CHI DELLA FOLLA, INVECE,

CHI DELLA FOLLA, INVECE,
UN LIBRO ANCORA DA SCRIVERE: UPTON SINCLAIR

martedì 11 aprile 2023

APPROFONDIMENTI CIRCA IL PRECEDENTE CAPITOLO (per un crittografato Sentiero)

 









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& il grado di stupore 


e di terrore....







L’Archeopalinologia è una branca della Palinologia (greco: palinêin = diffondere o spargere), la scienza che studia il polline e le spore presenti in contesti attuali e passati, appoggiandosi su due principi di base: a) specificità – ogni specie vegetale possiede un polline con morfologia tipica, per cui determinare il polline significa riconoscere sempre la famiglia, spesso il genere e talvolta anche la specie botanica che l’ha prodotto; b) resistenza

– il polline è rivestito da uno sporoderma il cui strato esterno, l’esina, si conserva a lungo in substrati diversi permettendogli di restare riconoscibile anche dopo metodi di estrazione piuttosto drastici ma necessari per l’analisi, come ad esempio i trattamenti con acido cloridrico e acido fluoridrico, la bollitura in soda o il bagnomaria con miscela acetolitica composta da anidride acetica e acido solforico.

 

La Palinologia prevede ricerche: a) di base, morfologiche, tassonomiche e di biologia riproduttiva, e b) di tipo applicativo, con esame di substrati diversi nei quali sia possibile trovare polline. La Morfopalinologia, descrizione analitica dei granuli, porta sia alla creazione di ‘tipi pollinici’, che raggruppano forme affini sotto lo stesso nome, sia alla redazione di chiavi, schede e atlanti iconografici.




L’uniforme e corretta determinazione, che prevede inoltre l’uso di una collezione di vetrini di riferimento (Palinoteca), è la base dell’analisi pollinica, la metodologia comune che collega tutti i suoi campi di applicazione.

 

L’Archeopalinologia si è sviluppata naturalmente dalla Paleopalinologia, che la include e si occupa in generale di tutti i contesti del passato nei quali siano presenti polline, spore e altri palinomorfi fossili. Con un’accezione riduttiva, è considerata la ‘palinologia dei siti archeologici’ ma sin dall’inizio essa è stata chiamata in causa in tutti i diagrammi pollinici dove i mutamenti del paesaggio vegetale fossero determinati non solo da fattori climatici ma anche da fattori antropici.

 

Solo un secolo fa, i fattori antropici erano considerati di scarso rilievo e lo sviluppo della vegetazione postglaciale degli ultimi 14.000-11.000 anni era considerato funzione solo di fattori ambientali quali ad esempio clima, migrazioni di piante o natura del suolo.




Già negli anni ’30, però, Firbas aveva intuito la possibilità di rintracciare nei diagrammi pollinici influenze antropiche sulla vegetazione. Circa dieci anni dopo, Iversen dimostrò definitivamente che nei diagrammi sono visibili cambiamenti floristico/vegetazionali determinati dalle civiltà passate.

 

Da allora, l’Archeopalinologia si è sviluppata notevolmente come ricerca multidisciplinare che vede la cooperazione di botanici, archeologi, storici, geologi, etnologi, antropologi, zoologi e altri specialisti.

 

Alla ricostruzione della flora, vegetazione e clima del passato, che è scopo comune a tutta la Paleopalinologia, l’‘Archeo’ aggiunge l’indagine sulle tracce di presenza antropica e influenza delle comunità umane sul paesaggio vegetale.

 

Essa interviene in ogni ambito spaziale interessato dalla presenza e attività dell’uomo o dai riflessi di tale presenza, quindi anche al di fuori dei siti archeologici, ad esempio in carote lacustri o marine, i cui diagrammi pollinici portino tracce antropiche.




