CHI DELLA FOLLA, INVECE,

CHI DELLA FOLLA, INVECE,
UN LIBRO ANCORA DA SCRIVERE: UPTON SINCLAIR

venerdì 28 dicembre 2018

GLI ANELLI DELL'ALBERO (35)





















































Precedenti capitoli:

Esorcizzare il male  &  il male esorcizzato (33/4)

Prosegue in:













Ad un fanciullo della vaga Terra recentemente perita (36) &















Il Potere delle Parole (37)













Per un po’ giocai da solo nel cortile….

Parlavo coi paletti della staccionata, facevo cantare le erbacce, e in mezzo ci trovai tutti i barattoli vuoti di tabacco da fiuto che la famiglia London aveva buttato via nel corso degli ultimi dieci o quindici anni. Trovai anche un’asse piatta, ci caricai sopra tutti i barattoli e mi misi a camminare a quattro zampe; facendo finta che fosse un carro la spingevo in mezzo all’erba, dove tracciava un sentiero al suo passaggio. Arrivai a un punto dove il mio carro si insabbiava e i cavalli dovevano tirare più forte. Allora mi misi a sacramentare:

‘Iahhhhoooo, Judie! Forza Rhodie! Accidenti agli animali testardi! Piano adesso, piano! Così! E adesso tirate insieme! Issa! Judie! Rhodie!’.

Mi sentivo il migliore carrettiere del mondo, con la coppia di cavalli migliore del mondo, e il carro migliore del mondo. Poi feci finta di consegnare il carico, riscuotere i soldi, portare i cavalli e i muli al pascolo, e andare a trovare la mia gente. Mi lasciai scivolare sui massi pericolanti che stavano dietro casa mia, calpestai il mucchio della cenere sollevando un polverone bianco, e quando arrivai in cima alla collina vidi il bambino della porta accanto che se ne stava appollaiato sul suo mucchio di letame a osservare le mosche che ingrassavano su uno spicchio di pesca. Quando mi vide si lanciò in una corsa folle giù per il montarozzo, saltò su un cavalletto per segare la legna e disse:

‘Questo è il mio cavallo di battaglia!’.

Io mi arrampicai su una carriola rotta e gli urlai di rimando:

‘Questo è il mio carro armato da guerra!’.

Allora lui si fiondò giù dal cavalletto e corse di nuovo in cima al montarozzo di letame dicendo:

‘E questa è la mia nave da guerra!’.

‘I carri armati possono falciare intere navi da guerra’,

gli feci io.

‘I carri armati hanno mitragliatrici ultraveloci. Le navi da guerra invece funzionano solo nell’acqua. Io posso dare la caccia ai tedeschi anche sulla terraferma!’.

‘Ma al massimo ne potrai colpire un centinaio, di tedeschi. Il tuo carro armato da quattro soldi non ha tante pallottole come la mia nave da guerra’.

‘Facciamo che io mi nascondevo nel mio carro armato dietro una roccia, e quando uscivi dalla tua nave io ti uccidevo e tu eri morto!’.

Il bambino scese dal precipizio dal montarozzo, sgattaiolò dietro il fienile e dopo un po’ vidi la sua testa che sbucava dal piano di sopra, dove si caricava il fieno:

‘Questo è il mio forte militare’,

strillava.

‘E qui sotto c’è la nave con tutti i cannoni! Il tuo vecchio carro armato mi fa un baffo, adesso! Ah! Ah!’.

‘Ah! Ah! A te! Il tuo forte schifoso non vale una cicca’,

emersi da dentro la carriola arrampicandomi sul primo ramo d’un grosso albero di noce.

‘Adesso ho un aeroplano, e non immagini neppure che cosa ti posso fare!’.

‘Non puoi farmi un bel niente! Il tuo aeroplano non è neanche alto come il mio forte!’.

‘Posso andare più in alto!’.

‘Sono sempre più in alto io nel mio forte che tu sul tuo aeroplano! Le bombe non riesci a buttarmele!’.

Guardai in su e vidi che ero arrivato in cima all’albero. I rami ondeggiavano intorno a me, e la terra sotto mi sembrava un oceano in burrasca. Ma dovevo andare più in alto.

‘Io salgo quanto mi pare! E poi sgancio una bomba grossissima sopra il tuo stupido forte che ti farà tutto a pezzi, e ti staccherà la testa, le gambe, e sarai morto!’.

