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& il grado di stupore
L’Archeopalinologia è una branca della Palinologia
(greco: palinêin = diffondere o spargere), la scienza che studia il polline e
le spore presenti in contesti attuali e passati, appoggiandosi su due principi
di base: a) specificità – ogni
specie vegetale possiede un polline con morfologia tipica, per cui determinare
il polline significa riconoscere sempre la famiglia, spesso il genere e
talvolta anche la specie botanica che l’ha prodotto; b) resistenza
– il
polline è rivestito da uno sporoderma il cui strato esterno, l’esina, si
conserva a lungo in substrati diversi permettendogli di restare riconoscibile anche
dopo metodi di estrazione piuttosto drastici ma necessari per l’analisi, come
ad esempio i trattamenti con acido cloridrico e acido fluoridrico, la bollitura
in soda o il bagnomaria con miscela acetolitica composta da anidride acetica e acido
solforico.
La
Palinologia
prevede ricerche: a) di base, morfologiche,
tassonomiche e di biologia riproduttiva, e b)
di tipo applicativo, con esame di substrati diversi nei quali sia possibile
trovare polline. La Morfopalinologia,
descrizione analitica dei granuli, porta sia alla creazione di ‘tipi
pollinici’, che raggruppano forme affini sotto lo stesso nome, sia alla
redazione di chiavi, schede e atlanti iconografici.
L’uniforme e corretta determinazione, che prevede inoltre l’uso di una collezione di vetrini di riferimento (Palinoteca), è la base dell’analisi pollinica, la metodologia comune che collega tutti i suoi campi di applicazione.
L’Archeopalinologia si è sviluppata
naturalmente dalla Paleopalinologia, che la include e si occupa in generale di
tutti i contesti del passato nei quali siano presenti polline, spore e altri
palinomorfi fossili. Con un’accezione riduttiva, è considerata la ‘palinologia
dei siti archeologici’ ma sin dall’inizio essa è stata chiamata in causa in
tutti i diagrammi pollinici dove i mutamenti del paesaggio vegetale fossero
determinati non solo da fattori climatici ma anche da fattori antropici.
Solo un secolo
fa, i fattori antropici erano considerati di scarso rilievo e lo sviluppo della
vegetazione postglaciale degli ultimi 14.000-11.000 anni era considerato funzione
solo di fattori ambientali quali ad esempio clima, migrazioni di piante o
natura del suolo.
Già negli anni ’30, però, Firbas aveva intuito la possibilità di rintracciare nei diagrammi pollinici influenze antropiche sulla vegetazione. Circa dieci anni dopo, Iversen dimostrò definitivamente che nei diagrammi sono visibili cambiamenti floristico/vegetazionali determinati dalle civiltà passate.
Da allora, l’Archeopalinologia si è sviluppata notevolmente come
ricerca multidisciplinare che vede la cooperazione di botanici, archeologi,
storici, geologi, etnologi, antropologi, zoologi e altri specialisti.
Alla
ricostruzione della flora, vegetazione e clima del passato, che è scopo comune
a tutta la Paleopalinologia, l’‘Archeo’ aggiunge
l’indagine sulle tracce di presenza antropica e influenza delle comunità umane
sul paesaggio vegetale.
Essa interviene
in ogni ambito spaziale interessato dalla presenza e attività dell’uomo o dai
riflessi di tale presenza, quindi anche al di fuori dei siti archeologici, ad
esempio in carote lacustri o marine, i cui diagrammi pollinici portino tracce
antropiche.
L’uomo influenza il paesaggio vegetale in diversi modi: sfruttamento: direttamente attraverso lo sfruttamento e utilizzo delle risorse vegetali, ad esempio con raccolta selettiva di piante utili o disboscamento per utilizzo del legname e per creare spazi a insediamenti agricoli e abitativi; coltivazione: direttamente attraverso la protezione/cura, l’introduzione e la coltivazione di piante utili, ad esempio aumentando la distribuzione delle piante native o importando da altre aree geografiche le piante che desidera coltivare; allevamento: indirettamente attraverso l’estensione di aree a pascolo e la selezione di specie resistenti o non palatabili per gli animali; aree abitate: diffusione di piante spontanee sinantropiche.
