CHI DELLA FOLLA, INVECE,

CHI DELLA FOLLA, INVECE,
UN LIBRO ANCORA DA SCRIVERE: UPTON SINCLAIR

giovedì 11 luglio 2019

ROSSO O NERO MEDESIMO IL QUADRO DAL POLITICO ISPIRATO (11) & (43)




















Precedenti capitoli:

Il fascismo al potere (9/10)

Preghiera nel Bosco (42)

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Dal 'politico' ispirato (12)  &  (44) &

Rime taciute alla parabola del Tempo (45)














Posai i miei pensieri su questa terrazza con una incantevole vista.
Posai le mie mani sulla fioriera che la bella cameriera annaffia ogni mattina, mostrandomi le sue alte cime come due frutti succosi ed un nobile di dietro… come fosse la sella di un puledro.
Lei lo sa, io sono uomo colto e potente… la politica è il mio mestiere.
Lei lo sa, ho molte conoscenze; lei, invece, solo la fame da saziare, quella ingorda, abbonda in ogni stagione ed in ogni mese nella sua verde e prospera natura.
Lei solo la fame deve saziare quella ingorda della nostra natura, conosce ogni astuzia nel bosco della vita assieme all’arte di ingannare la gente,  conosce il frutto proibito di sedurre una contadina, illusa nel sogno di far un po’ di fortuna per una fame che spesso tortura.
Io sono l’astuto uomo di corte, politico di natura. Qual natura io qui non dico perché in lei io prego l’antico crocefisso, ricordo di un lontano antenato quando a lui il chiodo fu dato per macellarla come un agnello nel nome di un popolo ‘eletto’.





Or non ci dilunghiamo su questo mito strano, perché io con la parola mi vesto e quando l’adopero ogni essere seduco e incanto; c’è chi rimane stupito della mia cultura e chi estasiato della statura, anche se non ha compreso un fico del mio discorso greco e latino… perché il popolo è eterno contadino, ma di fronte a me fanno tutti l’inchino ed ognuno rimane stupito dell’arguto e saccente nonché dotto… mio sapere.
Favello in latino greco… e aramaico antico…, e quando si presenta l’occasione nella sala dell’albergo che domina la vallata mi trattengo con l’inglese arguto e il tedesco risoluto. Certo, non si vede, ma sono diplomatico di mestiere. Ogni affare è diletto perché servo del mio ricco signore e per sempre mio padrone, certo finché un nuovo intrigo non costringono il suo o il mio castigo. Dopo la pace sarà celebrata, un’alleanza stipulata, un nuovo matrimonio coronerà la speranza del popolo che partecipa alla comune mensa… nel ruolo che meglio alberga il suo destino, donato non certo da noi… ma dal nostro comune Dio.





Parteciperà al nostro umile banchetto, noi alla tavola, lui nella cantina a misurare la distanza cui bisogna tenere il volgo, e a condire ogni portata con il miglior vino perché il sangue del suo martirio è il nostro piatto preferito. Siamo uomini di corte e di regno (nonché arguto ingegno) e di astuto tradimento, l’intrigo è l’arte antica del politico, la religione detta le umili ore, il tempo  governa il nostro paradiso…
Giochiamo con la parola, perché quando vien detta, nessuno, nemmeno il dotto interlocutore del ricco e ben condito discorso, la intende nella giusta sua natura, forse perché inganniamo proprio quella. Per noi è solo un inutile contorno, fra un piatto di cacciagione ed un buon dolce; è una piacevole vista talvolta annebbiata fin dal primo mattino, colpa del buon vino.
La incorniciamo in tanti ricchi quadri commissionati e pagati dagli stessi viandanti, compaiono a frotte o in umili vesti, mentre ornano la pecunia del nostro mondo antico foderato tutto nel lusso del nobile palazzo antico; numerato come vuole e comanda la sorte sopra ogni portone, abbiamo composto anche il motto segreto araldo di ogni fiero discorso; cosìcché il gregge che prega e lavora abbia timore del nostro buon nome, vi abbiamo inciso anche un crocefisso per ricordare a tutti il martirio antico, nella cappella dove ogni mattino preghiamo il nostro buon Dio.





Quando stringo le mani accompagnate al mio sorriso rivolto agli ospiti esultanti, a loro può sembrare un invito: un sole caldo in un cielo limpido che promette ricchezza e fortuna, chi la mano stringe con ugual cortesia e stesso inchino, mai di certo potrà leggere il vero pensiero dell’uomo di Dio, pregato come dicevo… ogni mattino. Mai potrà capire quale arguzia e inganno si cela nel bosco di tal natura, quale finezza accompagnano il saporito piatto della  politica nominata diplomazia.
Il diletto dell’arte mia mi vien mangiando ogni delizia che la serva mi porge mostrandomi il suo frutto proibito fra un inchino ed un buon bicchiere di vino, io disdegno e la spio con l’astuzia del mio fiuto: uccel di bosco alla vista di ogni commensale per questa fiera cavalcata… di ogni ricca e saporita portata. Ad ognuna l’ho violentata e goduto, e aperto il suo nobile di dietro come al pollo che mi offre saporito cotto allo spiedo di un antico martirio, se prova qualche incertezza nominata trascuratezza nel non averlo ben condito, vi poso il burro del mio candido sorriso, e affondo il verbo del mio segreto piacere.





