Precedenti capitoli
sull'identità della
Natura nella lotta
Prosegue con il...
.
...
Ma a questo punto, caro lettore, devo interrompere il precedente racconto e
spiegare alcune cose che ti renderanno più agevole la comprensione del tutto.
Sono
costretto a farlo, perché il tempo che mi resta per completare la storia di
quello che mi è successo quando ero nella camicia di forza è limitato. Fra non
molto, anzi fra pochissimo tempo, mi condurranno fuori, i bulli hanno deciso la
triste sorte. Del resto, anche se potessi disporre di mille vite, non potrei
mai ricostruire nei dettagli quelle esperienze.
Pertanto,
debbo accorciare il racconto...
Voglio dire
innanzitutto che Bergson ha ragione:
la vita non si può descrivere in termini puramente razionali. Come ha detto
Confucio tanto tempo fa:
‘Se della vita conosciamo così poco, che cosa
possiamo sapere della morte?’.
Proprio così, visto che non riusciamo a descrivere l’esistenza in termini razionali. La conosciamo ‘fenomenicamente’, allo stesso modo in cui un selvaggio può conoscere una mano, ma non sappiamo nulla della sua essenza noumenica, nulla della natura ultima della vita.
Io affermo
- e tu, lettore, sai che ho l’autorità per farlo - che la materia altro non è
che illusione…
...La vita
è molto di più che semplice e rozza materia chimica, che nelle sue fluttuazioni
assume quelle forme elevate che ci sono note. La vita persiste, passando come
un filo di fuoco attraverso tutte le forme prese dalla materia.
Lo so!
Io
sono la vita...
Sono passato per diecimila generazioni, ho vissuto per milioni di anni, ho posseduto numerosi corpi.
Io, che ho
posseduto tali corpi, esisto ancora, sono la vita, sono la favilla mai spenta
che tuttora divampa, colmando di meraviglia la faccia del Tempo, sempre padrone
della mia volontà, sempre sfogando le mie passioni su quei rozzi grumi di
materia che chiamiamo corpi e che io ho fuggevolmente abitato.
Guardate:
questo dito, così sensibile, così delicato nelle sue molteplici abilità, fermo
e forte a sufficienza per flettersi, piegarsi o irrigidirsi per mezzo di leve
straordinarie, ebbene questo dito non sono io.
…Mozzatelo...
IO
CONTINUERO’ A VIVERE!
E’ il corpo
ad essere mutilato, non io.
Lo spirito, che coincide con il mio io, resta intatto
...MOLTO
BENE...
E ora
tagliatemi tutte le dita (voi ne siete capaci, lo sappiamo..).
IO RESTO
‘IO’.
LO SPIRITO
RIMANE INTEGRO.
Tagliatemi
tutte e due le mani, tutte e due le braccia (lo avete già fatto per secoli...)
all’altezza dell’attaccatura delle spalle, tagliatemi (pure) le gambe all’altezza
dei fianchi…
ED IO
SOPPRAVVIVERO!
Indomito e
indistruttibile...
FORSE CHE VOI PENSATE che queste mutilazioni, queste sottrazioni di carne, tolgono qualcosa al mio io?
CERTAMENTE
NO!
Radetemi i
capelli a zero, toglietemi a rasoiate le labbra, il naso, le orecchie (e ridete
mentre lo fate, vi do’ questo umile consiglio),sì, cavatemi gli occhi fino alla
radice: entro quel teschio informe attaccato a un tronco mutilato e mozzo
ancora vive una cellula di carne chimica che è il mio io intatto, integro...
PIU’ FORTE
DI PRIMA...
MA IL CUORE BATTE ANCORA (non lo sentite....)!
Molto bene,
strappatemelo…
Meglio
ancora, infilate ciò che resta della mia carne in una macchina provvista di
mille lame, fatene brandelli ed io…
…NON
CAPITE?!
IO, vale a dire lo SPIRITO, IL MISTERO, IL FUOCO VITALE, la mia stessa vita,
RESTERANNO LIBERI.
IO NON SONO
PERITO!
IO SONO LA
VITA!
