Orsù!!
…intrepidi forestieri viandanti & più che noti benché sconosciuti latitanti Ciarlatani; seppur più stracchi che stanchi più cotti che accaldati - satolli ma sempre affamati – (e mai diffamati!), in ode alla prematura morte di Madre Natura accompagnata dalla suocera novella Madonna, da ognun ammirata e insegreto violentata seppur dichiarata Vergine (as)salita e Assunta dipinta per ogni edicola, quando cadde dal subaffitato settimo cielo (quello per intenderci e ben volere, celebrato dal noto Dante dato per disperso per l’altrettanta morta selva…) senza il velo che ben la proteggeva casta e pura, fu arsa allo spiedo da ogni paladino di corte fedele al proprio ed altrui nobilitato Cavaliere; solo doppo aver forzato la serratura le fu tolta anche la solida cintura, affinché la sete dello sfrenato desiderio senza l’amore della Natura poffa compiere la propria breve orgiastica disavventura; fu dichiarata et spafciata per Eretica giacché la sua Storia è l’Esilio d’una Fonte sconosciuta ove un Dio la prega e adora, seppur braccato peggio d’un Lupo… suo ultimo sventurato araldo…
….coniato
su una Forca…
Ben compiuta breve nonché accordata o scordata premessa senza liuto o pagnotta neppur caciotta e/o ricotta dello Pastore in cerca dello noto Lupo e col permesso della Madonna, porgiamo et offriamo i servigi del noto seppur sconosciuto calzolaio, per lo riparo dell’acciaccato sandalo, della sofferente ciabatta, dell’ultima sola non più risolata, dell’ulcerata anca non ancor pregata all’altare della più nota Patria o Suocera melonata, affinché l’intiera brigata possa compiersi al saldo dello pellegrinaggio dalla Cascata fin sulla più alta vetta dal Guerin celebrata in ode alla Sibilla e alla sua Fonte prosciugata dopo l’ultimo sibilo dell’oracolo dallo Settimo Cielo censurato et perseguitato, affiché lo canone della ‘porca’ non ancor porchetta possa compiere lo strazio alla medesima Natura…
Giacché Atene brucia non posso dir o argomentar altro, e come detto nell’ultimo papiro non ancor abbruscato meglio il sigillo dello discreto ulcerato silenzio…. (lo boscaiolo mi punta et osserva per la disadattata fuga senza appunto o appuntato che la protegga…)
Iniziamo lo
Viaggio dalla Cascata…:
A natura,
e l’arte fono
concorfe a formare
la Caduta delle
Marmore ed a
renderla un oggetto
della giuda ammirazione
di quanti fi portano
ad offèrvarne lo spettacolo. Quelle
acque del Velino,
che dalla fommita
d’un Monte tagliato
perpendicolarmente fi precipitano
nel fiume, che corre
alle radici del
medefimo coftituifcono quefta
maravigliola Caduta.
Nafce il Velino nei monti dell’ Abruzzo da quella parte, che riguarda lo Stato Pontificio e tratto il fuo principio da due fòrgenti delle quali l’una è preffo Civita Reale, e l’ altra ad Antrodoco, fi trova ben prefto ricco di tale copia di acque che prefenta un Canale sufficiente alla navigazione, divide la Città di Rieti dal fuo Sobborgo e quindi correndo lentamente pel vafto, e deliziofo Territorio alla medefìma lottopofìo, pafla vicino al Lago di Piediluco raccoglie in abbondanza le acque di quell’ampia Provincia, e qua, e là dolcemente fileggiando, giunge finalmente al piano delle Marmore, ove comincia quella velocità del fuo corfo, che quindi paffo paffo crefcendo monta ad un grado il più forprendente.
Si è
dalla dotta curiofità
degli eruditi Etimologici
ricercata l’origine del nome
Velino, e fi
è da alcuni
pretefo dedurla dal
nome della Dea Velia, una
delle molte Divinità
del Paganefimo.
Sarebbe
peravventura tollerabile quefla
pretenfione, di dedurre
dalla Mitologia tutti
i nomi lafciatici
dalla piu remota
antichità quando Dionifio
d’Alicarnalfo non ci
facefle chiaramente fapere, che
quello nome trae
la fua origine
dalla parola Velia,
che anticamente indicava
un luogo paludofo:
ibi erant
palufìria, qua mine
prifco lingua more dicuntur
Velia ( Lib. I.).
Si potrebbe piuttofto ricercare di qual lingua foffe avanzo quefta parola Velia, fe della Celtica, dell’Etrufca, della Volfca della Sabina, o dell’antico Idioma del Lazio: ma farebbe quello parimente un imitare il coraggio di quegli Scrittori, che fi avanzano a darci le più diftinte notizie di quelle lingue, di cui non fi fono confervate, che poche voci.