 Come già ricordato, l’Archeopalinologia studia le relazioni tra uomini e piante nel passato e le trasformazioni del paesaggio vegetale determinate dall’impatto antropico. È noto che il paesaggio attuale è il risultato di una lunga storia di evoluzione del paesaggio determinata da fattori naturali e antropici. Quando il fattore antropico è presente nel tempo si giunge alla creazione di un paesaggio culturale. Il paesaggio culturale vegetale è un mosaico di comunità vegetali direttamente o indirettamente influenzate dall’attività dell’uomo. Esso nasce dall’interazione di vari elementi quali, ad esempio, gli effetti dell’insediamento, lo sfruttamento di suolo e vegetazione, la realizzazione di opere di bonifica e regimazione delle acque, forze che hanno un diverso grado di pressione ambientale a seconda delle strategie di sussistenza e delle dimensioni delle comunità umane.




L’uomo influenza il paesaggio vegetale in diversi modi: sfruttamento: direttamente attraverso lo sfruttamento e utilizzo delle risorse vegetali, ad esempio con raccolta selettiva di piante utili o disboscamento per utilizzo del legname e per creare spazi a insediamenti agricoli e abitativi; coltivazione: direttamente attraverso la protezione/cura, l’introduzione e la coltivazione di piante utili, ad esempio aumentando la distribuzione delle piante native o importando da altre aree geografiche le piante che desidera coltivare; allevamento: indirettamente attraverso l’estensione di aree a pascolo e la selezione di specie resistenti o non palatabili per gli animali; aree abitate: diffusione di piante spontanee sinantropiche.

 

Ognuna di queste azioni produce riflessi nel paesaggio culturale. Le comunità vegetali modificate producono piogge polliniche, cioè insiemi di tipi pollinici, che le rispecchiano. Per questo motivo, le ricerche archeopalinologiche inquadrate in studi multidisciplinari contribuiscono alla ricostruzione del paesaggio culturale passato di una determinata area e i suoi cambiamenti nel tempo.




Da quanto sopra esposto, risulta chiaro che i segni dell’influenza antropica sul paesaggio vegetale sono leggibili nei diagrammi pollinici principalmente osservando l’andamento di due tipi di curve: a) la curva di forestazione, cioè la somma delle Legnose (alberi+arbusti+liane) che nel complesso offre una misura della copertura forestale dell’area studiata; essa può mutare in funzione di cause ecologico/climatiche e di cause antropiche; b) le curve degli indicatori antropici, cioè delle piante legate alla presenza e all’attività umana; esse mutano in funzione di cause antropiche e sono inquadrabili essenzialmente in due categorie principali: b.1) C/C o Coltivate/Coltivabili – si tratta di piante legnose ed erbacee prima protette/curate e poi spesso coltivate, il cui significato nei diagrammi dipende dall’abbondanza del rinvenimento, dal contesto e dalla cronologia del sito.

 

Tra le legnose, appartiene a queste categorie il polline di piante a frutto edule (Castanea – castagno, Juglans – noce, Olea – olivo, Ficus – fico, Prunus – pruno, Vitis – vite), cui sono affiancate piante di possibile utilizzo ornamentale (ad es., Platanus – platano, Rosa – rosa).




 Tra le erbacee, grande interesse riveste il polline di Cerealia che include alcune specie di Gramineae spontanee e tutti i cereali;  inoltre, altre erbacee coltivate sono testimoniate da polline di Cannabis – canapa, Vicia faba L. – fava, ecc. b.2) As o Indicatori Antropici Spontanei – si tratta di piante spontanee che si diffondono naturalmente al seguito degli insediamenti; comprendono sia ruderali/nitrofile (ad es. Chenopodiumchenopodi, Urtica-ortiche), sia indicatrici di calpestio (Polygonum-poligoni, Plantago-piantaggini), sia indicatrici di incolti (Artemisia-artemisia, Rumex-romici), infestanti e commensali delle colture (Centaurea cyanus L. – fiordaliso, Papaver rhoeas L. – rosolaccio).




