CHI DELLA FOLLA, INVECE,

CHI DELLA FOLLA, INVECE,
UN LIBRO ANCORA DA SCRIVERE: UPTON SINCLAIR

domenica 5 novembre 2017

LO SCIAMANO AUA (31)






































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L'odierno vivere (30/1)

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Lo sciamano Aua (32)













Ci avevano raccontato che Capo Elizabeth, che si trovava a un paio di giorni di viaggio a nord di Lyon Inlet, doveva essere un buon posto per cacciare il tricheco, e così un giorno del nuovo anno andai lassù con il groenlandese Qàvigarssuaq, chiamato ‘edredone’, e due uomini della tribù locale, Usugtaoq e Taparté.
Il 27 gennaio 1922, una sera tardi con il cielo limpido e stellato, ci avvicinammo all’insediamento, ma la giornata di viaggio era stata lunga e aspra, desideravamo sinceramente trovarci sotto un tetto, e perciò scrutavamo affannosamente in cerca di esseri umani. A un certo punto, dall’oscurità davanti a noi spunta una lunga slitta con la muta più selvaggia che io abbia mai visto: quindici cani bianchi a tutta velocità, con sei uomini sulla slitta!
Si precipitano dritti verso di noi con tale forza che ne sentiamo il sibilo. Poi il conducente salta giù. Un ometto con una grande barba, completamente ghiacciato in volto, si dirige verso di me, si ferma, e mentre mi dà la mano alla maniera dell’uomo bianco, indica verso terra in direzione dei loro igloo. I suoi occhi intelligenti si posano vivaci su di me, e mi porta il suo saluto con un sonoro ‘Qujangnamik’: un ringraziamento agli ospiti che arrivano.
… Era lo sciamano Aua….




Quando vede che i miei cani sono stanchi dopo la lunga giornata di viaggio, mi prega di salire sulla sua slitta e con tono tranquillo ma autoritario ordina a uno dei giovani di condurre i miei cani fino all’insediamento. I cani di Aua ululano per la voglia di mangiare e la nostalgia di casa, e ben presto filano via sibilando verso gli igloo. La slitta è lunga sette metri e sotto ogni pattino ha uno strato di pasta di torba ghiacciata coperto da una sottile crosta di ghiaccio. Mentre i nostri pattini di ferro scivolano sulla neve pesanti, fischiando, la grande e pesante slitta di Aua cammina sul ghiaccio quasi senza attrito.
Tocchiamo terra sul letto di un piccolo torrente e dopo un tragitto breve ma impetuoso giungiamo a un grande lago dove le finestre di budello degli igloo rilucono verso di noi con il loro bagliore caldo, arancione. Le donne dell’insediamento ci accolgono con cordiale cortesia curiosità e la moglie di Aua, Orulo, mi conduce subito dentro casa. E’ la prima volta che incontro un grosso complesso di igloo ingegnosamente collegati. Le cinque capanne a forma di cupola si ergono come ardite arnie, unite da un unico lungo corridoio con numerosi magazzini di viveri che spuntano come ambienti autonomi. Un sistema di cunicoli si snoda di locale in locale in modo che si può andare in visita senza uscire all’esterno.




Vi abitano sedici persone divise in diverse capanne. Orulo passa da un giaciglio all’altro e mi racconta dei diversi abitanti. Vivono qui da molto tempo e, in conseguenza di tutto il calore, gli strati interni di neve si sono fusi formando delle incrostazioni. Lunghi ghiaccioli scintillanti pendono sulle porte d’ingresso e brillano alla luce soffusa della lampada a grasso. Sembrava più una grotta di stalattiti che un igloo, e avrebbe dato un’impressione di freddo se tutti i tavolacci non fossero stati provvisti di spesse, morbide pelli di renna che spandevano tepore intorno.
Eravamo venuti per cacciare trichechi, raccontammo, e questa notizia fu subito accolta con gioia dai componenti della famiglia di Aua. Certo anche loro avevano pensato la stessa cosa, e ora ritenevano che l’intero insediamento dovesse partire e spostarsi verso alcuni cumuli di neve nelle vicinanze del basso Capo Elizabeth. L’estate era trascorsa cacciando a terra e c’erano molti buoni depositi di carne nelle vicinanze, ma era già stato cominciato l’ultimo sacco di grasso.  Decidemmo perciò di andare tutti a caccia sul ghiaccio, ma prima bisognava passare un giorno intero a portare a casa la carne di renna dai depositi più vicini. Non si poteva mai sapere quanti giorni sarebbero passati prima di prendere di nuovo qualcosa. 




Il giorno in cui giunse il momento di trasferirsi, tutti si misero all’opera presto. Nei cunicoli c’erano mucchi di pentole e catini, grossi rotoli di pelle di renna, pelle che era in uso e pelle che ancora non era preparata, e poi enormi fagotti di vestiti maschili, femminili e da bambino. Nella penombra degli igloo sembrava non ci fosse niente, perché ogni cosa scivolava nella quotidianità e aveva un determinato posto. Ma all’aria aperta c’era in quel disordine la stessa inesorabile atmosfera di un trasloco….
Quando furono infine attaccate le slitte, cariche fino all’inverosimile, fui testimone di come da queste parti si fa affrontare a un neonato il suo primo viaggio in slitta. Sul retro della casa del ‘pollice’ fu aperto un buco e attraverso quel buco strisciò fuori la moglie con una figlioletta in braccio. Poi si mise davanti all’igloo e aspettò finché Aua, che come sciamano era per loro una sorta di padre spirituale, si avvicinò con cautela alla bambina, le scoprì il capo e con la bocca vicina al suo volto recitò la preghiera pagana del mattino, che suonava così:
‘Mi alzo per andare incontro al giorno,
 wa- wa.
 Mi alzo dal riposo con movimenti simili ai battiti d’ali  del rapido corvo.
Il volto si distoglie dall’oscurità della notte, guarda l’alba che imbianca’.
Era il primo viaggio della bambina, e quell’inno al giorno era una formula magica destinata a darle fortuna nella vita…..… 




‘Animali e uomini sono vicini’ disse Aua, ‘è per questo che i nostri antenati credevano che si potesse essere ora animale, ora uomo. Ma gli orsi ci sono più vicini di tutti. Può sembrare che abbiano intelligenza umana perché strisciano verso le foche addormentate come fa un cacciatore. Si appostano sul bordo della banchisa proprio come noi. D’improvviso si gettano nell’acqua, e quando tornano su hanno una foca tra le fauci. Se invece cacciano da un foro di respirazione, stanno lì per ore ad aspettare, ma nell’istante stesso in cui la foca sale in superficie, la loro enorme zampa la colpisce sul cranio, poi mordono e tirano su l’intero animale attraverso lo stretto foro di respirazione....

(Prosegue....)
















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