CHI DELLA FOLLA, INVECE,

CHI DELLA FOLLA, INVECE,
UN LIBRO ANCORA DA SCRIVERE: UPTON SINCLAIR

sabato 1 agosto 2015

COSA E' IL PROGRESSO?










































Prosegue in:

Cosa è il progresso? (2)













Cosa è il progresso?
E’ quello che le ha attribuito lo storico Gibbon.
Egli suppone che, dall’inizio del mondo, ogni secolo abbia aumentato e aumenti ancora la ricchezza reale, la felicità, la conoscenza e, forse, la virtù della specie umana. Questa definizione, che contiene una certa perplessità dal punto di vista dell’evoluzione morale, è stata ripresa e diversamente modificata, ampliata o ristretta, dagli scrittori moderni; resta fermo il fatto che, nell’opinione comune, il termine progresso dovrebbe comportare il miglioramento generale dell’umanità nel corso della storia. Bisognerebbe però guardarsi dall’attribuire ad altri cicli della vita terrestre un’evoluzione necessariamente analoga a quella che ha percorso l’umanità moderna.
Le ipotesi assai plausibili che si riferiscono ai tempi geologici del nostro pianeta rendono alquanto probabile la teoria di un’oscillazione di periodi corrispondente in proporzioni considerevoli al fenomeno alterno delle nostre estati e dei nostri inverni. Un va e vieni che comprende migliaia o milioni di anni, o di secoli, comporterebbe una successione di periodi distinti e contrastanti, determinando evoluzioni vitali molto diverse le une dalle altre.
Che cosa diventerebbe l’umanità attuale in un’epoca di lungo inverno, se una nuova era glaciale ricoprisse le isole britanniche e la Scandinavia di un mantello ininterrotto di ghiaccio e le nostre biblioteche e i nostri musei venissero distrutti dal gelo?
 Bisogna allora sperare che i due poli non si raffreddino simultaneamente e che l’uomo possa sopravvivere, adattandosi a poco a poco alle nuove condizioni e trasferendo nei paesi caldi i tesori della nostra attuale civiltà?




Ma se il raffreddamento è generale, è ammissibile che una sensibile diminuzione del calore solare, fonte di vita, e l’esaurimento naturale delle nostre riserve di energia possano coincidere con uno sviluppo ininterrotto della cultura, nel senso di un miglioramento e quindi con autentico progresso?
Già in epoca contemporanea possiamo constatare che le normali conseguenze della siccità terrestre, successive all’era glaciale, hanno provocato incontestabili fenomeni di  regressione nelle regioni dell’Asia centrale. I fiumi e i laghi prosciugati, le dune dilaganti hanno causato la sparizione delle città, delle civiltà e delle stesse nazioni. Il deserto di sabbia ha sostituito le campagne e le città.
L’uomo non ha potuto resistere alla natura ostile.
Qualunque idea ci si faccia del progresso, un punto sembra innanzi tutto fuori discussione: in epoche diverse sono apparsi individui che, per alcune caratteristiche, si pongono in primo piano fra gli uomini di ogni tempo e di ogni Paese. Si riducono a una trentina i nomi dei personaggi che per perspicacia, capacità di lavoro, bontà profonda, virtù morale, senso artistico, o qualsiasi altro aspetto del carattere o dell’ingegno, costituiscono, nella loro particolare sfera, dei tipi perfetti, insuperabili.




La storia della Grecia, in particolare, ce ne mostra grandi esempi; ma altri raggruppamenti umani ne hanno posseduti: spesso li dobbiamo intuire dietro ai miti e alle leggende. Chi si potrebbe definire migliore del Buddha, più artista di Fidia, più inventivo di Archimede, più saggio di Marco Aurelio?
Negli ultimi tremila anni, il progresso, se vi è stato, è consistito in una più larga diffusione di quella iniziativa un tempo riservata a pochi e in un migliore utilizzo da parte della società degli uomini di genio. Alcuni grandi ingegni non si accontentano di ammettere queste fondamentali restrizioni: negano persino che ci possa essere un reale miglioramento nello stato generale dell’umanità. Ogni impressione di progresso sarebbe, secondo loro, una pura illusione e avrebbe solo un valore personale. Per la maggior parte degli uomini, il cambiamento si confonde con l’idea di progresso o di regresso a seconda che si avvicini o si allontani dal particolare gradino occupato dall’osservatore nella scala degli esseri.
I missionari, quando incontrano dei superbi selvaggi che si muovono liberamente nella loro nudità, credono di farli progredire dando loro abiti, camicie, scarpe e cappelli, bibbie e catechismi, insegnando loro a salmodiare in inglese e in latino. Da quali canti di trionfo in onore del progresso non sono state accompagnate le inaugurazioni di tutte le fabbriche industriali, con i loro annessi di bettole e ospedali!




