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3 Ottobre (30)
Regnano e governano, taluni eretici (e non) affermano pensano dispensano e scrivono, due distinti
principi regolatori ove nati (o potrebbero nascere) i relativi destini della
Terra, ed anche se il paragone può sembrare un paradosso rispetta comunque lo
Spirito qual comune denominatore della materia dal globale capitalismo
incarnata fagocitata divorata a mo’ di dinosauro con la sua preda, o,
all’opposto, uno gnostico poeta che tenta di immaginare una diversa ‘materia’ e
con essa un conseguente destino nella sua ed altrui impropria evoluzione dal
capitalista plasmata ed anche incarnata (tralasciando la Natura a cui tal
principio riferito e di cui il relativo Dio…); quindi il relativo nuovo mito o
dio innestato ed anche e purtroppo pregato, che comunque, se osservate bene
vanno ad incarnare cotal peccato - nel tempo creato – , facendo nascere
paradossali condizioni in cui l’uomo riflette il suo essere verso un passato ed
un futuro mai mutati e prevedibili nel costante dispiegamento di
medesima ‘materia’ dal Tempo tratta, giacché entrambi privi del dovuto Tempo in
cui un più certo Primo Dio invisibile e non pregato artefice… quantunque
avversato…
L’autore in oggetto di cui questa premessa sicuramente ben ‘rappresentato’ nell'odierno teatro ma non dovutamente tradotto come presto
leggerò nella breve biografia proprio perché manifesta quei tratti ‘patologici’
del proprio ‘futuro’ medesimo Tempo indistintamente perseguitato dal ‘vecchio’
al nuovo èvo transitato, senza possibilità di distinguo, ma altresì come più
volte detto, qual comune denominatore che ci induce a riflettere sulla reale
evoluzione non tanto della specie (e non solo umana) ma di talune pratiche che
ritenevamo a torto appartenere solo al medioevo.
Ed anche se la sua opera conosce e ha conosciuto il dovuto
successo è bene motivare qualche coraggioso editore circa la profetica
attualità dei suoi libri poco tradotti nella ‘culla’ del libero arbitrio in
Italia oggigiorno ben coltivato (così come un tempo e non sia mai detto
perseguitato…) i quali sono numerosi, non soffermandomi sulle immagini da cui
le più vere profetiche ‘visioni’ tratte, giacché anche qui vale quanto appena
detto: chi ispira l'immagine precedente ai pixel della moderna vista
ponendo sempre e comunque sia l’osservatore osservato in una duplice realtà
posto e nella questione di Spirito dedotta - e di cui, non volendo, foraggia lo stesso ‘meccanismo’ da cui l’autore in oggetto (e non solo) esula
(diabolico meccanismo qual chiave della
virtuale cultura dell’immagine e non solo dell’odierno progresso coltivato), e
da cui, chiudendo il cerchio, ne contesta essenza e principio divenendo
inconsapevole oggetto ‘contro-luce’ contrastato e assimilato ed anche come
detto: digerito pur suo malgrado...
Non mi dilungo sulla breve premessa giacché quotidianamente si fa
molto più uso di un diverso combustibile (stando alle statistiche almeno qui
nel patrio suolo italico sia per ciò che concerne il viaggiare sia per ciò che
concerne l’ugual pretesa di attraversare e conoscere il mondo…) fornendo - in
verità e per il vero - con medesimo marchio, quel materiale da macello in cui
sembrerebbe l’unica sua opera tradotta in patrio suolo la minore rispetto ad altre di maggiore denuncia
sociale non tanto avversa al già citato capitale ma all’intero meccanismo in
cui l’uomo quotidianamente soggiogato, o se preferite… allo schermo comandato…
Upton Beall Sinclair venne al mondo tredici
anni dopo la conclusione della Guerra Civile, nella capitale dell’unico Stato,
tra gli originari che vantano il titolo di essere emblematizzati in una delle
tredici strisce della bandiera dell’Unione, il quale abbia avuto per fondatore
un uomo che professasse la religione cattolica, George Calvert, primo barone
Baltimore.