(J. London, Il Vagabondo delle stelle)
L’uomo nel nostro secolo si è sentito padrone della Natura ha creduto ciecamente nella scienza e nelle sue capacità di mutare il mondo. Poi si è accorto che queste capacità demiurgiche non le aveva e che in genere la nostra società ha adoperato male sia le scoperte della scienza che della tecnologia.
(L’approccio scientifico; IN MERITO ALL'ARGOMENTO E
PER ULTERIORI APPROFONDIMENTI SI CONSIGLIA
LETTURA SPECIFICA IN "NATURE COMMUNICATIONS" )
Se
la foresta è in grado di fornire elementi chiari ed evidenti, a essi occorre
che i forestali facciano riferimento. Ciò significa che la foresta non può
essere piegata ai voleri e ai desideri dell’uomo. Anche se, dal tempo di
Cartesio in poi, l’umanesimo moderno, scientemente o meno poco importa, lo ha
sistematicamente ignorato.
Bisogna
trattare le realtà collegandole alle idee, e queste a loro volta alla tecnica,
per poi ritornare ai princìpi. Infatti, l’essenza delle cose si fonda sui
princìpi. La supervalutazione della tecnica, il tecnicismo, tanto in auge in
campo forestale, è manifestamente un errore. La tecnica viene dopo i princìpi,
ed è certo più forte e ha maggiore compiutezza di questi, ma la ricerca che
procede allontanandosi dai princìpi a lungo andare non paga.
Per
elaborare un nuovo progetto forestale è necessario abbandonare anacronistici
quanto inutili schematismi. Non è difficile prevedere che in un prossimo futuro
prevarranno forme selvicolturali estremamente raffinate e tese alla
valorizzazione anche degli aspetti estetici e culturali dell’entità foresta.
In definitiva, si tenderà verso una selvicoltura basata sulla lettura della foresta e sull’applicazione della sapienza forestale. Il gesto colturale dovrà essere espressione di creatività e di responsabilità. Saper leggere la biocenosi, saper comprendere la sintomatologia che essa manifesta, costituisce un elemento che porta da un lato allo sviluppo delle scienze forestali e al progresso della conoscenza, e dall’altro a un rapporto uomo-foresta ottimale.
La foresta
attuale, quella coltivata, è una manifestazione della cultura e in quanto tale
ha un suo posto naturale nell’esperienza umana. Il forestale deve saperne
decodificare il suo modo espressivo per poi ricomporlo in linguaggio umano: cioè
operare di conseguenza. Bisogna guardare alla foresta con senso di rispetto,
cioè con un sentimento che non può essere, come ritengono alcuni, privilegio
solo e soltanto dei forestali perché, invece, appartiene a tutti ed è
espressione dei profondi mutamenti avvenuti nel rapporto uomo-natura.
E ciò dovrebbe essere comprensibile, e quindi accettabile da parte di tutti, qualora si abbia la consapevolezza che il rispetto e la cura per sé stesso presuppone e implica per l’uomo il rispetto e la cura per tutte le altre entità: biologiche e non. Nella fattispecie, cura e rispetto tesi a garantire alla fo resta la funzionalità e la continuità nel tempo e nello spazio, difendendola anche, e soprattutto, dal fuoco.
Gli incendi boschivi, oggigiorno, costituiscono il problema dei problemi. È semplicistico ricondurre questa situazione a soli motivi interni o a sole mutazioni sociali e tecnologiche esterne. Per risolvere il problema occorre agire in profondità. Promuovere cultura. La cosa non è facile: da un lato, presuppone chiarezza di idee, coerenza e rigore logico; dall’altro implica la volontà di percorrere nuovi sentieri. La foresta si salva se la cultura della prevenzione degli incendi si afferma. Diviene patrimonio di tutti. Se cioè la foresta sta al centro e non alla periferia dell’interesse della società. A tal fine è necessario favorire una «maturazione culturale» che prenda in considerazione la foresta come valore in sé. Bisogna conferire alla foresta una nuova dimensione: la dimensione culturale. Appunto, la cultura della foresta.
(ACCADEMIA ITALIANA DELLE SCIENZE FORESTALI)
(La tavola rotonda)
‘Il bosco e
l’uomo’, una tavola rotonda, un momento per discutere.