Quefte e quelle poche voci che udiamo pascere e delirare per quanto offerto e mai contraccambiato in nome del vigilato tribolato vento, udite in Pio silente silenzio, fra le morte secche foglie arfe al sole del profgresso, rimaste mute e vigili at vigilare ciò che l’Anima rimembra ma non più prega giacché purgata dallo più che affollato Settimo Cielo (or mi dicono immobile et soppalcato), le celebriamo pascoliamo rimembriamo adoriamo et alla prematura fine… preghiamo; e come detto all’ingresso di sifcato sudario, le accompagnamo con altrettanti artisti ciabattini affinché li sudati calzari fino all’oculo che li guarda e brama come tali, rimembri l’antico passo, or meglio l’antico cantico dello Pensiero perso comandato et esiliato ad una differente sofferta Vista, qual miglior ispiractione verso la comune antica Via; et assieme in nome dell’Assunta Madonna con scadenza di contracto - sfrattata dallo stesso Cielo - accompagnata all’intiera brigada della Natura, udirli et ripararli ancora in sofferta esiliata Vita è un dovere a me caro, e che la loro Voce ci sia d’ispiractione per sifcata silente perseguitata eretica preghiera…
Grazie alla
indefessa e sincera attività promozionale, forse non del tutto disinteressata
ma efficace, dello scultore Aurelio De Felice
(1915-1996) Orneore Metelli a guerra appena
finita da Parigi fu designato come, se non l’unico, certo uno dei pochissimi
pittori cosiddetti da considerare erede del Doganiere Rousseau.
Metelli fu infatti
definito e accettato come il ‘Rousseau’ del XX secolo. Per altro verso il
calzolaio di Terni fu precursore, come creatore e interprete di calzature
speciali e di lusso, del poi celeberrimo Salvatore Ferragamo. Metelli si dedicò
alla sua riposta, nascosta vocazione e passione primaria per la pittura subito
dopo la fine della Prima Guerra Mondiale. Tuttora viene considerato nel mondo uno
dei principali interpreti dell’espressività pittorica ingenua e autodidattica,
anche se poco rappresentato perché le sue opere non sono nel giro commerciale perché,
credo, sono ‘musualizzate’ (né ‘mussulinizzate’) o comunque in collezioni
stabili, consolidate.
Orneore nacque a Terni il 2 giugno 1872 da David e Getulia Fabri. Sua madre svolse la professione di sarta, mentre il padre lavorò come calzolaio nella ditta di famiglia, che era stata fondata da un antenato nel 1798, stando a quanto si evince dall’epigrafe dipinta dal M. nell’Interno della calzoleria (Terni, CAOS - Centro arti opificio Siri, dove sono conservati i dipinti del M., salvo diversa indicazione).
Terminati
gli studi elementari il M. entrò come apprendista nella calzoleria paterna.
Visse sempre a Terni – fatta eccezione per brevi e sporadici viaggi – città
nella quale sposò, il 4 giugno 1900, Giulia Ponnetti e dove svolse il mestiere
paterno per tutta la vita, occupandosi anche dell’elegante negozio di corso
Tacito (arteria principale del centro storico). Il M. produsse scarpe
particolarmente apprezzate per l’elevata qualità e l’originalità delle forme: calzature
civili, militari e teatrali, esportate anche all’estero, soprattutto in
Francia, che ottennero numerosi premi e menzioni d’onore alle esposizioni
campionarie nazionali e internazionali nelle quali furono presentate. Raggiunse
una tale notorietà in questo settore che all’Esposizione internazionale di Parigi
del 1911 venne invitato fuori
concorso e fu nominato membro della giuria d’onore preposta alle premiazioni.
In questi anni il M. impiegò il proprio tempo libero, soprattutto serale, per dipingere nella cantina o nella cucina della sua casa. Egli considerò la pittura una pratica intima e personale, condotta con costante impegno, ma senza alcuna velleità o pretesa intellettuale, tanto che, per rammentare la sua vera professione, era solito tracciare accanto alla firma la forma stilizzata di uno stivaletto.
Artista di autentica
vocazione e maniera naïf, il M. dipinse con vivace gusto narrativo, non privo
d’intonazioni aneddotico-didascaliche, e acuta sensibilità cromatica, episodi
di vita popolare ternana, scorci urbani e interni domestici, a volte intrisi di
riferimenti autobiografici. Nella sua produzione figurano anche vedute di altre
località, mai riprese dal vero, ma sempre sulla base di ricordi o immagini
sussidiarie, come ad esempio le cartoline illustrate prodotte nella tipografia
Alterocca.