Lei mi guarda e mi fa di nuovo l’inchino mostrandomi il latte del bosco suo rigoglioso: seni promettenti e vesti trasparenti; quando si piega per raccogliere il tovagliolo della sua missione tutto lascia godere come la miglior vista della vallata dove ora bruca l’erba come la pecora servita; disapprovo il gesto e schifato chiedo altro vino, l’ho posseduta per tutto il banchetto certo parlando sempre di Dio. Alla fine del dolce, quasi pentita ed avvilita, si inchina a lavare la macchia della mia fatica, nel gesto compiuto di questa strana natura un sussulto ha scosso il modesto ed umile appetito e di bianco ho condito il prezioso abito del mio disgusto. Quasi schifato ho continuato il dotto dovere, la dialettica è il mio mestiere, lei si inginocchia e strofina l’eterna fatica, nulla si vede di ciò che non deve esser detto.
Finito il servizio provo pena per quella serva, l’ospite mio invece, intimorito dal dotto discorso, ha gradito la risoluta fermezza nel cacciare ogni servo al compito destinato da Dio, venerato e pregato ogni mattino assieme alla madre sua, nominata Madonna, nella cappella che orna la ricca dimora rifugio da ogni peccato… per questo immondo e lurido Creato….





Sono uomo di Dio, banchiere della sua Divina Parola, nonché custode del Sacro Regno. Quando inganno la natura lo faccio con il sorriso, quando preparo una guerra lo faccio con un bicchiere di vino, lo divoro con l’agnello, sono io il lupo nel folto del bosco. Lo perseguitiamo per insegnare al popolo chi è il Diavolo in codesto reame, e con lui anche l’uomo che forse l’ha nutrito, Diavolo o Bandito, qui tutto l’esercito schiero per debellare il male.
Tutto il popolo rassicuro quando osservo il panorama da questa grande loggia; la povera serva lo sa, per questo si aggrazia ogni mattina per non essere da meno della giumenta cui godo il latte della vita. Affinché ogni mia voglia desiderio e credo, si possano deliziare e soddisfare così come Dio intende  volere e piacere accompagnati all’istinto appagato, nel nome del peccato da me e per sempre perseguitato.
Sono anche Giudice, e quando condanno il pover’uomo sulla forca, quello che cercò la sua sposa in un’anima prigioniera della stessa sventura, e di lei si impossessò liberandola dalla tortura…, recito la mia preghiera affinché Dio allontani codesta malsana e deviata natura. Io lo giudicai reo di assassinio nei confronti di un contadino a cui aveva rubato il quotidiano peccato: moglie sposata o bestia accudita non fa differenza nell’arcana mia scienza, per la legge è serva di Dio e anche del villano nominato nella sentenza, mai di certo il cuore suo batteva per un Trovatore in cerca di una diletta.





Musa o intelligenza che ispira la sua strana sostanza, rima accompagnata alla strofa della vita, io giudico dove dimora la donna e la bestia accudita dal servo custode e pecunia della terra asservita alla dura fatica.
Mi han raccontato, testimoni timorati della parola di Dio, che la portò in una casa dove con lei divideva l’amore, e quando il marito tradito li colse con il frutto proibito dell’ansano et immondo peccato, il reo bandito lo scannò come un agnello imprecando e maledicendo Dio. Io che sono Giudice per conto e in nome di Dio, su una forca lo appesi come la mela del giardino proibito. Lei, poi, la promisi sposa e serva del Dio custode di codesto giardino, recitare le eterne preghiere nel circolo ristretto di un albero dove mai più le sarà consentito di assaporare il frutto della vita se in lei vuol scontare la vergogna e la colpa, altrimenti sarò costretto ad purgare il giovane suo corpo dal Demonio che ancora la divora.
Questo misero capitolo della vita ogni tanto mi divora, così quando posso prego con la mia serva iniziandola al frutto del peccato punito nel ricordo del martirio nel quale io fui Giudice di Dio!





Quando in separata sede cavalco e governo l’intero Creato le stringo bene i fianchi per farla meglio godere, le alzo la veste fin dove lei ha custodito il suo bel nido, poi come ogni cacciatore affondo la lancia nel profondo del ventre per spargere il seme della mia natura. Lei soffre e scalcia come fosse divorata o pentita di questa vita così mal nutrita. Poi spalanca il bosco suo ad un lupo, un assassino ben vestito cacciatore del Regno di Dio; così comanda e recita il versetto, ogni bestia fu da lui creata per soddisfare l’istinto della vita, ed ora l’agnello o la pecora che qui io sacrifico…, un urlo di godimento porterà all’altare del Dio così ben servito.
Ora però non perdiamoci in codesta sconcia natura, il politico del Regno è un uomo più che degno perché porta la parola di Dio ben scolpita nel gesto e nell’esempio. Come ho già detto, così è scritto nel Libro, questo il verbo e il miracolo scolpito assieme all’araldo del mio buon nome, ben visibile nella grande Cattedrale da me costruita rifugio di ogni anima dove il pastore è eterno custode.
Ognuno sia punito per il peccato commesso e l’adulterio è tradimento che conosce ugual punizione di Dio: povertà di un gesto dettato dall’istinto come i due amanti da me giudicati e trattati come lupi assatanati. Lui è sepolto senza una tomba, lei dimora nel Regno Sovrano di Dio senza memoria né storia, solo l’eterna preghiera per chiedere perdono del suo peccato.
Ora è una suora timorata della mia parola.