Mi propongo
semplicemente di contribuire al dibattito evidenziando un aspetto del tema ed
esponendo il mio punto di vista.
Il bosco
come componente fondamentale dell’ecosistema da cui dipende la nostra esistenza
ed il tremendo impatto dell’uomo sulle funzionalità e gli equilibri
dell’ecosistema terra, configurano il livello planetario della problematica su
cui è urgente discutere, la particolare importanza dei boschi per l’ambiente in
Italia, la sostanziale deriva nel governo delle interazioni tra uomo e bosco e
la continua perdita di rilievo delle scienze forestali nel governo
dell’ambiente, configurano uno specifico livello nazionale del problema.
Prima il bosco poi l’uomo.
(R. Scotti)
(La formazione Forestale)
‘L’insegnamento forestale reagisce
lentamente alle forze di mutamento sociale. In nome dell’ecologia, da molte
parti vengono contestate le pratiche della selvicoltura e dell’assestamento
forestale tradizionalmente impartite nei corsi universitari’.
È
questa l’opinione espressa da Frederick Gilbert
(1994), dell’Università della Columbia Britannica del Nord (Canada).
Egli
osserva che…
‘... Le discussioni sulla gestione
integrata delle risorse forestali abbondano ma non si perviene che a dei
ritocchi superficiali dei programmi restando sostanzialmente fedeli
all’insegnamento tradizionale e resistendo alla necessità di adottare una nuova
filosofia della formazione forestale’.
Ma
cosa si intende per ‘nuova filosofia della formazione forestale?’
Su
quali principi essa si fonda?
Che necessità vi è di cambiare e verso quale direzione orientare l’insegnamento forestale?
La
risposta a queste domande deriva dall’analisi di alcuni fatti che sono sotto
gli occhi di tutti e che mostrano come la necessità di animare un dibattito – sia nel mondo
professionale che in quello della formazione – sia sentita a livello
internazionale.
La
società ha ormai acquisito consapevolezza del ruolo di interesse pubblico
svolto dalle foreste – come sottolinea Ciancio (1988) – tuttavia, Giau (1992)
fa osservare che “l’accresciuta considerazione data alle funzioni non monetizzabili
ha avuto un effetto indesiderato: quello di relegare i forestali in un ruolo di
secondo piano nella gestione”.
Secondo
L. Roche (1990), dell’Università del Galles, Bangor, (UK),
‘... il mondo contemporaneo non si
aspetta nulla di preciso dal forestale anche perché lo vede ancora come un
tagliaboschi’.
Questa è l’immagine che i mass media diffondono e quella che la gente di città conosce. In qualche caso, l’interesse per la botanica o per la zoologia o per la chimica salva – per così dire – l’anima del forestale, ma non è sufficiente a cancellare il ‘peccato originale’ di essere stato formato da ‘tagliaboschi’.
B.
P. Dancik (1990) dell’Università dell’Alberta, sottolinea che…
‘...i forestali rischiano di vedersi
sottrarre la responsabilità di gestire le risorse naturali... prima di tutto
perché hanno perso la loro credibilità presso un pubblico sempre più informato
sui problemi delle foreste, poi perché hanno raramente mostrato la loro
attitudine a gestire le foreste per scopi diversi dalla produzione legnosa’.
Dalle varie opinioni emerge, dunque, la necessità di identificare, nell’ambito delle attività forestali, non soltanto delle soluzioni sostenibili ecologicamente ed economicamente ma anche socialmente riconoscibili e accettabili. Ma per fare ciò è necessario rivedere la formazione culturale del forestale che viene immesso oggi nel mondo del lavoro ed esaminare criticamente l’impostazione attuale dei programmi e dei metodi di insegnamento.
L’insegnamento
forestale del futuro ha bisogno non solo di guardare verso gli ecosistemi,
anche a livello planetario, ma di adottare una visione integrata tra le scienze
biofisiche e quelle sociali. In sostanza, lo scopo dei programmi dovrebbe
essere quello di formare dei professionisti capaci di pensare e di risolvere
dei problemi e non dei semplici biotecnocrati.
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