Non andremo oltre nell’indagine sulle
specificità del milieu della nascita, una cui linea di
sviluppo promettente indurrebbe a soffermarsi sulla caratteristica del motto in
italiano arcaico iscritto sullo stemma del Maryland, né ricorreremo ad obsoleti
metodi biografici alla Sainte-Beuve se non per riferire che il padre del nostro
fu un venditore di alcolici, che soccombette ai postumi insalubri del proprio
stesso commercio, e la madre una devota osservante della Chiesa episcopale, la
quale protesse il figlio dalle inclementi vicissitudini familiari e lo iniziò
alla disciplina e all’astinenza.
La vocazione per la scrittura si rivelò,
infatti, in giovane età ed egli non godé mai, pertanto, vita facile. Una
pulsione indomita ad affinare la propria conoscenza delle forme espressive,
proclive alla precoce conquista di uno stile che restituisse il genuino soffio
vitale, universalità nella particolarità, ai personaggi ed ai fatti narrati, lo
sollecitò al compimento di opere in cui la consapevolezza sociolinguistica dei
contesti e dei vissuti consente ai lettori di interrogarsi, oggi, su quale sia
il cammino che dall’intreccio delle radici storiche si dipana ed indica la mèta
della coscienza di specie ciò che Sinclair fece sin dal primo capolavoro, Manassas,
un racconto della guerra di secessione i cui pregi non sono esauriti dal nitido
vigore con il quale vi sono rappresentati sia l’idioletto degli afroamericani
sia il forbito linguaggio delle classi dirigenti, né sarebbe applicazione di un
criterio meno che manierista ascrivere a guisa di mancanza il limitato impiego
del discorso libero indiretto, tale che i personaggi risultino in rilievo quasi
plastico, congeniale al registro epico, se è vero poi l’aneddoto riferito
dall’autore stesso in un’opera non meno felice, The Brass Check,
secondo il quale ad un veterano di Bull Run e di Gettysburg, che era stato fino
ad allora persuaso di non poter apprendere dai libri più di quanto non avesse
conosciuto per esperienza diretta, brillarono gli occhi quando ebbe voltata
l’ultima pagina ed esclamò:
‘Questa è la guerra, e pensare che non era
ancora nato!’.
Correvano allora tempi ingenui a paragone
della smaliziata sagacia tecnica che contraddistingue le prassi dell’odierna
industria editoriale, sicché il quarto d’ora di notorietà cui avrebbe
prestigiosamente alluso in un celebre aforisma la massima vedette della
pop-art toccò anche all’autore di The Jungle.
Questi, proprio in The Brass Check,
un memoriale, scritto alla fine della Grande Guerra – che, al di là
dell’Atlantico, dette avvio a nuove proiezioni imperialiste ed alla repressione
tramite la quale furono infiltrate e rese virtualmente incapaci di nuocere le
strutture organizzative della working class –, dove intese
denunciare la corruzione ed il cinismo allignanti nel giornalismo non
diversamente che nel ‘mondo letterario’, narrò così gli antefatti dello scoop:
‘C’era uno sciopero di schiavi salariati del
cartello della macellazione a Chicago, ed io scrissi per lo Appeal to Reason un volantino
indirizzato a quei lavoratori in lotta […]. Questo volantino fu sostenuto dai
Socialisti del distretto degli Scannatoi, e trentamila copie vennero
distribuite tra gli scioperanti sconfitti. Lo
Appeal to Reason mi offrì cinquecento dollari come vitalizio per il tempo
in cui avrei scritto un romanzo sulla vita di quegli schiavi salariati del
cartello della macellazione; così andai a Packingtown,
e vissi per sette settimane assieme ai lavoratori, e ritornato a casa
scrissi The Jungle’.
Si
trattava, dunque, di un esperimento del genere di quelli che in Italia, sebbene
con la peculiarità di un ritardo storico che cumulava allora in mezzo secolo e,
oggi, assomma a qualche decade in meno soltanto per significare alla massa dei
consumatori dell’informazione globalizzata l’orizzonte di una plausibile fine
dei tempi, vennero postulati sotto l’etichetta della ‘conricerca’ negli studi
di Renato Panzieri, Mario Tronti o Romano Alquati.
Il romanzo destò qualche scalpore, grazie al
fiuto per gli affari dell’editore della Doubleday, Page & Company, che lo
pubblicò in volume, ed a quello del ‘New York-Journal American’, che ne curò
l’uscita in appendice, cosicché cadde persino all’attenzione dello stesso
presidente, che era allora Theodor Roosevelt:
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