Certamente l’industria ha portato effettivi progressi al suo seguito; tuttavia è importante criticare con molto scrupolo i dettagli di questa grande evoluzione!
Le miserabili popolazioni del Lancashire e della Slesia ci mostrano che nella loro storia non tutto è stato vero progresso!
Non basta cambiare ceto ed entrare in una nuova classe sociale per acquisire una più grande porzione di felicità; vi sono attualmente milioni di operai dell’industria, di sarte, di donne di servizio, che ricordano con le lacrime agli occhi la capanna materna, i balli all’aria aperta sotto l’albero secolare e le veglie di sera attorno al camino. E di che natura è il preteso progresso per le popolazioni del Camerun e del Togo, che hanno ormai l’onore di essere protette dalla bandiera germanica, o per gli arabi algerini che bevono l’aperitivo e si esprimono elegantemente in gergo parigino?
La parola civiltà, che si usa di solito per indicare il grado di progresso di questa o quella nazione, è come il termine progresso una di quelle vaghe espressioni i cui diversi significati si confondono.




Per la maggior parte delle persone, indica soltanto la raffinatezza dei costumi e soprattutto le abitudini esteriori di cortesia; ciò non toglie che uomini dal contegno austero e dai modi bruschi possano avere una morale di gran lunga superiore a quella dei cortigiani che fanno complimenti cerimoniosi. Altri vedono nella civiltà solo l’insieme di tutti i miglioramenti materiali dovuti alla scienza e all’industria: ferrovie, telescopi e microscopi, telegrafi e telefoni, dirigibili, macchine volanti e altre invenzioni che sembrano loro sufficienti testimonianze del progresso collettivo della società; non vogliono saperne di più, né penetrare nelle profondità dell’immenso organismo sociale.
Ma chi lo studia fin dalle sue origini, constata che ogni nazione civilizzata si compone di classi sovrapposte, che rappresentano in questo secolo tutti i secoli precedenti, con le loro corrispettive culture intellettuali e morali. La società attuale contiene in sé tutte le società anteriori allo stato di sopravvivenza; viste a contatto l’una con l’altra, le situazioni estreme presentano uno scarto sorprendente. Evidentemente, la parola progresso può essere causa dei più spiacevoli malintesi, a seconda dell’accezione in cui è presa da chi la pronuncia.
I buddisti e gli interpreti della loro religione potrebbero contare a migliaia le diverse definizioni del nirvana; allo stesso modo, secondo l’ideale sul quale impostano la propria vita, i filosofi possono considerare come passi in avanti le evoluzioni più diverse e persino le più contraddittorie. Per alcuni il riposo è il sommo bene: si augurano, se non la morte, almeno la perfetta tranquillità del corpo e dello spirito, l’ordine, quand’anche fosse solo abitudine. Il progresso, come lo intendono questi esseri stanchi, non è certamente quello concepito dagli uomini che preferiscono una pericolosa libertà ad una tranquilla servitù.




Nondimeno, l’opinione comune relativa al progresso coincide con quella di Gibbon ed implica il miglioramento della persona dal punto di vista della salute, l’arricchimento materiale, l’incremento delle conoscenze, insomma il perfezionamento del carattere, diventato certamente meno crudele, persino più rispettoso dell’individuo e, forse, più nobile, più generoso, più altruista. Considerato così, il progresso dell’individuo si confonde con quello della società, rinsaldata da una forza di solidarietà sempre più profonda. In questa incertezza, è importante studiare ogni fatto storico dall’alto e da lontano, per non perdersi in dettagli e per trovare il distacco necessario con cui poter stabilire i veri rapporti con l’insieme di tutte le civiltà connesse e di tutti i popoli interessati.
 Così, fra gli uomini di grande intelligenza che negano nel modo più assoluto il progresso e persino ogni idea di continua evoluzione in senso positivo, Ranke, pur storico di grande valore, non vede nella storia che periodi susseguenti, che hanno ognuno il proprio particolare carattere e che manifestano tendenze diverse, trasmettendo una vita originale, imprevista, persino piccante, alle diverse tappe di ogni età e di ogni popolo. Secondo questa concezione, il mondo sarebbe una specie di pinacoteca. Se ci fosse progresso, dice lo scrittore pietista, gli uomini, certi di un miglioramento di secolo in secolo, non sarebbero alle dirette dipendenze della divinità, che vede in modo sempre uguale tutte le generazioni che si susseguono nella serie dei tempi, come se esse avessero un identico valore. Questa opinione di Ranke, così in disaccordo con quelle che si è abituati a sentire fin dal diciottesimo secolo, giustifica una volta di più l’osservazione di Guyau secondo cui l’idea religiosa è in antagonismo con l’idea di progresso. 
Se quest’ultima è rimasta a lungo sopita, appena risvegliata nei filosofi del mondo antico più liberi di spirito, se ha preso vita e piena coscienza di sé solo con il Rinascimento e con le rivoluzioni moderne, la causa risale al dominio assoluto degli Dèi e dei dogmi che è durato dall’antichità al Medio evo. Infatti, ogni religione parte dal principio che l’universo sia uscito dalle mani di un creatore e che quindi abbia avuto inizio dalla suprema perfezione....














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