CHI DELLA FOLLA, INVECE,

CHI DELLA FOLLA, INVECE,
UN LIBRO ANCORA DA SCRIVERE: UPTON SINCLAIR

mercoledì 3 ottobre 2018

LA BARCA DELL'AZIENDA (& i segreti della fotografia) (25)




















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Torno a colorare il mondo! (26)

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Dagli avvoltoi alle api

Contro i bronzi di Riace














United Colors of Pedaggio

Chi mi ama mi segua!

Ma prima paghi il pedaggio al casello.

C’era una volta un’impresa simbolo del genio italico, Nordest creativo, colori e futuro, cardigan e pubblicità. La Benetton e quegli slogan choc di Oliviero Toscani: chi se li dimentica più? Solo che oggi andrebbero un po’ rivisti. Bisognerebbe dire, per esempio: United Colors of Pedaggio. Oppure: non avrai altro Telepass al di fuori di me. E al posto del corpo scheletrico dell’anoressica ci dovrebbe essere il borsellino dell’automobilista, altrettanto prosciugato.

La famiglia di Treviso, che partì povera e si arricchì con i vestiti, si appresta oggi a diventare leader mondiale delle autostrade, grazie all’acquisizione della spagnola Abertis. In Italia leader delle autostrade lo è già: attraverso le sue holding gestisce 3020 chilometri dei 5886 dati in concessione dal ministero dei Trasporti. Quindi oltre la metà. Sono 6 diverse concessioni che coprono una quantità infinita di tratte, dal Nord al Sud, a cominciare dalla Milano-Napoli, passando poi per la Milano-Serravalle, la Voltri-Gravellona Toce, la tangenziale di Napoli, il Traforo del Monte Bianco, l’autostrada Tirrenica, l’autostrada della Valle d’Aosta…




Ogni anno 2 miliardi di transiti al casello: ciò significa 5 milioni e mezzo al giorno, 230.000 l’ora, 63 al secondo!

Proprio così: ogni secondo che passa ci sono 63 veicoli che stanno versando il loro generoso obolo nelle casse dei Benetton. Provate a contare: un secondo. Ne sono passati 63. Un altro secondo, zac: altri 63. Sentite il tintinnar dei quattrini?

Non ci si può stupire se, in questo modo, si costruisce un impero. Laddove c’era il maglioncino, adesso c’è un colosso delle infrastrutture, che si estende dal Cile all’India, dal Brasile alla Polonia, gestisce gli aeroporti di Roma, compra gli aeroporti (tre) della Costa Azzurra, ha imprese di costruzioni e ingegneria, e controlla pure il monopolio del Telepass. Nel 2016 ha incassato 5,4 miliardi di euro, in Borsa ne vale circa 8,1. La maggior parte delle entrate arriva proprio dalla gestione delle autostrade, soprattutto da quando maglioncini e vestiti trendy hanno perso creatività e forza innovativa, come ha ammesso lo stesso Luciano Benetton in una storica intervista a ‘Repubblica’ (30 novembre 2017) in cui, a 82 anni suonati, ha strillato:

‘Torno in azienda. Avevo lasciato i manager ma loro hanno spento i colori. Ci siamo sconfitti da soli’.

Ovviamente parla di vestiti, mica di asfalto.




Perché invece lì, sull’autostrada, il tocco geniale dei Benetton non si è mai esaurito. E i guadagni, di conseguenza, neppure. È ovvio dunque che chi è capace di compiere simili magie vada retribuito in modo adeguato. È per questo che Giovanni Castellucci, l’uomo forte dei Benetton nel settore autostradale, amministratore delegato e direttore generale della holding Atlantia e amministratore delegato di Autostrade per l’Italia Spa, compare da anni nella lista dei manager più pagati d’Italia, con quasi 3 milioni di euro l’anno (ma è arrivato a prenderne anche più di 5).

Tutti guadagnati, s’intende.

Anche per il coraggio con cui si è presentato a Montecitorio a difendere l’azienda, quando il Parlamento (molto timidamente) ha provato a fare chiarezza sul mondo delle concessioni autostradali (aprile 2015).

‘Siamo la società che investe di più’ e le tariffe aumentano ‘meno della media italiana’, ha detto. E i deputati si sono mostrati così ossequiosi che, se andava avanti ancora un po’, organizzavano una colletta per dare una mano ai poveri imprenditori Benetton, così generosi nei confronti del Paese. In ogni caso, si sono affrettati a chiudere l’indagine conoscitiva prima che potesse disturbare troppo.

Come non capirli?




Contraddire il potente Castellucci è sempre pericoloso, mettersi contro la lobby autostradale al sapor di radicchio e maglioni colorati è sconsigliato. Però, scusate l’ardire, noi non possiamo fare a meno di leggere i dati ufficiali: tra il 2008 e il 2016 le tariffe sulla rete gestita dai Benetton sono aumentate del 25 per cento, ben oltre l’inflazione. Sul tratto autostradale della Val d’Aosta addirittura del 50 per cento. Se l’avesse fatto Gaetano al Bar Sport di Usmate-Velate la gente sarebbe scappata in massa. Invece dall’autostrada si può scappare solo un po’.

È per questo che al casello i ricavi aumentano anche quando il traffico diminuisce, chiaro no?

Passiamo agli investimenti: nonostante l’indiscutibile risultato ottenuto con il valico dell’Appennino, la ‘società che investe di più’ indubbiamente investe meno del previsto: manca almeno 1 miliardo e mezzo a quanto concordato al momento della concessione, che proprio per questo era stata prolungata fino al 2038. Avete capito bene: la concessione (stiamo parlando di quella di Autostrade per l’Italia, la più importante delle 6, che riguarda 2857 chilometri su 3020) dura fino al 2038 perché i Benetton avevano promesso quasi 10 miliardi di investimenti. Ne sono stati fatti 1 miliardo e mezzo in meno. Eppure al ministero, nel novembre 2017, hanno dato il via libera a un bel prolungamento: quattro anni in più. Fino al 2042. Più un indennizzo di subentro, a fine concessione, di 5,7 miliardi.

Ma vi sembra normale?




Guardate che questo meccanismo è ben strano. È un po’ come se uno studente svogliato riuscisse a convincere i suoi genitori a farsi comprare il motorino: se me lo comprate vi prometto che studio e sono promosso a giugno. Poi, invece, a giugno viene bocciato e i genitori, anziché togliergli il motorino, gliene comprano un altro nuovo di zecca. Assurdo? È quello che sta succedendo. Qualcuno che protesta?

Macché: silenzio generale.

Nessuno se ne accorge, nessuno capisce.

E quei pochi che se ne accorgono e capiscono si guardano bene dal sollevare obiezioni perché hanno paura. O perché ci guadagnano pure loro. In effetti quelli che ci guadagnano, da questa assurda situazione, non sono pochi: in questi otto anni l’azienda, con i soldi incassati grazie a tariffe sempre più alte, non solo ha fatto shopping nel mondo, non solo ha aumentato il suo patrimonio, ma ha anche distribuito copiosi dividendi ai suoi soci. Tre miliardi e mezzo, euro più, euro meno. Non è bellissimo? Un miliardo e mezzo di investimenti in meno, 3,5 miliardi di soldi in più in saccoccia. I soci privati fanno festa. E noi rinnoviamo loro la concessione. Ma si capisce: dobbiamo pur ringraziarli del fatto di essersi arricchiti alle nostre spalle, no? 






















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