CHI DELLA FOLLA, INVECE,

CHI DELLA FOLLA, INVECE,
30 MAGGIO 1924

sabato 3 novembre 2018

CHI E' COSTUI? (3)




































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Si raccontò poi per molti secoli dopo... (1/2)

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‘Che cosa è?,

…chiese Niceta dopo aver rigirato tra le mani la pergamena e aver tentato di leggerne qualche riga.

‘È il primo mio esercizio di scrittura’,

rispose Baudolino,

‘e da quando l’ho scritto — avevo, credo, quattordici anni, ed ero ancora una creatura del bosco — me lo sono portato appresso come un amuleto. Dopo ho riempito molte altre pergamene, certe volte giorno per giorno. Mi pareva di esistere solo perché a sera potevo raccontare quello che mi era accaduto di mattina. Poi mi bastavano dei regesti mensili, poche linee, per ricordarmi gli eventi principali. E, mi dicevo, quando fossi avanti negli anni — come sarebbe a dire ora — sulla base di queste note stenderò le Gesta Baudolini. Così nel corso dei miei viaggi mi portavo dietro la storia della mia vita…




Ratispone Anno Dommini Domini mense decembri mclv kronica Baudolini cognomento de Aulario
io Baudolino di Galiaudo de li Aulari con na testa ke somilia un lione alleluja sieno rese Gratie al siniore ke mi perdoni
a yo face habeo facto il rubamento più grande de la mia vita ciò e o preso da uno scrinio del vescovo Oto molti folii ke forse sono cose de la kanccl cancelleria imperiale et li o gratati quasi tutti meno ke dove non veniva via et adesso o tanto Pergamino per schriverci quel ke volio cioè la mia chronica anca se non la so scrivere in latino
se poi scoprono ke i folii non ci sono più ki sa ke cafarnaum viene fuori et pensano ke magari è una Spia dei vescovi romani ke voliono male all’imperatore federico
ma forse non li importa a nessuno in chancelleria schrivono tutto anca quando non serve et ki li trova [questi folii] si li infila nel büs del kü non se ne fa negott

ncipit prologus de duabus civitatibus historiae AD mcxtiii conscript
saepe multumque volvendo mecum de rerum temporalium motu ancipitq

qveste sono linea ke i era prima et non o potuto gratarle bene ke devo saltarle
se poi li trovano questi Folii dopo ke li ho scriti non li capise gnanca un cancelliere perké qvesta è una lengva ke la parla queli de la Frasketa ma nesuno la mai schrita
però se è una lengva ke nesuno capise ndovinano subito ke sono io perké tuti dicono ke a la frasketa parliamo na Lengva ke non è da christiani dunque devo nasconderli bene

fistiorbo ke fatica skrivere mi fa già male tuti i diti




 Prima di marciare su Roma, Federico aveva fatto una puntatina in Lombardia. Da tempo Milano non pagava più i tributi, trascurava la manutenzione di strade e ponti, negava ospitalità ai legati tedeschi e angariava con guerricciole e spedizioni punitive il piccolo comune di Lodi, vassallo fedele dell’Impero e fiorente mercato, cui affluivano i prodotti agricoli di Crema, Pavia, Cremona e Piacenza che, in altri tempi, venivano convogliati su Milano.

Nel marzo del 1153, tre ambasciatori lodigiani erano stati inviati a Costanza per denunciare i milanesi. Il Barbarossa aveva spedito in Lombardia il conte Sicherio che vi era stato accolto a lazzi e sberleffi. I milanesi l’avevano addirittura malmenato, obbligandolo ad abbandonare di notte la città e a rivalicare le Alpi.

Poi, impauriti del proprio gesto, avevano inviato all’Imperatore un anfora colma di monete d’oro. Ma Federico non aveva voluto neppure ricevere i donatori e nell’ottobre dello stesso anno con un esercito di due mila cavalieri era sceso in Italia. Giunto a Roncaglia, nei pressi di Piacenza, aveva convocato i rappresentanti dei comuni padani. Lodi aveva ribadito le sue accuse. Le forze tedesche erano troppo scarse per un’azione di guerra contro  Milano, perciò il Barbarossa si era limitato a spianare al suolo i castelli di Momo, Trecate e Galliate.

Poi aveva puntato su Tortona, nemica acerrima di Pavia, filo – imperiale, e l’aveva cinta d’assedio. Dopo due mesi di resistenza, la città, vinta dalla fame e dal tifo, aveva capitolato. Nell’aprile, Federico era partito per Roma. Al calar dell’estate era tornato in Germania dove, durante la sua assenza, erano scoppiate qua e là piccole rivolte di vassalli.

Dopo la capitolazione di Milano la maggior parte dei comuni alleati di Milano mandarono ambasciatori al Barbarossa, in segno di omaggio. Domata la città ribelle e pacificata, almeno in apparenza, l’Italia del Nord, l’Imperatore convocò una solenne dieta a Roncaglia alla quale parteciparono non solo vescovi, principi e consoli, ma anche insigni giuristi dell’Università di Bologna.

Federico voleva che la grande Assise sanzionasse sul piano giuridico i diritti dell’Impero e fissasse gli obblighi dei sudditi. Chiese pubblicamente ai due maestri di diritto bolognesi, Bulgaro e Martino Gosia, se spettava all’Imperatore il titolo di signore del mondo. Bulgaro rispose di no, Martino disse di sì e fu premiato con un magnifico cavallo bianco. Fu posto poi il quesito se era meglio pagare un tributo all’Impero e goderne la protezione, oppure essere sottoposti a un vescovo o a una città vicina.

I comuni lombardi, minacciati dalle mire espansionistiche di Milano, dichiararono che era meglio essere vassalli dell’Impero. Meglio due anime e sangue misto purché…

(gli autori di codeste orrende e sgrammatiche pagine vengono – per loro incolumità – taciuti….)











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