Ognuna
di queste azioni produce riflessi nel paesaggio culturale. Le comunità vegetali
modificate producono piogge polliniche, cioè insiemi di tipi pollinici, che le
rispecchiano. Per questo motivo, le ricerche archeopalinologiche inquadrate in
studi multidisciplinari contribuiscono alla ricostruzione del paesaggio
culturale passato di una determinata area e i suoi cambiamenti nel tempo.
Da quanto sopra esposto, risulta chiaro che i segni dell’influenza antropica sul paesaggio vegetale sono leggibili nei diagrammi pollinici principalmente osservando l’andamento di due tipi di curve: a) la curva di forestazione, cioè la somma delle Legnose (alberi+arbusti+liane) che nel complesso offre una misura della copertura forestale dell’area studiata; essa può mutare in funzione di cause ecologico/climatiche e di cause antropiche; b) le curve degli indicatori antropici, cioè delle piante legate alla presenza e all’attività umana; esse mutano in funzione di cause antropiche e sono inquadrabili essenzialmente in due categorie principali: b.1) C/C o Coltivate/Coltivabili – si tratta di piante legnose ed erbacee prima protette/curate e poi spesso coltivate, il cui significato nei diagrammi dipende dall’abbondanza del rinvenimento, dal contesto e dalla cronologia del sito.
Tra le
legnose, appartiene a queste categorie il polline di piante a frutto edule (Castanea – castagno, Juglans – noce, Olea – olivo, Ficus –
fico, Prunus – pruno, Vitis – vite), cui sono affiancate piante di
possibile utilizzo ornamentale (ad es., Platanus –
platano, Rosa – rosa).
Per estensione, l’individuazione di questi segni di attività antropica consentono inferenze su comportamenti umani, e sugli scopi di tali comportamenti, come ad esempio: a) una diminuzione del ricoprimento forestale può segnalare il taglio intenzionale di alberi per aprire radure atte a ospitare un insediamento abitativo, per creare spazi alle coltivazioni, per utilizzare il legname per le costruzioni; b) l’aumento degli indicatori antropici può indicare, a seconda della tipologia che viene considerata, la messa in atto di cambiamenti nelle strategie di sussistenza, dalla caccia-raccolta alla coltivazione, oppure la scelta ed estensione di colture legnose o erbacee, l’introduzione di nuove colture in seguito a viaggi, l’abbandono di alcuni tipi di colture a favore di altre, l’abbandono di un’area, l’estensione di un abitato.
L’Archeopalinologia
in contesti di culto
è uno dei temi più affascinanti dei quali si occupa nello studio dei contesti
di culto, nei quali il polline diventa uno strumento utile per ricostruire
vicende che hanno visto l’impiego di piante durante pratiche religiose e
rituali come offerte votive, cerimonie o sepolture.
Anche se è difficile esaurirne l’ampia casistica, i tipi di domande alle quali il polline permette di rispondere sono riconducibili a tre gruppi principali:
Quali piante erano scelte a scopo di culto?
L’elenco
dei tipi pollinici presenti in un contesto di culto porta alla compilazione di
una lista floristica che corrisponde alle piante fiorite presenti in loco, sia
quelle che crescono nell’area sia quelle accumulate in posto dall’uomo.
In
una sepoltura o presso un’area sacra, un polline abbondante, cioè presente in
percentuale o concentrazione alta nei campioni, testimonia un comportamento
d’uso della pianta madre, ad esempio per deposizione di mazzi di fiori. Ognuna
delle piante utilizzate a scopo cultuale può possedere un significato simbolico
per un popolo, oppure rivestire un ruolo puramente estetico secondo il quale un
fiore viene scelto grazie a colore e profumo.
Il significato o l’utilizzo votivo di alcune piante è in alcuni casi assai noto, in altri sporadico, occasionale o poco conosciuto e può essere rivelato dal polline.
In che area geografica si svolgeva il rituale di
culto?
L’insieme
dei tipi pollinici presenti in una lista è parte di una o più comunità vegetali
distribuite in aree geografiche o fasce altitudinali diverse. Questo in molti
casi permette di ricostruire tratti del paesaggio vegetale nel quale era ubicato
il luogo di culto. Oppure, può dare un’informazione sull’origine geografica di
oggetti o persone che sono stati trasportati da un luogo all’altro, oppure sul
percorso da loro seguito durante lo spostamento.
In che stagione si svolgeva il rituale di culto?