I pochi rami in cima all’albero erano grossi quanto un manico di scopa, e il vento lassù mi sbatacchiava come se fossi stato l’ultima noce della stagione.

La mamma uscì sbattendo la porta di servizio, e io stetti buono buono in modo che non vedesse che ero sull’albero. Anche la mamma dell’altro bambino uscì, con in mano un bidone di lattine e cartacce, e mamma le chiese:

‘Senta, sa mica che fine hanno fatto i nostri piccoli vagabondi?’.

Cosa hanno fatto i nostri piccoli vagabondi?






Cosa ne è di loro?

Cosa dei Profeti di questo ed ogni trascorso Secolo?

Cosa dei pazzi rimasti a guardia del proprio ed altrui Albero!?

Del proprio ed altrui Ramo!

Ove alta si scorge una foglia secca in Primavera e fiorita in Autunno quando ogni porta del cielo si dischiude al grigio umano appassire alla stagione visibile del Tempo rinascere e poi morire per ogni porta ove un Dio dimora!

Cosa è rimasto dei nostri cantori senza Memoria di cui la Storia preferisce una diversa Strofa!?

Cosa si scorge lassù da quell’Albero ove ci riconosciamo distinti Elementi accresciuti nello Spirito rimembrato e negato?

Ci scorgono da lontano viral Spirale d’un odio alla parabola rivenduto diluito distillato e spacciato per sana materia senza parola senza verbo cui confiscare e conficcare la nuova prodigiosa ‘vista’ di una dottrina sconosciuta ed aliena ove ognun connesso ed isolato in medesimo Albero non più congiunto alle radici della Terra quale più vasta ed invisibile antica condizione di sana appartenenza, ma al contrario, una parabola promettere futuro senza visione alcuna, promettere predominio sulla Terra, scordando che questa è pur Superiore per ogni sua venuta scalciare la furia.

Cosa ne è stato di cantori profeti e poeti?

Cosa dei loro miracoli!

Cosa dei loro Spiriti!

Rinati se pur sconfitti agli infiniti Elementi da cui il loro ma non certo nostro breve infinito Tempo scalciare motto e paura inutile materia limitata parola senza strofa alcuna!

Distillare monito e coraggio!

Ricordare ogni uomo inferiore al Dio che pur lo ha pensato dalla crosta sino alla cima dell’Universo ad una foglia pregato e rimembrato ad un Ramo proteso recitare il Verso per sempre braccato e transitato nel peccato di questo immondo imperfetto Creato…

Il Verso Suo taciuto se pur nell’orrendo di cui la Natura duplice Visione apostrofata: un Onda un Pensiero un volo una corsa risalire la cima dal fondo d’un mare risalire la crosta al gelo d’un antico peccato dall’uomo solo dall’uomo imperfetto consumato nominato e indicato…

Profeta ed apostolo d’un immondo peccato!

…Una Simmetria taciuta invisibile all’occhio ma non certo all’Anima quanto allo Spirito scomporre frammentare i colori da cui la vista scorgere prima ancor di vedere, intuire prima ancora della Ragione e del Pensiero cogliendo l’amaro frutto del Creato così come nato senza apparente pensiero e peccato…

…Sapere ancor prima di pensare, ammirare e pregare ancor prima dell’Oceano da una crosta di fuoco nato ancor prima della piaga d’un purulento batterio… ancor prima che ugual Frammenta immagine comporre ode e musica d’un diverso se più Perfetto Imperfetto Universo… divenuto…

Da una Poesia nato… e non ancora pregato…

…Solo per ricordare quanto piccolo quanto disgiunto quanto incapace quanto misero meschino volgare e precario…

…Solo un accenno solo un barlume della luce frammentata scomposta circoscritta e poi uccisa offesa umiliata e costretta qual ipotesi mai compresa dell’intero oscuro componimento senza occhio né vista alcuna sovrintendere la retina cui il verme comporre viscere e Terra e qualcuno cercarlo fin dentro la zolla…

…Ed ogni cosa naufragata proprio quando il verme non più branchia ma alito d’un polmone divenuto vento annusare ciò da cui pensa o peggio immagina la vita e qualcuno ricordare quanto la fatica dalla crosta sino all’inutile salita ove pensa o peggio si pensa superiore verme della venuta…

E un Dio taciuto ricordare la Rima comporre il Verso nel dolore della Vita certamente mai compresa solo recitata senza strofa e Poesia… alcuna…

(ringrazio Woody Guthrie per l’introduzione)













Nessun commento:

Posta un commento