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Circa alcune Lettere (11/10)
Prosegue con:
l'inquisitore (14)
Procedendo
negli oscuri Lumi della Ragione, ovvero quand’essa illuminata dallo Spirito,
oppure e al contrario, annebbiata e offuscata da una insana ortodossa coscienza
senz’Anima e Ragione alcuna, ed approdando a Galileo, non posso e debbo trascurare, in funzione della stessa e come oscurata
all’ombra di medesimo ‘oculo’,
osservare chi osserva, e dall’insano morbo
d’una vigilata Coscienza ieri come oggi
immutato nell’invisibile virulenza
dedotta con ugual telescopio, e porla, di conseguenza, al grado della
sua ed altrui incontrastata condizione di limitata Ragione a cui la
Natura costretta, in merito all’immutata contagiosità per ogni Elemento infettato
nella purezza della propria incorrotta essenza.
Sia
nell’orbita di ogni assommata e più certa conoscenza, quanto nello Spirito di
Natura che la presiede in medesimo Principio di ugual Universo dedotto e posto
in successivo e più ordinato Fine di quanto Creato.
Come voler
intendere e dire in codesto procedere dall’apparente Caos della materia al moto
stabile evolutivo definito dell’Universo osservato.
& da un
labile involuto seppur moderno oculo del progresso dato…
Quindi
‘disquisendo’ in tale eretico contesto, non posso dimenticare e annoverare in
uguali processi storici, a cui, sia l’Eretico dello Spirito come della Scienza
posti in ugual moto da cui la ‘materia’, apparentemente opposti e avversi,
seppur accumunati e ripagati da ugual moneta coniata da medesima storia qual
solo tributo d’una corrotta verità sentenziata, perseguitati nella medesima
volontà dello Spirito preesistente alla materia in cerca d’un più certo
Universo e Dio.
A cui l’Esilio della Ragione nonché dell’Anima che al meglio la edifica e crea, nei Principi a cui l’istinto, ugual istinto, tende a compiere un medesimo Sentiero tracciato nella Verità del Sacro, e la sacralità a cui la Natura sottomessa e costretta suo malgrado, per sempre perseguitata e naufragata.
Cosa
intendiamo per ‘Sacro’ negli ‘opposti’ fondare la sintesi di un Idea data e
conferita ‘in’ e ‘per’ merito della Natura, significa innanzitutto compiere un gesto
di elevato grado di Giudizio a cui la Storia sottomette e costringe il proprio
limitato pregiudizio, seppur riscattato da un apparente ‘moto’ della Memoria
non immune dalla gravità della rinnovata odierna perseguitata Eresia sancire il
vero e più certo Universo negato; coniato nei canoni d’una ‘parola’ in merito
ad ugual ‘orbita’ adottata ma quantunque insufficiente ai limiti in cui
costretti Ragione e Coscienza senza fede alcuna circa l’Universo della più vera
e certa Natura.
In ciò
conferiamo merito a Galileo circa
distanza fra Scritture e Verità accertate e rilevata.
Quindi
compiere una analoga Idea di Ragione anche là dove erroneamente si è cogitato -
e si cogita ancora - circa il Dèmone antico dell’Eresia, quando ugual metro di
Giudizio abdicato ad una ‘infallibile parola’ (o una Bibbia), dare una
risultante non conforme alla summa del ‘verbo’ con cui - nostro malgrado -
scritta e dedotta l’intera grammatica della Storia legiferata.
La quale in ambedue i termini (apparentemente opposti tra loro), crea dubbia sentenza sancita nella impostazione d’una fallace Verità dedotta, o peggio, interpretata, e con cui scritta l’intera vicenda umana donde i nostri Frammenti d’una o più orbite dedotte e oscurate dai lumi d’una falsa ragione storica, a cui la Storia e la sottomessa Natura perseguitata.
Seppure lo
Stregone-Sciamano sembra lontano anni luce dal matematico-filosofo-astronomo,
eppure ed in verità, l’Universo a cui entrambe fanno riferimento, è quello
negato dello Spirito in cerca di ugual Dio nella e per ogni superiore Verità
della Natura. Il quale Spirito, come disquisirebbe il Filosofo Giamblico, prefigura e presiede la
‘materia’ dell’Intelletto. Quindi elevare lo Spirito conforme ad una o più
‘orbite’ dedotte da ugual vicenda ‘storico-giudiziaria’ poste, seppur
apparentemente distanti fra loro, in ugual medesimo Universo, significa
innanzitutto elevarle e mai smembrarle (seppur talvolta raccolte in meteoritici
Frammenti) nella giusta ‘osservazione’ a cui la gravità umana (senza alcun Dio)
le ha costrette, tratte dall’oculo d’una ortodossa ‘parola’ presiedere
l’Universo e Dio.