Per estensione, l’individuazione di questi segni di attività antropica consentono inferenze su comportamenti umani, e sugli scopi di tali comportamenti, come ad esempio: a) una diminuzione del ricoprimento forestale può segnalare il taglio intenzionale di alberi per aprire radure atte a ospitare un insediamento abitativo, per creare spazi alle coltivazioni, per utilizzare il legname per le costruzioni; b) l’aumento degli indicatori antropici può indicare, a seconda della tipologia che viene considerata, la messa in atto di cambiamenti nelle strategie di sussistenza, dalla caccia-raccolta alla coltivazione, oppure la scelta ed estensione di colture legnose o erbacee, l’introduzione di nuove colture in seguito a viaggi, l’abbandono di alcuni tipi di colture a favore di altre, l’abbandono di un’area, l’estensione di un abitato.

 

L’Archeopalinologia in contesti di culto è uno dei temi più affascinanti dei quali si occupa nello studio dei contesti di culto, nei quali il polline diventa uno strumento utile per ricostruire vicende che hanno visto l’impiego di piante durante pratiche religiose e rituali come offerte votive, cerimonie o sepolture.




Anche se è difficile esaurirne l’ampia casistica, i tipi di domande alle quali il polline permette di rispondere sono riconducibili a tre gruppi principali:

 

Quali piante erano scelte a scopo di culto?

 

L’elenco dei tipi pollinici presenti in un contesto di culto porta alla compilazione di una lista floristica che corrisponde alle piante fiorite presenti in loco, sia quelle che crescono nell’area sia quelle accumulate in posto dall’uomo.

 

In una sepoltura o presso un’area sacra, un polline abbondante, cioè presente in percentuale o concentrazione alta nei campioni, testimonia un comportamento d’uso della pianta madre, ad esempio per deposizione di mazzi di fiori. Ognuna delle piante utilizzate a scopo cultuale può possedere un significato simbolico per un popolo, oppure rivestire un ruolo puramente estetico secondo il quale un fiore viene scelto grazie a colore e profumo.




Il significato o l’utilizzo votivo di alcune piante è in alcuni casi assai noto, in altri sporadico, occasionale o poco conosciuto e può essere rivelato dal polline.

 

In che area geografica si svolgeva il rituale di culto?

 

L’insieme dei tipi pollinici presenti in una lista è parte di una o più comunità vegetali distribuite in aree geografiche o fasce altitudinali diverse. Questo in molti casi permette di ricostruire tratti del paesaggio vegetale nel quale era ubicato il luogo di culto. Oppure, può dare un’informazione sull’origine geografica di oggetti o persone che sono stati trasportati da un luogo all’altro, oppure sul percorso da loro seguito durante lo spostamento.

 

In che stagione si svolgeva il rituale di culto?




Ogni polline corrisponde a una pianta che ha una stagione di fioritura tipica per ciascuna latitudine. Nella lista, sono rappresentate stagioni di fioritura più o meno identificabili, circoscritte e sovrapponibili. In genere, i tipi pollinici più abbondanti aiutano a individuare la stagione durante la quale il culto è stato praticato, oppure quella durante la quale un oggetto o persona è stato trasportato da un luogo all’altro.

 

È possibile dare una risposta a queste domande esaminando substrati o materiali diversi relativi al contesto di culto, tra i quali: – suoli o materiale sciolto proveniente da livelli archeologici di un’area di culto, – coproliti, sterco, accumuli di sostanza organica in livelli archeologici, – prelievi di materiale sciolto o polveri campionate in prossimità di sepolture, in punti chiave come attorno al capo, presso le mani o attorno al corpo, – riempimento di contenitori, vasi o pozzetti di vario tipo presenti in un contesto di culto, – resine o materiali affini rinvenuti in contesti di culto o dentro sarcofagi, – prelievi di polveri all’interno di sarcofagi o bare, – prelievi su resti di tessuti o oggetti relativi a eventi di sepoltura.




 Ogni contesto di culto può essere studiato prendendo in esame più tipologie di substrati polliniferi, i cui risultati devono essere integrati tra loro. Numerosi campioni e inquadramento multidisciplinare permettono ricostruzioni più complete e attendibili.