Lui è concime della terra, sia nutrimento per le bestie affinché la sua anima e le ossa siano di quelle!
Lei ha scoperto la sola legge del Creato, perché all’inganno confuso per amore si è abbandonata senza alcun timore. Che viva e si nutra nel ricordo e nel rimpianto della sua terra, quando da donna era poco più di una bestia, e il lavoro conosceva come sola ricchezza e preghiera.
Senza legge e disciplina, la mia parola, dopo questa cavalcata mattutina, non sarebbe il fertile seme della terra.
Il Creato è il mio regno.
Il concime è la strofa o la rima… di un Diavolo… nominato Eretico, da me sempre braccato e seppellito là dove la terra chiede il suo nutrimento e l’eterno sacrificio.
A me non resta che raccoglierne la ricchezza.
A me non resta che governare la fertile Terra.
Ma ora non divaghiamo in codesti tristi ricordi…, bella cameriera, perché dopo averti insegnato il segreto del peccato e spalancato le porte del vizio l’inferno non ti ho raccontato o forse non ancora spiegato: brucia la pelle e fa cenere le ossa mentre li guardo nell’ultima smorfia, poi rimane solo polvere al vento in eterna memoria della nobile preghiera incisa nella storia….





Questo il segreto componimento quando nella terra coltivo il mio seme.
Quando nel bosco bracco l’uomo ed il lupo con lui cresciuto.
Quando inseguo ogni preda con la bava alla bocca e l’istinto di uomo fedele al suo Dio.
Non mi bastava possederla e montarla come una bestia, voglio provare a farla godere…. fino a vederla soffrire e morire prigioniera e sazia del suo ingordo appetito. Perché io so ed insegno che ogni donna è come un Diavolo mal nutrito e con lei celebro il mio paradiso: gioco strano e perverso (che non sia né visto né udito): affrontare il demonio dal male partorito e poi braccarlo fino a sentirla godere nella grotta del suo segreto piacere; di lei farò cenere, dopo averla inondata del mio seme.
Per questo le stringo il collo come si è soliti con il pollo, per poi spennarlo e dividerlo alla mensa della mia legge perché nulla ha da pretendere… dal suo gregge. Ma il peccato punisce e confisca, privando dell’amore ogni essere, privando del piacere ogni semina, privando della terra ogni… uomo e donna, privando del raccolto abbrutiti dal duro lavoro con solo l’ignoranza da nutrire nella Chiesa dove predico e… recito… un Sermone nuovo.
Confisco ogni loro avere… se solo li vedo godere; confisco e punisco privando del dono della vita, dopo che l’ho così posseduta ed anche nutrita; perché dopo racconterò i patimenti e gli stenti che riserva Dio a chi dimora nella bestemmia, a chi dimora nella lussuria padrona di ogni peccato mai condannato.
A chi dimora nell’Eresia, a chi dimora… nell’ingordigia della carne, a chi pretende ricchezza, a chi desidera la donna di un altro fedele di codesta nobile Legge, perché son io il pastore del gregge, io la legge, io la voce e verità di Dio…





Nel pulpito ora dimora il Verbo della mia sacra dottrina, visione d’amore per il Cristo che un giorno fu crocefisso in cima al Teschio della Storia, conflitto apocalittico e mai capito nel quale io sono Scudiere di Dio: per Lui combatto e uccido, non è inganno o martirio quello che concedo, non è timore, non è perversione o potere, è l’apocalisse del mio dotto sapere che si sposa con la sola e vera fede a cui riservo il… Principio della Maestà della sua Divina Parola.
La poveretta certo non intende e comprende questo strano conflitto: non sa di essere un Diavolo solo ben fornito, non sa che quei frutti, quelle forme, quella pelle delicata è un peccato che striscia in uno strano giardino, timorato dalla parola di un… Secondo Dio…
Non poteva sapere la poveretta, che il Principio di ogni male incarnato è nel suo bosco incantato quale frutto del primo peccato, e passa dalla sua bocca da quando quell’uomo le ha donato il principio della parola. 
Così aveva imparato ogni mattina nel Divino Creato, bere il latte della sacra dottrina come fosse una bambina, e mentre lo faceva quel retto uomo la stringeva forte alla gola quasi a soffocarla… nella strana preghiera. Quando il latte sgorgava nella sua terra, l’uomo godeva fino all’ultima goccia, per poi di nuovo....

(Prosegue...)












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