Abbiamo solo accennato tutto ciò che abbia significato, e che purtroppo nonostante Secoli e tomi di parole, significa ancora!
Se questo
sia confacente ad un ordine ‘universale-divino-matematico’, oppure e al
contrario, immateriale e istintivo, solo il Sentiero del karma legato
all’esistenza sancirà la Rinascita per ogni verità negata rapportata al numero
della materia numerata (in cui si enumera e rinnova la medesima Storia), e a
cui costretta per ogni nuova esistenza in cui la Vita si rinnova, in attesa di
ricongiungersi definitivamente nella più elevata essenza da cui lo Spirito in
cerca della Natura (circa il vero Dio) aspira l’Infinito.
Ovvero,
seppure gli opposti sembrano procedere con logiche asimmetriche e
inconciliabili tra loro, letti nella proporzione conferita dalla sacralità
sancita dall’ordine divino, o immateriale Principio, comunque ricongiungersi
alla materia universale da cui l’ordine osservato nato. Noteremo che,
applicando cotal ‘decodificazione’ circa lo Spirito e la sua Eterna Infinita
Natura, il Benandante si insidia al Principio del divino da cui conseguirà la
forma dell’Universo successivamente osservato e dedotto dalla teologica
matematica del numero calcolato e applicato porre i gradi d’un più certo Spazio
ricavato nell’essenza della sua vera Natura.
L’uno non può esistere senza l’altro, sono imprescindibili, e l’altro non sarebbe in grado di ‘osservare’ o ‘dedurre’ ciò che il primo proteso in ugual Spirito Divino divenire Universo della materia, coniato e costretto, però, da una ‘infallibile’, per come possa esserlo la fallace orbita dell’umana parola posta nell’interpretazione delle ‘profetiche’ Scritture stabilire l’Infinito e Dio. Nulla e materia. Forma e Universo. Spirito Coscienza e Intelletto. Dèmone e Dio. Verità e Eresia. Legge e Natura.
Gravitate
nell’orbita della Storia…
L’Universo
a cui facciamo riferimento e il suo Spirito così come l’intera Natura
sprovvisti di questo ‘infallibile’ dono, paradossalmente formare ed evolvere il
simmetrico Universo dell’Intelletto gravitato nella ‘materia’ da cui l’uomo e
il proprio Dio interpretato ad uso e consumo d’una fede malriposta nei gradi
della sacralità da cui la Vita per sempre violata nei Principi come nei Fini ad
immagine d’un Dio negato.
Se non
fosse e come per sempre sarà l’eccentrica come geocentrica infallibile
irreversibilità a cui costretta l’inumana vicenda estinguersi per propria limitata
deficienza, e da cui opposti Universi rilevati e rivelati in conformità d’una
più elevata e per sempre negata circolarità (storica) da cui la sfericità della
Terra nonché la dedotta Memoria orbitata, seppur vaga eppur immobile raggira.
Seppur perseguitata eppur divina nell’immobile raggirato nobilitato intento
d’ogni giorno.
Seppur
circolare eppure piatta per ogni rinnovato enunciato!
Se codesta ‘infallibilità’ viene contestata da una pur negata contrastata Ragione nell’immobile fine della materia, a cui il Divino o la Divinità estranea per sua profetica e più certa Natura, sorge il vero paradosso a cui, sia l’Astronomo come lo Stregone-Sciamano sovrintendono un profondo e più certo Universo, perseguitati ed accumunati non in Ragione del vero, bensì nel Fine e mai sia detto Principio, a cui ogni Verità gravitata nel suo piccolo Universo di morta materia a cui costretta ogni più elevata Natura in cerca del suo Intelletto sottratta alla moneta d’un infallibile Dio…
(Giuliano)
Il 27 giugno 1580, l’inquisitore fra’ Felice da Montefalco riprende la
causa lasciata a mezzo dal suo predecessore, facendo comparire davanti a sé uno
dei due… ‘benendanti’, Paolo Gasparutto…
Costui
dichiara di ignorare per quale motivo sia stato chiamato. Si è confessato e
comunicato ogni anno dal suo piovano; non ha mai sentito dire che a Iassico ‘ci sia alcuno che viva da lutherano, et
viva malamente’.
Allora fra’ Felice chiede ‘se lui sa o conosca alcuno che sia… strigone o benandante’.
Il Gasparutto risponde negativamente: ‘di strigoni non so alcuno, né anco di
benandante’. E improvvisamente scoppia a ridere: ‘Padre no che io non so… io non sonno benandante, né la profession mia
è tale’.
