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circa i Diritti...
ovvero:
e un invito per
Quindi hor hora osserviamo cosa succede a questo mondo moderno in eterno progresso seviziato a tempo pieno e indeterminato, per ogni campo coltivato, per ogni urbe all’opera per mantenere l’ordine morale e antico, non men del presunto Diritto, da cui il nostro marchio genetico privato della Natura e Dio e in qual tempo adattarlo alle nuove urgenze del feudatario del Castello.
Certo non cosa facile mantenere l’antico orto seminato a cavoli
patate e buoni pomodori, senza per questo, udire immense ‘cavolate’ seminate da
eserciti di industriose patate e ottenere, qual sola ricompensa, stagionati
pomodorini per ogni Fiera ove a stento portiamo il nostro frutto d’ogni giorno…
DIRITTI
(e non solo)
Già
nel 1958 Hannah Arendt, una delle coscienze più vigili del
secolo, scriveva che il problema essenziale del nostro tempo era quello di
rendere artificiale anche la vita. Oggi stiamo assistendo a una delle più
importanti rivoluzioni tecnologiche della vicenda umana, la cosiddetta
“rivoluzione biologica”. Se, fino a un’epoca recente, la manipolazione della
natura era concepita come emancipazione umana, matura progressivamente una
presa di coscienza in virtù della quale gli sviluppi della tecnica non provocano
unicamente processi di emancipazione ma anche pericoli di asservimento da parte
dell’uomo e delle istituzioni.
Il
dibattito assai acceso sulle biotecnologie, oltre a riflettere in larga misura
il contrasto che si è venuto creando nel mondo moderno sul ruolo della scienza,
tende a investire l’idea stessa di manipolazione in cui si ravvisa il tema
centrale della nostra era tecnologica. Nel potere manipolativo molti vedono una
minaccia all’immagine dell’uomo centrata sull’autonomia razionale: anziché rappresentare una crescita
delle libertà e delle opportunità, esso segnerebbe il trionfo del più cupo
totalitarismo tecnocratico, quello “genetico”.
Forse proprio perché si fonda su principi completamente nuovi, l’ingegneria genetica fa riemergere antichi fantasmi e ataviche paure. La tecnologia che osa affrontare il massimo segreto – la vita– è considerata di volta in volta o come una sfida diabolica che vuole rubare alla divinità i poteri della creazione, o come la violazione di un ordine naturale fisso e immutabile nella sua intatta perfezione. Su ciò fa leva il pessimismo antitecnologico nutrito dei timori ancestrali espressi dai miti di Prometeo, di Icaro, della Torre di Babele e – ora – dall’immagine ricorrente dell’apprendista stregone punito per la sua audacia.
Le
biotecnologie presentano, per la loro stessa complessità, elementi di forte
ambivalenza: da qui la necessità di promuovere un’analisi seria, informata ed
equilibrata che eviti sia il rifiuto aprioristico che l’incondizionata
accettazione al fine di favorire una discussione critica tale da alimentare
dubbi salutari ma, insieme, consentire scelte razionali e consapevoli. A queste
istanze intende appunto rispondere la bioetica, nella consapevolezza che ogni
progresso scientifico rende più difficile la morale e le nuove possibilità
offerte dalle biotecnologie pongono alla coscienza degli uomini quesiti morali,
giuridici e sociali tra i più ardui da risolvere.
Si pone, ad esempio, con particolare urgenza la questione del confronto tra i cosiddetti “diritti naturali” – come erano stati elaborati nel pensiero dei secoli precedenti – e i “diritti umani” quali ci si presentano nella prospettiva aperta dal futuro che ci attende.
Quali
sono i diritti dell’uomo di fronte alle manipolazioni della vita e della morte?
Sono
ancora sufficienti i diritti tradizionali o v’è bisogno di elaborare un nuovo habeas
corpus, uno statuto del corpo umano che comprenda, ad esempio, il diritto
all’identità genetica, ovvero a un patrimonio genetico non manipolato?
Occorre
ormai prendere atto che i diritti umani non sono un elenco che si possa fissare
una volta per tutte, in riferimento a una pretesa struttura naturale e
permanente sulla cui base poter fondare una legislazione definitivamente
garantita.
Perché
tuttavia, ci si potrebbe chiedere, di tali diritti ci si accorge solo adesso?