Ogni polline corrisponde a una pianta che ha una stagione di fioritura tipica per ciascuna latitudine. Nella lista, sono rappresentate stagioni di fioritura più o meno identificabili, circoscritte e sovrapponibili. In genere, i tipi pollinici più abbondanti aiutano a individuare la stagione durante la quale il culto è stato praticato, oppure quella durante la quale un oggetto o persona è stato trasportato da un luogo all’altro.
È possibile
dare una risposta a queste domande esaminando substrati o materiali diversi
relativi al contesto di culto, tra i quali: – suoli o materiale sciolto
proveniente da livelli archeologici di un’area di culto, – coproliti, sterco,
accumuli di sostanza organica in livelli archeologici, – prelievi di materiale
sciolto o polveri campionate in prossimità di sepolture, in punti chiave come
attorno al capo, presso le mani o attorno al corpo, – riempimento di
contenitori, vasi o pozzetti di vario tipo presenti in un contesto di culto, –
resine o materiali affini rinvenuti in contesti di culto o dentro sarcofagi, –
prelievi di polveri all’interno di sarcofagi o bare, – prelievi su resti di
tessuti o oggetti relativi a eventi di sepoltura.
La
Palinologia
può aiutare a decifrare contesti chiari di culto o scoprire contesti di culto
insospettati. Di seguito sono illustrati brevemente alcuni esempi in tema assai
diversi tra loro. L’elenco è necessariamente parziale ed è stato compilato in modo
da offrire un quadro delle potenzialità del metodo palinologico che grazie alla
sua plasticità, alla varietà di tecniche di estrazione e alla reperibilità del
polline in materiali diversi permette di intervenire in situazioni e periodi
assai diversi tra loro.
Apre l’elenco il caso relativo allo
studio pollinico della Sacra Sindone, rimasto ancora piuttosto
indefinito dal punto di vista cronologico. Seguono cinque esempi ordinati in
senso cronologico dai più recenti del periodo Medievale, al più antico
risalente al Mesolitico, un gradiente temporale lungo il quale le informazioni
accessorie sono via via più scarse e il metodo pollinico diviene sempre più
critico per la formulazione di ipotesi di utilizzo cultuale delle piante.
La
palinologia
applicata al materiale sindonico ha dato buoni risultati poiché il tessuto di
lino si è dimostrato una buona trappola pollinica. Ciò è confermato tra l’altro
da studi sperimentali nei quali pezze di lino di diversa tessitura sono state talvolta
capaci di trattenere tra le fibre discrete quantità di polline (fino a 61
granuli/cm2), anche se non è possibile escludere che, nel caso della Sindone, i
granuli più superficiali possano essere stati più volte persi o acquistati
durante i suoi spostamenti.
Nel 1973 e nel 1978, il botanico e criminologo svizzero Max Frei-Sulzer eseguì prelievi con nastro adesivo trasparente estraendo dal tessuto reperti tra i quali polvere, fibre, sangue, frammenti di piante, di insetti e centinaia di granuli pollinici. L’analisi pollinica, ripetuta anche in seguito, ha fornito informazioni di tre tipi: – un elenco floristico di 58 specie diverse; di alcune specie sono state trovate anche le impronte impresse sul lenzuolo che testimoniano, secondo alcuni botanici, la deposizione di mazzi fioriti attorno al volto e al corpo; – un’area geografica di esposizione prevalente del lenzuolo nel Mediterraneo orientale, giacché 54 specie polliniche identificate sono attualmente viventi in Israele e Turchia.
Particolare
interesse rivestono Gundelia tournefortii L. e
Zygophyllum dumosum B., di cui sono presenti il polline e l’impronta della
pianta, che vivono assieme solo in Israele e Giordania; – una stagione
primaverile di deposizione dei fiori, tra marzo e maggio. Di recente, nuovi
dati da materiale originale di Frei-Sulzer
confermano la presenza di tracce botaniche significative come indicatori
geografici dell’area israeliano-giordana.
I risultati scientifici finora ottenuti sulla Sindone dividono la comunità scientifica, a rischio di pregiudizi su un tema che coinvolge la sfera religiosa, con pareri contrastanti anche su altri dati come, ad esempio, la datazione al C14 eseguita nel 1988, che la colloca al 1260-1390 d.C. Per questo si sta ancora cercando una datazione sicura, oltre che una spiegazione per il processo di formazione delle immagini impresse e un’affidabile metodologia di conservazione del telo.
(A.M. Mercuri) (& attenzione all'ultima....)
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