CHI DELLA FOLLA, INVECE,

CHI DELLA FOLLA, INVECE,
30 MAGGIO 1924

sabato 28 gennaio 2017

SALVARE NOI STESSI (5)





































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In un testo tra i più recenti del Nuovo Testamento, la prima Epistola di Pietro, scrivendo quasi certamente da una comunità dell’Asia Minore ad altre comunità dell’Asia Minore in una situazione di tensione, se non di vera e propria persecuzione, precisa quelli che a suo avviso dovrebbero essere gli obblighi dei credenti (nel nostro caso cristiani e non) verso gli atei, coloro cioè, propensi al più bieco materialismo privo di principi, affermando:

‘Carissimi, io vi esorto come stranieri ad astenervi dai desideri della carne che fanno guerra all’anima’

Infatti, prosegue l’autore, la condotta del credente tra gli atei deve essere irreprensibile: essi non devono prestare il fianco alle calunnie dei denigratori non meno di quelle dei calunniatori.




Si tratta, per quanto ci consta, del più antico documento di una concezione destinata a grande fortuna: la concezione della Fede come comunità mondiale peregrinante su questa piccola Terra. Per meglio comprendere questa novità, occorre tener presente che, il nostro breve intervento, si compone di tre distinte concezioni profondamente diverse ma unite nell’intento di fede verso la finalità di una riflessione certamente più profonda di quanto possa apparire ad una approssimata lettura. Due concezioni una antropologica-individualistica di matrice greco-ellenistica e la concezione teologico-collettiva propria della tradizione ebraica.
Iniziamo dalla seconda di matrice biblica, a partire dal testo fondamentale di Gn 12, 1, là dove il Signore ingiunge ad Abramo: Vattene dal tuo paese, dalla tua patria e dalla casa di tuo padre, verso il paese che ti indicherò’, individua nello stesso Israele un popolo pellegrino, la cui condizione permanente di Straniero non terminerà nemmeno con l’arrivo nella terra promessa, dal momento che anche questa terra appartiene a Dio e, pertanto, Israele permane in essa ospite e forestiero (Lv 25, 23)




Ne consegue che, mentre la metafora dello Straniero indica, nella tradizione filosofica ellenistica, una condizione di estraniazione dell’Anima, il vero sé dell’uomo, rispetto alle sue concrete condizioni esistenziali, nella Bibbia, di contro, essa serve ad indicare una relazione tra Dio e l’uomo, inteso nella sua totalità (non vi è privilegia mento di una componente quale l’Anima) e come popolo, sullo sfondo di una concezione positiva del mondo, creatura di Dio.
Queste due concezioni si erano incontrate, nell’ambito del giudaismo ellenistico, nel pensiero di Filone Alessandrino, che, alla luce della sua particolare filosofia mosaica, le aveva rilette e fuse, dando luogo a una reinterpretazione destinata ad influenzare anche la tradizione cristiana. Il suo particolare platonismo porta Filone ad estendere la situazione di estraneità al mondo dal popolo eletto all’uomo in quanti tale.  
Adamo, in seguito al peccato, fu cacciato dal paradiso ed esiliato. Di conseguenza, ogni figlio di Adamo si trova a partecipare di questa condizione di esilio. La sua vera patria, infatti, è il cielo; ognuno di noi entra nel cosmo come una città straniera, in cui è destinato a soggiornare temporaneamente. Emerge così, un secondo tema, legato ma distinto dal primo: la vera patria di questo Straniero è non tanto il cielo, ma la città celeste, o meglio, da buon abitante di Alessandria, la megalopoli di cui a rigore l’unico cittadino è Dio.  




Se è vero che Filone universalizza il tema del popolo eletto come popolo migrante, pellegrino, è altresì vero che sullo sfondo delle sue preoccupazioni etiche egli lo individualizza. Per un verso, riprendendo spunti platonici, egli applica la metafora dello Straniero al dato etico- evolutivo; per un altro, però, ciò che gli preme mettere in luce è che la condizione di Straniero deve essere consapevolmente vissuta dal saggio. Il comportamento biblico di questo comportamento etico-religioso, cui deve aspirare il saggio se vuole ritornare nella sua vera patria, gli è fornito da Giacobbe.
Un ultimo spunto merita di essere sottolineato: proprio perché la vera patria dell’amico di Dio è la città intelligibile, egli deve volontariamente mantenersi in questa condizione di estraneità al corpo e al mondo. Se la sua residenza è celeste, lo sarà anche la propria familiarità con Dio. Di conseguenza, egli dovrà conservare la sua situazione di Straniero nel soggiorno temporaneo nei confronti del corpo e del mondo, con la conseguente situazione di estraneità. Il vero amico di Dio – questo in fondo il senso ultimo della spiritualità di Filone, precorritrice di certa ascesi cristiana – è colui che, estraniandosi dal mondo e rinunciando ai suoi beni, potrà così rifugiarsi presso Dio....


















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