…Allora
l’inquisitore comincia a bersagliarlo di domande: ‘ha mai curato il figlio di Pietro Rorato?’.
‘Il Rotaro mi ha chiamato’, dice Paolo, ‘ma io gli ho risposto di non saperne nulla
e di non poterlo aiutare’.
‘Ha mai parlato di benandanti con l’inquisitore
passato e con il piovano di Iassico?’.
Paolo
dapprima nega: poi ammette, sempre ridendo, di aver affermato di sognar di
combattere con gli stregoni. Ma di fronte alle domande incalzanti
dell’inquisitore, che gli ricorda particolari dei suoi racconti di cinque anni
prima, riprende a negare, tra continui scoppi di risa.
Chiede il
frate: ‘Perché hai tu riso?’.
E il Gasparutto, inaspettatamente: ‘perché queste non sonno cose da addimandarsi, perché si va contra il voler de Iddio’.
L’inquisitore
insiste, sempre più sconcertato: ‘perché
se va contra il volere de Iddio interrogandosi di queste cose?’.
A questo
punto il benandante si accorge di aver detto
troppo: ‘perché se addimanda cose che io
non so’, risponde, e ritorna sulla negativa…
Il giorno
stesso viene interrogato l’altro benandante, il
banditore Battista Moduco, detto
‘Gamba Secura’, nato a Tralignano ma abitante da trent’anni a Cividale.
Anch’egli dichiara di essersi confessato e comunicato regolarmente, e di non
conoscere eretici: ma, interrogato a proposito di ‘stregoni’ e ‘benandanti’, risponde tranquillamente: ‘de stregoni non so che ve ne siano alcuni;
et de benandanti io non conosco altri che mi’.
Immediatamente
fra’ Felice chiede: ‘che vuol dire questa parola benandante?’.
Il Moduco
sembra pentirsi dell’incauta risposta e cerca di volgere la cosa in scherzo: ‘benandanti io chiamo quelli che mi pagan
bene, vo volentieri’.
Tuttavia
finisce per ammettere di aver detto a diverse persone di essere benandante,
aggiungendo: ‘io delli altri non gli
posso dire perché non posso andar contra il divin volere’.
Per quanto riguarda la sua persona il Moduco dichiara senza esitare: ‘Io sonno benandante perché vo con li altri a combattere quattro volte l’anno, cioè le quattro tempora, di notte, invisibilmente con lo Spirito et resta il corpo; et noi andiamo in favor di Cristo (o de altri Profeti prima de Lui…) et li stregoni del diavolo, combattendo l’un con l’altro, noi con le mazze di finocchio et loro con le canne di sorgo’.
Non è
difficile immaginare lo sconcerto dell’inquisitore di fronte a questi
benandanti, per tanti versi simili a veri e propri stregoni (sciamani…), che
contro gli stregoni (diavoli avversi….) si atteggiano a difensori della fede di
Cristo.
Ma il Moduco non ha finito: ‘et se noi restiamo vincitori, quello anno è
abbondanza, et perdendo è carestia in quel anno’.
Più avanti preciserà: ‘nel combattere che facciamo, una volta combattiamo il formento con tutti
li grasami, un’altra volta li minuti, alle volte li vini: et così in quattro
volte si combatte tutti li frutti della terra, et quello che vien vento da
benandanti quell’anno è abondanza’…
Il
24 settembre
l’inquisitore fa condurre a Udine il Gasparutto, che non ha tenuto fede
all’impegno (se ne scuserà affermando di essere stato malato) e lo fa
incarcerare. Due giorni dopo il benandante viene nuovamente interrogato.
Finora i
racconti del Moduco e del Gasparutto avevano mostrato un quasi assoluto
parallelismo. A questo punto si ha uno scarto: il Gasparutto modifica la sua
confessione in un punto essenziale, introducendo un elemento nuovo.
‘Io ho pensato di havere a dire la verità’, dichiara all’inizio
dell’interrogatorio; e l’inquisitore che ripropone la domanda volta ad
intaccare la cerniera ‘teologicamente’ più importante della sua confessione
(“chi vi ha insegnato ad entrare in questa compagnia di questi benandanti?”)
risponde inaspettatamente: ‘l’angelo del
cielo… di notte, in casa mia, et poteva essere quattro hore di notte sul primo
somno… mi apparse un angelo tutto d’oro, come quelli delli altari, et mi
chiamò, et lo Spirito andò fuori… egli mi chiamò per nome dicendo: “Paulo, ti
mandarò un benandante, et ti bisogna andare a combattere per le biade” Io gli
risposi: “ io andarò, et son obbediente” ’.
Come
interpretare questa variazione?
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