Una delle risposte possibili è che l’affermazione di un diritto si collega strettamente a un valore minacciato nei cui confronti ci sentiamo responsabili. A ben riflettere, non esiste la necessità di affermare un diritto finché non si dia la possibilità della violazione di un bene avvertito come precario: in tal senso, i diritti non nascono tutti in una volta ma si affermano, ad esempio, quando l’aumento del nostro potere sull’uomo e sulla natura – indotto dai progressi tecnologici – crea minacce inedite e imprevedibili alle libertà individuali.
È
proprio il nostro potere, la nostra capacità di mettere in questione un valore
a farcene scoprire il significato (si veda il caso della clonazione che,
implicando una minaccia all’identità personale, ha indotto a una ferma difesa
della dignità umana contro ogni tentativo di manipolazione genetica).
In
tal senso la bioetica è destinata a diventare una parola familiare perché le
questioni da essa poste toccano ciascuno di noi: attraversano la nostra coscienza
ma riguardano anche la vita della comunità, a metà del guado, per così dire,
tra pubblico e privato.
Non
solo.
In quanto risposta alle crescenti preoccupazioni relative alle tecnologie del controllo del corpo dell’uomo e della sua mente, essa fa parte di un più vasto movimento della coscienza collettiva contro il determinismo tecnologico, in favore dei diritti minacciati, specie dei soggetti più deboli, umani e non umani, e degli oppressi senza voce. Ma è soprattutto l’emergere della problematica ecologica ad allargare il quadro di riferimento: si fa strada una tendenza sempre più decisa verso l’universalizzazione legata al sentimento di appartenere a una comunità di destino.
Si
affermano diritti riguardanti il controllo delle risorse del pianeta, la
protezione dell’ambiente, la vita delle generazioni future. Soggetto titolare
di diritti è ormai il genere umano presente e futuro, dal momento che
l’ambiente è visto come patrimonio universale dell’umanità.
Lo sbocco finale di questo processo tuttora in corso può considerarsi la quarta generazione dei diritti umani collegati alla bioetica, che riguardano fondamentalmente le questioni legate all’entrata e all’uscita dalla vita. Lo scenario creato dalla rivoluzione biologica si fa ancora più complesso e, al suo interno, si possono individuare tre grandi aree: i diritti legati alla nascita, i diritti legati alla salute e alla cura, i diritti legati al morire.
Quanto
alla prima area, le nuove tecnologie riproduttive hanno imposto una
ridefinizione sia dei soggetti che dei ruoli parentali. Appaiono nuove figure
come la madre sostitutiva, la donatrice di ovuli, il donatore di seme (nel caso
della fecondazione eterologa): quali i diritti e i doveri rispettivi? Ci si chiede se esista un diritto procreativo
e, se esiste, a quali condizioni; emerge un nuovo soggetto – l’embrione – sulla
cui identità ed eventuali diritti il dibattito rimane aperto.
L’ingegneria
genetica, col progetto genoma, pone sfide ulteriori all’idea di dignità umana. Quanto alla seconda area, si fa strada, con
l’affermazione del diritto alla salute, il principio di libertà terapeutica,
con i problemi etici e giuridici legati al “consenso informato”. Accanto al
diritto di sapere (di avere un’adeguata informazione sul proprio stato di
salute) compare il diritto contrario di non sapere (di poter rifiutare le
informazioni sulle proprie prospettive di vita e di ottenere una più efficace
protezione della privacy).
Quanto alla terza area, a causa dello sviluppo tecnologico sono divenute sempre più labili le frontiere tra la vita artificiale e la morte. Casi recenti hanno rotto la congiura del silenzio sulla morte, costringendoci a parlare di che cosa è – e sarà sempre più – lo stato terminale della vita, il tratto estremo del nostro passaggio umano in società tecnologiche ad alta medicalizzazione.
La tecnica sta ormai cancellando la morte naturale nei termini in cui l’aveva finora vissuta la nostra specie. La crescente medicalizzazione degli eventi più privati dell’esistenza umana e le possibilità offerte dal progresso medico di prolungare indefinitamente la durata della vita, con le connesse questioni relative alle disposizioni anticipate di trattamento, alla problematica relativa al suicidio assistito e all’eutanasia, hanno posto drammaticamente in discussione quello che è forse il più paradossale dei diritti umani: il diritto di morire.
