprire i costi di queste misure nei Paesi in via di
sviluppo. Il Protocollo è entrato in vigore nel 2005.
46. Successivamente, è stato proposto un meccanismo relativo alle perdite e ai danni causati dai cambiamenti climatici, che riconosce i Paesi più ricchi come i principali responsabili e cerca di compensare gli effetti devastanti procurati nei Paesi più vulnerabili. Non si tratta più di finanziare “l’adattamento” di questi Paesi, ma di compensarli per i danni già subiti. Tale questione è stata oggetto di importanti discussioni in varie COP.
47. La
COP21 di Parigi (2015) è stata un altro momento significativo, perché ha
prodotto un accordo che ha coinvolto tutti. Può essere visto come un nuovo
inizio, dato il mancato raggiungimento degli obiettivi fissati nella fase
precedente. L’Accordo è entrato in vigore il 4 novembre 2016. Pur essendo
vincolante, non tutti i requisiti sono obblighi in senso stretto e alcuni di
essi lasciano spazio a un’ampia discrezionalità. Del resto, anche per gli
obblighi non rispettati, non prevede sanzioni vere e proprie e non ci sono
strumenti efficaci per garantirne l’osservanza. Prevede inoltre forme di
flessibilità per i Paesi in via di sviluppo.
48. L’Accordo di Parigi presenta un importante obiettivo a lungo termine: mantenere l’aumento delle temperature medie globali al di sotto dei 2 gradi rispetto ai livelli preindustriali, puntando comunque a scendere sotto gli 1,5 gradi. Si sta ancora lavorando per consolidare procedure concrete di monitoraggio e fornire criteri generali per confrontare gli obiettivi dei diversi Paesi. Ciò rende difficile una valutazione più obiettiva (quantitativa) dei risultati effettivi.
49. Dopo
alcune Conferenze con scarsi risultati e la delusione della COP25 di Madrid
(2019), si sperava che questa inerzia sarebbe stata invertita nella COP26 di
Glasgow (2021). In sostanza, il risultato è stato quello di rilanciare
l’Accordo di Parigi, che era stato messo in discussione dai vincoli e dagli
effetti della pandemia. In più, vi è stata un’abbondanza di “esortazioni”, da
cui era difficile attendersi un impatto reale. Le proposte volte a garantire
una transizione rapida ed efficace verso forme di energia alternativa e meno
inquinante non sono riuscite a fare progressi.
50. La COP27 di Sharm el-Sheikh (2022) è stata minacciata fin dall’inizio dalla situazione creata dall’invasione dell’Ucraina, che ha causato una grave crisi economica ed energetica. L’uso del carbone è aumentato e tutti hanno voluto assicurarsene l’approvvigionamento. I Paesi in via di sviluppo hanno considerato l’accesso all’energia e le opportunità di sviluppo come una priorità urgente. È stato chiaramente riconosciuto che in realtà i combustibili fossili forniscono ancora l’80% dell’energia mondiale e che il loro utilizzo continua ad aumentare.
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