CHI DELLA FOLLA, INVECE,

CHI DELLA FOLLA, INVECE,
UN LIBRO ANCORA DA SCRIVERE: UPTON SINCLAIR

giovedì 7 marzo 2019

BUM-BUM

































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Ritmo irregolare Passo sciolto

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Bang-Bang  &

...E chi si aggrappa al sogno...













Ora stiamo per assistere ad un mutamento di scena… lasciamo che Francesco passi e che gli svizzeri prendano decisioni adeguate…

…E lasciamo me stesso, riverso sul tavolino in quel dì di Cornovaglia…, ma non è possibile: devo pure accompagnarvi sino alla fine del romanzo…
Se il lettore non ha potuto ancora farsi un’idea chiara di quel pezzo di terreno situato in fondo all’orto di zio Tobia, la colpa non è mia, ma della sua scarsa immaginazione; sono certo, infatti, di non aver lesinato i particolari nella descrizione, anzi sovente mi vergogno della mia pedanteria.




Quando il fato, un pomeriggio, ispezionando i grandi avvenimenti degli anni venturi, si ricordò a quale scopo quel piccolo lotto di terreno era destinato, fece un cenno alla NATURA… fu sufficiente… e la NATURA vi gettò sopra una mezza vanga dei suoi più pregiati composti, con quel tanto di argilla sufficiente a irrobustire gli angoli e le pareti dentellate, senza neppure quel pizzico in più che avrebbe potuto danneggiare gli attrezzi e rendere quegli splendidi lavori di fortificazioni un’orrenda fanghiglia, col tempo cattivo.

Zio Tobia, come il lettore ha potuto apprendere, portò con sé le piante di quasi tutte le città fortificate d’Italia e delle Fiandre. Non appena il duca di Maribourough e gli alleati attaccavano una città, zio Tobia immediatamente ne allestiva un plastico in giardino. Il suo metodo, il più semplice del mondo, consisteva nel prendere visione della pianta della città non appena questa veniva circondata d’assedio (e se era possibile, anche prima, quando se ne ventilava soltanto il progetto) e quindi riportarla, con misure proporzionalmente più limitate, sulla verde spianata delle bocce, sulla cui superficie, con l’aiuto di un grosso gomitolo di spago, di varie asticciole piantate nel terreno, di parecchi angoli e contrafforti, riusciva a trasferire le linee dalla carta e, dopo aver tratteggiato i contorni delle fortificazioni, determinato la profondità e la pendenza dei fossati, gli spalti della trincea e l’altezza precisa dei vari parapetti, metteva il caporale all’opera e tutto procedeva regolarmente…




La NATURA del suolo, il genere stesso di lavoro e soprattutto zio Tobia, col suo carattere affabile, che se ne stava seduto dalla mattina alla sera a chiacchierare amichevolmente col caporale sugli ultimi avvenimenti, rendevano la FATICA tale solo di nome.

Quando la fortezza era pronta, con tutti gli accorgimenti di difesa adatti, veniva assediata!

Zio Tobia e il caporale tracciavano la prima parallela.

Adesso vi prego di non interrompermi con l’obiezione che la prima parallela deve essere sempre distante trecento tese dal corpo principale della piazzaforte e che io non ho lasciato nemmeno un centimetro di spazio: perché zio Tobia si era preso la libertà di invadere anche l’orto per poter ampliare le fortificazioni della verde spianata, ragion per cui tracciava la prima e la seconda parallela tra due file di verze e di cavolfiori.




Esamineremo ampiamente i vantaggi e gli svantaggi relativi, nel racconto delle campagne di zio Tobia e del caporale, di cui sto tracciando ora solo un abbozzo, che occuperà poche paginette…

Le campagne stesse occuperebbero col loro racconto parecchi libri, capisco perciò che verrebbe appesantito troppo questo romanzo leggero e frivolo, volendole inserire così sconsideratamente. Certo meriterebbero di essere stampate a parte. Studieremo anche questo problema: per ora gustatevi il seguente abbozzo…

Quando la città con le sue fortificazioni fu terminata, zio Tobia e il caporale cominciarono a tracciare la loro prima parallela, non a casaccio (come molti potrebbero immaginare…), ma osservando le stesse distanze e misure usate dagli alleati e, regolando gli assalti in base alle notizie raccolte dal giornali (o da altre fonti… per ora anonime…), essi avanzavano di pari passo con gli alleati durante tutto l’assedio…




Quando il duca di Mariborough occupava una posizione strategica, mio zio Tobia faceva altrettanto.

Quando la facciata di un bastione veniva abbattuta o una fortificazione distrutta, il caporale prendeva il piccone e lo imitava.

E così proseguivano guadagnando (sì guadagnando…) terreno e impadronendosi di una roccaforte dopo l’altra, finché tutta la città cadeva nelle loro mani. Per uno che goda della felicità altrui non poteva esistere niente di più bello che starsene dietro la siepe di carpine la mattina in cui la posta recò la notizia che era stata praticata una breccia dal duca di Mariborough nel corpo principale della roccaforte, e contemplare la gioia con cui zio Tobia, seguito dal fedele Trim, partì anch’egli all’attacco.

















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