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Si raccontò poi per molti secoli dopo... (1/2)
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Chi è costui? Acqua Fuoco Vento.... (4)
‘Che
cosa è?,
…chiese
Niceta dopo aver rigirato tra le mani la pergamena e aver tentato di leggerne
qualche riga.
‘È
il primo mio esercizio di scrittura’,
rispose
Baudolino,
‘e
da quando l’ho scritto — avevo, credo, quattordici anni, ed ero ancora una
creatura del bosco — me lo sono portato appresso come un amuleto. Dopo ho
riempito molte altre pergamene, certe volte giorno per giorno. Mi pareva di
esistere solo perché a sera potevo raccontare quello che mi era accaduto di
mattina. Poi mi bastavano dei regesti mensili, poche linee, per ricordarmi gli
eventi principali. E, mi dicevo, quando fossi avanti negli anni — come sarebbe
a dire ora — sulla base di queste note stenderò le Gesta
Baudolini.
Così nel corso dei miei viaggi mi portavo dietro la storia della mia vita…
Ratispone Anno Dommini Domini
mense decembri mclv kronica Baudolini cognomento de Aulario
io Baudolino di Galiaudo de li Aulari
con na testa ke somilia un lione alleluja sieno rese Gratie al siniore ke mi
perdoni
se poi scoprono ke i folii non ci sono
più ki sa ke cafarnaum viene fuori et pensano ke magari è una Spia dei vescovi
romani ke voliono male all’imperatore federico
ma forse non li importa a nessuno
in chancelleria schrivono tutto anca quando non serve et ki li trova [questi
folii] si li infila nel büs del kü non se ne fa negott
ncipit
prologus de duabus civitatibus historiae AD mcxtiii conscript
saepe
multumque volvendo mecum de rerum temporalium motu ancipitq
qveste sono linea ke i era prima et
non o potuto gratarle bene ke devo saltarle
se poi li trovano questi Folii dopo
ke li ho scriti non li capise gnanca un cancelliere perké qvesta è una lengva
ke la parla queli de la Frasketa ma nesuno la mai schrita
però se è una lengva ke nesuno capise
ndovinano subito ke sono io perké tuti dicono ke a la frasketa parliamo na
Lengva ke non è da christiani dunque devo nasconderli bene
fistiorbo ke fatica skrivere mi fa
già male tuti i diti
Prima di marciare su Roma, Federico aveva
fatto una puntatina in Lombardia. Da tempo Milano non pagava più i tributi,
trascurava la manutenzione di strade e ponti, negava ospitalità ai legati
tedeschi e angariava con guerricciole e spedizioni punitive il piccolo comune
di Lodi, vassallo fedele dell’Impero e fiorente mercato, cui affluivano i
prodotti agricoli di Crema, Pavia, Cremona e Piacenza che, in altri tempi, venivano
convogliati su Milano.
Nel marzo del 1153, tre
ambasciatori lodigiani erano stati inviati a Costanza per denunciare i
milanesi. Il Barbarossa aveva spedito in Lombardia il conte Sicherio che vi era
stato accolto a lazzi e sberleffi. I milanesi l’avevano addirittura malmenato,
obbligandolo ad abbandonare di notte la città e a rivalicare le Alpi.
Poi, impauriti del proprio
gesto, avevano inviato all’Imperatore un anfora colma di monete d’oro. Ma
Federico non aveva voluto neppure ricevere i donatori e nell’ottobre dello
stesso anno con un esercito di due mila cavalieri era sceso in Italia. Giunto a
Roncaglia, nei pressi di Piacenza, aveva convocato i rappresentanti dei comuni
padani. Lodi aveva ribadito le sue accuse. Le forze tedesche erano troppo scarse
per un’azione di guerra contro Milano,
perciò il Barbarossa si era limitato a spianare al suolo i castelli di Momo,
Trecate e Galliate.
Poi aveva puntato su
Tortona, nemica acerrima di Pavia, filo – imperiale, e l’aveva cinta d’assedio.
Dopo due mesi di resistenza, la città, vinta dalla fame e dal tifo, aveva
capitolato. Nell’aprile, Federico era partito per Roma. Al calar dell’estate
era tornato in Germania dove, durante la sua assenza, erano scoppiate qua e là
piccole rivolte di vassalli.
Dopo la capitolazione di
Milano la
maggior parte dei comuni alleati di Milano mandarono ambasciatori al Barbarossa,
in segno di omaggio. Domata la città ribelle e pacificata, almeno in apparenza,
l’Italia del Nord, l’Imperatore convocò una solenne dieta a Roncaglia alla
quale parteciparono non solo vescovi, principi e consoli, ma anche insigni
giuristi dell’Università di Bologna.
Federico voleva che la
grande Assise sanzionasse sul piano giuridico i diritti dell’Impero e fissasse
gli obblighi dei sudditi. Chiese pubblicamente ai due maestri di diritto
bolognesi, Bulgaro e Martino Gosia, se spettava all’Imperatore il titolo di
signore del mondo. Bulgaro rispose di no, Martino disse di sì e fu premiato con
un magnifico cavallo bianco. Fu posto poi il quesito se era meglio pagare un
tributo all’Impero e goderne la protezione, oppure essere sottoposti a un
vescovo o a una città vicina.
I comuni lombardi,
minacciati dalle mire espansionistiche di Milano, dichiararono che era meglio
essere vassalli dell’Impero. Meglio due anime e sangue misto purché…
(gli autori di codeste
orrende e sgrammatiche pagine vengono – per loro incolumità – taciuti….)
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