Oltre alla più consueta tela utilizzò supporti di vario genere: compensato, cartone, lastre di zinco, terracotta, scampoli della stoffa leggera impiegata per foderare l’interno delle scarpe e persino l’anta lignea di una porta. Nella maggior parte dei dipinti i personaggi, le cui dimensioni risultano stabilite in base all’importanza e al ruolo sociale svolto, sono argutamente atteggiati e inquadrati entro campi scenari architettonici o paesistici, raffigurati secondo un’arbitraria quanto ferma e nitida prospettiva. Il M., infatti, considerò le regole geometriche di rappresentazione dello spazio adattabili alle esigenze compositive, tanto che la dislocazione di uno o più punti di fuga era determinata in base all’importanza e alla funzione dell’oggetto da porre in risalto. Chiari esempi di estrema arditezza prospettica sono Allegoria romana (1935), Processione (1938) o Temporale alla stazione di Assisi, dove la profondità spaziale si alterna a proiezioni assonometriche e le dimensioni di oggetti e figure variano liberamente in ogni porzione del quadro.
In maniera
analoga il M. elaborò una teoria delle ombre altrettanto inusuale ed empirica,
affinché le parti ombreggiate non recassero mai alcun ingombro alla rappresentazione.
Attento e partecipe cronista della sua epoca, il M. documentò le tradizioni contadine umbre, ma soprattutto le trasformazioni sociali e architettoniche in atto a Terni, città che, divenuta capoluogo di provincia nel 1927, necessitava di un moderno assetto viario e urbanistico con edifici amministrativi di avvenimenti più significativi riguardanti la città, come la Visita di Mussolini a Terni, le periodiche processioni religiose e le sfilate militari, senza trascurare la descrizione delle abitudini piccolo borghesi di una tranquilla vita provinciale: le passeggiate in carrozza nel parco (I giardini pubblici di Terni) o gli allegri incontri dei cacciatori (Bona caccia: la partenza).
In queste,
come in altre opere, il dato aneddotico risulta non di rado trasposto su un
piano d’incantata e favolistica narrazione, che può raggiungere toni nostalgici
o persino mitici. In alcuni dipinti il valore didascalico delle scene
illustrate è rafforzato dall’inserimento di parole scritte come fumetti, a
volte associate addirittura a filastrocche dialettali o partiture musicali,
come ne La forza del destino (Basilea,
Kunstmuseum).
Nel 1936 il M. dipinse Uno dei Mille e Mio padre garibaldino calzolaio, offrendo uno scorcio di intima vita familiare: l’interno della casa paterna con la madre intenta a cucire accanto al camino, il padre impegnato con le tomaie e il ritratto del nonno Vinceslao, garibaldino della prim’ora, appeso sulla parete di fondo.
La galleria
dei ritratti del M. è costituita da una serie di personaggi, storici o contemporanei,
di cui non è mai possibile conoscere l’identità, come nel caso della Venere di Terni (Basilea, collezione
privata), Susanna (Terni, collezione
privata), Personaggio storico o Personaggio
provinciale.
Celebri gli
autoritratti, a cominciare da quello nel quale veste la pittoresca divisa della
banda cittadina, con tanto di cappello piumato e giubba ornata con lustrini,
bottoni e ricami dorati. Il M. non attribuì mai valore artistico ai propri
dipinti, mostrati di rado agli amici più fidati. Vivente partecipò soltanto a
tre rassegne espositive, a Terni, nel
1936, propose l’opera Rientra la
processione; l’anno seguente, a Perugia, espose un olio di analogo soggetto
(Processione), ed infine, nel 1938, di nuovo a Terni, prese parte
alla VII edizione della Sindacale con due dipinti: La battaglia di Colleluna e È
andata male.
Quest’ultima opera, di soggetto autobiografico, è nota anche con il titolo È jita male e documenta l’attività della Fanfara Metelli, il complesso musicale che l’artista costituì nel 1910. Sotto una sferzante nevicata i musicanti rientrano in città, soltanto il M., il capobanda, si protegge con l’ombrello, quel parapioggia verde costantemente presente in tutti i dipinti che descrivono episodi della sua vita.
Il M. morì
a Terni mentre era ancora in corso la manifestazione, all’alba del 26 nov. 1938, lasciando incompiuto il
dipinto al quale stava lavorando, Uscita
dal teatro. Dopo la morte del M. le sue opere furono costantemente presenti
nelle esposizioni nazionali e internazionali: nel 1941 nell’ambito della VIII Sindacale a Terni gli fu riservata,
quale omaggio postumo, una sala personale nella quale vennero esposti tredici
dipinti. L’anno seguente le opere del M. varcarono per la prima volta i confini
regionali per essere presentate alla LVII Mostra della Galleria di Roma nella
rassegna riservata agli artisti partecipanti alle Sindacali umbre. Nel 1946 alla Galleria di Roma fu
allestita la prima retrospettiva su iniziativa dello scultore ternano A. De
Felice. Le sue opere furono esposte alla II Triennale internazionale d’arte di
Bratislava, durante la quale il M. fu riconosciuto come uno dei classici della
pittura naïf.
Nessun commento:
Posta un commento