 

La Palinologia può aiutare a decifrare contesti chiari di culto o scoprire contesti di culto insospettati. Di seguito sono illustrati brevemente alcuni esempi in tema assai diversi tra loro. L’elenco è necessariamente parziale ed è stato compilato in modo da offrire un quadro delle potenzialità del metodo palinologico che grazie alla sua plasticità, alla varietà di tecniche di estrazione e alla reperibilità del polline in materiali diversi permette di intervenire in situazioni e periodi assai diversi tra loro.

 

Apre l’elenco il caso relativo allo studio pollinico della Sacra Sindone, rimasto ancora piuttosto indefinito dal punto di vista cronologico. Seguono cinque esempi ordinati in senso cronologico dai più recenti del periodo Medievale, al più antico risalente al Mesolitico, un gradiente temporale lungo il quale le informazioni accessorie sono via via più scarse e il metodo pollinico diviene sempre più critico per la formulazione di ipotesi di utilizzo cultuale delle piante.




 Uno dei casi più importanti e discussi in tema è quello che ha avuto per oggetto la Sacra Sindone, dove il polline è stato uno dei reperti studiati per verificare l’autenticità del Lenzuolo. Attorno al prezioso tessuto di lino (437 x 111 cm), arrivato a Torino nel 1578 da Chambéry, si è sviluppata da circa un secolo la Sindonologia, scienza che ha approccio multidisciplinare.

 

La palinologia applicata al materiale sindonico ha dato buoni risultati poiché il tessuto di lino si è dimostrato una buona trappola pollinica. Ciò è confermato tra l’altro da studi sperimentali nei quali pezze di lino di diversa tessitura sono state talvolta capaci di trattenere tra le fibre discrete quantità di polline (fino a 61 granuli/cm2), anche se non è possibile escludere che, nel caso della Sindone, i granuli più superficiali possano essere stati più volte persi o acquistati durante i suoi spostamenti.




Nel 1973 e nel 1978, il botanico e criminologo svizzero Max Frei-Sulzer eseguì prelievi con nastro adesivo trasparente estraendo dal tessuto reperti tra i quali polvere, fibre, sangue, frammenti di piante, di insetti e centinaia di granuli pollinici. L’analisi pollinica, ripetuta anche in seguito, ha fornito informazioni di tre tipi: – un elenco floristico di 58 specie diverse; di alcune specie sono state trovate anche le impronte impresse sul lenzuolo che testimoniano, secondo alcuni botanici, la deposizione di mazzi fioriti attorno al volto e al corpo; – un’area geografica di esposizione prevalente del lenzuolo nel Mediterraneo orientale, giacché 54 specie polliniche identificate sono attualmente viventi in Israele e Turchia.

 

Particolare interesse rivestono Gundelia tournefortii L. e Zygophyllum dumosum B., di cui sono presenti il polline e l’impronta della pianta, che vivono assieme solo in Israele e Giordania; – una stagione primaverile di deposizione dei fiori, tra marzo e maggio. Di recente, nuovi dati da materiale originale di Frei-Sulzer confermano la presenza di tracce botaniche significative come indicatori geografici dell’area israeliano-giordana.




 Inoltre, ricostruzioni climatico-vegetazionali hanno inquadrato lo spettro pollinico nel contesto cronologico di circa duemila anni fa. Ciononostante, altri studiosi, tra i quali V. Bryant, uno dei massimi esperti di palinologia forense, avanzano severe critiche alla tecnica di prelievo e all’analisi che è stata eseguita con microscopio ottico invece che a scansione. Il livello di affidabilità dei risultati è reso dubbio, dunque, dalla metodologia adottata da Frei-Sulzer che non consente una sicura determinazione pollinica a livello di specie.

 

I risultati scientifici finora ottenuti sulla Sindone dividono la comunità scientifica, a rischio di pregiudizi su un tema che coinvolge la sfera religiosa, con pareri contrastanti anche su altri dati come, ad esempio, la datazione al C14 eseguita nel 1988, che la colloca al 1260-1390 d.C. Per questo si sta ancora cercando una datazione sicura, oltre che una spiegazione per il processo di formazione delle immagini impresse e un’affidabile metodologia di conservazione del telo. 

(A.M. Mercuri) (& attenzione all'ultima....)

   

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