(L. Battaglia)
BIODIVERSITA’
Api,
farfalle, insetti e uccelli trasportano il polline da fiore a fiore fecondando
le piante e consentendo loro di riprodursi. Senza impollinatori, la maggior
parte delle piante non si riprodurrebbe, e senza riproduzione delle piante i
nostri approvvigionamenti alimentari sarebbero a rischio. Il ciclo del seme,
che sia quello degli alberi delle foreste o quello delle varietà vegetali di
cui ci nutriamo, si fonda sui cicli dell’impollinazione.
I sistemi ecologici basati sulla biodiversità non solo proteggono le api e gli impollinatori che ci sfamano, ma tengono anche sotto controllo i parassiti attraverso un equilibrio tra essi e i predatori. Questi sistemi lasciano prosperare una quantità di nemici naturali che impediscono l’eccessiva moltiplicazione delle popolazioni dei parassiti.
Le
monocolture industriali, invece, sono una sorta di invito a nozze per i
parassiti, perché non c’è più la biodiversità a svolgere le funzioni ecologiche
protettive, nel paradigma conoscitivo dell’agricoltura industriale, il controllo
dei parassiti è una guerra. Così recita un manuale per il loro trattamento: “La
guerra contro i parassiti non ha mai fine, e l’uomo deve continuare a
combatterla per assicurarsi la sopravvivenza.
Cinquant’anni fa, Rachel Carson scrisse ‘Primavera silenziosa’, puntuale monito rivolto alle generazioni future. Si interrogava sul mondo che mutava intorno a lei, leggiamo in un capitolo ‘ELISIR DI MORTE’:
“ Per la prima
volta nella storia del mondo, oggi ogni essere umano è sottoposto al contatto
di pericolose sostanze chimiche, dall’istante del concepimento fino alla morte.
Gli
antiparassitari sintetici, in meno di vent’anni di impiego, si sono così
diffusi nell’intero mondo animato e inanimato, che ormai esistono dappertutto.
Sono stati ritrovati nella maggior parte delle principali reti fluviali ed
anche nei corsi d’acqua sotterranei. Residui di tali prodotti permangono sul
terreno anche una dozzina d’anni dopo l’irrorazione.
Sono
penetrati nel corpo dei pesci, degli uccelli, dei rettili e degli animali
domestici e selvatici e vi si trattengono in tale misura che gli scienziati,
quando effettuano i loro esperimenti su di essi, constatano la quasi
impossibilità di trovare soggetti immuni. Sono stati riscontrati nei pesci di
remoti laghi montani, nei lombrichi rintanati sotto il suolo, nelle uova degli
uccelli e nell’uomo stesso, giacché si sono accumulati anche nella maggior
parte di noi, senza distinzione di età. Si trovano nel latte materno e,
probabilmente, nei tessuti dei nascituri.
Tutto
ciò è una conseguenza del sorgere improvviso e del prodigioso sviluppo di
un’industria che produce sostanze chimiche sintetiche, cioè fabbricate
dall’uomo, dotate di proprietà insetticide. Tale industria è figlia della
seconda guerra mondiale: nella ricerca di aggressivi chimici per uso bellico,
qualcuna delle sostanze prodotte nei laboratori si mostrò letale per gli
insetti. E tale scoperta non fu casuale: gli insetti venivano largamente usati
come test per valutare la tossicità di tali sostanze chimiche per l’uomo.
Ne
è così derivata una produzione apparentemente illimitata di insetticidi
sintetici. Essi, per il fatto stesso di essere prodotti dall’uomo grazie alla
ingegnosa manipolazione delle molecole in laboratorio, alla sostituzione dei
singoli atomi ed alla alterazione del loro assetto differiscono notevolmente
dai semplici insetticidi inorganici del periodo anteguerra.
Questi
ultimi derivavano da minerali presenti in natura o da prodotti di origine
vegetale - composti dell’arsenico, del rame, del piombo, del manganese, dello
zinco, ecc., o piretro ricavato da fiori di crisantemo essiccati, solfato
nicotinico tratto da qualche pianta affine al tabacco o rotenone contenuto in
certe leguminose delle Indie Orientali.
Ciò
che distingue i nuovi insetticidi sintetici è la loro enorme attività
biologica.
Essi
non soltanto hanno un immenso potere come veleni, ma sono in grado di inserirsi
con altrettanta facilità nei più vitali processi, deviandone il corso in
maniera funesta e spesso mortale.
Così,
come vedremo, distruggono gli stessi enzimi ai quali è assegnata la funzione di
proteggere il corpo dalle insidie, bloccano i processi di ossidazione da cui il
corpo trae le sue energie, stornano il normale funzionamento di vari organi, e
possono infine stimolare in certe cellule quel mutamento lento ed irreversibile
che conduce alla cancerogenesi.
Frattanto
la lista di nuovi e ancor più mortali composti chimici si allunga ogni anno e
ne vengono proposti ulteriori impieghi, cosicché il contatto con essi è
divenuto praticamente generale. La produzione di antiparassitari sintetici è
passata negli Stati Uniti dai 56 milioni di chilogrammi circa del 1947 ai 290
milioni del 1960: un aumento, quindi, di oltre cinque volte, per un valore
complessivo di oltre 250 milioni di dollari. Ma nei programmi e nelle speranze
dell’industria questa gigantesca produzione dovrebbe essere solo un inizio.
Conoscere
tutti gli antiparassitari è quindi una cosa che ci riguarda tutti
indistintamente. Se siamo arrivati al punto di vivere a così stretto contatto
con queste sostanze - ingerendole con gli alimenti, trattenendole nel midollo
stesso delle nostre ossa - dobbiamo pur sapere qualcosa di più sulla loro
natura ed efficacia.
Anche
se, con la seconda guerra mondiale, si è avuta una svolta nella produzione
degli antiparassitari, dalle sostanze chimiche inorganiche al sorprendente
mondo dei composti del carbonio, un limitato numero dei vecchi prodotti
persiste tuttora. Il più importante tra essi è l’arsenico, che costituisce
anche oggi l’ingrediente principale di certi disinfestanti di erbacce e di
insetti.
L’arsenico
è un elemento di elevata tossicità che si trova largamente diffuso nei
giacimenti di diversi metalli e, in piccole quantità, nei vulcani, nel mare e
nelle acque di sorgente.
I
suoi rapporti con l’uomo sono molteplici e millenari: poiché numerosi suoi
composti sono insapori, è stato spesso usato come veleno da molto prima
dell’epoca dei Borgia fino ai giorni nostri. L’arsenico, rintracciato nella
fuliggine dei camini e messo in rapporto con l’insorgenza del cancro, circa due
secoli fa, da un medico inglese, è stato il primo cancerogeno (o sostanza che
provoca il cancro) riconosciuto pubblicamente. Sono note pure epidemie che
hanno colpito per lunghi periodi intere popolazioni ed erano dovute ad
intossicazione cronica da arsenico.
Inquinamenti
ambientali da arsenico hanno altresì causato malattia e morte in cavalli,
bovini, capre, maiali, cervi, pesci e api. Ma, nonostante questi fatti
risaputi, le irrorazioni e le polverizzazioni di arsenico trovano ancora
frequente impiego. Nelle piantagioni di cotone del sud degli Stati Uniti,
l’apicoltura, prima altamente industrializzata, è pressoché scomparsa a causa
delle disinfestazioni arsenicali. I coltivatori che hanno effettuato, per
lunghi periodi, polverizzazioni di arsenico sono stati colpiti da
intossicazioni arsenicali croniche; il bestiame è rimasto avvelenato dai
disinfestanti arsenicali usati per proteggere le messi e distruggere la
gramigna. Dalle distese di mirtilli, nubi di polvere di arsenico si sono
diffuse sulle fattorie vicine, contaminando i corsi d’acqua, avvelenando le api
ed i bovini, e provocando malattie tra gli uomini.
“Difficilmente
sarebbe stato possibile… maneggiare le sostanze arsenicali con maggior
dispregio della salute pubblica di quanto non si sia fatto nel nostro paese
durante gli ultimi anni”, afferma il dott. Hueper del National Cancer
Institute, un’autorità nel ramo dell’oncologia.
Così
egli prosegue:
Tutti coloro che hanno visto al lavoro gli addetti alle operazioni
di irrorazione o di polverizzazione degli insetticidi arsenicali sono rimasti
impressionati dalla quasi totale noncuranza con cui essi spargevano sostanze
velenose….
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