CHI DELLA FOLLA, INVECE,

CHI DELLA FOLLA, INVECE,
30 MAGGIO 1924

sabato 18 ottobre 2025

LA CARROZZA SOBBALZA, GIRA DA UNA PARTE, GIRA DALL'ALTRA, MA POI...

 









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circa la 


Libertà di Stampa 











ed il Libro  


Prosegue con la....



 






graduale ascesa 


& un bosco 


d'Autunno







Mi domando se, a parte la sua esperienza giornalistica e politica, il suo intuito psicologico non gli doveva dire che era proprio quello il modo più adatto per infondere da una parte forza, energia e combattività alla nostra stampa e per aggiungere dall’altra un nuovo elemento di diffidenza per sé, pel suo governo e pel suo partito nella opinione pubblica italiana e straniera, ‘Mussolini’ — mi scriveva da New York lo scorso settembre il collega Felice Ferrero — ‘ha fatto un grave errore tattico col decreto contro la stampa: in un giorno ha perduto una buona parte delle simpatie di cui lo circondava il giornalismo americano’. 

 

Che il decreto del luglio, venuto subito dopo il delitto Matteotti, ed il progetto. di legge del dicembre, emanato dopo il processo Balbo, non abbiano avuto altro scopo che quello di proteggere il Governo ed il regime dalle critiche e dalle rivelazioni dell’opposizione è cosa così chiara ed evidente che sembra perfino ingenuo il rilevarla. Però non si può a meno di sorridere leggendo le giustificazioni che delle misure contro la stampa cercano di dare i fogli fascisti.

 

Essi se la prendono coi giornalisti, come se questi si agitassero per un loro privilegio di classe. Ignorano, o affettano di ignorare, che la libertà di stampa è una questione che interessa, o dovrebbe interessare, più il pubblico che i giornalisti stessi; che è inutile parlare di libertà di coscienza, di libertà di riunione, di garanzie costituzionali, di istituzioni parlamentari, di indipendenza della magistratura, se non si mette a base di tutto ciò la libertà di stampa, cioè la libertà di pensare, di scrivere, di controllare, di criticare, di correggere e di consigliare.

 

Se il pubblico italiano non fosse — politicamente — quello che è lo dovremmo vedere nelle piazze a protestare, insieme coi giornalisti e più dei giornalisti, contro questi attentati alla libertà di stampa; così come nelle piazze scendeva il pubblico inglese nel 1768 quando i ministri reazionari di Giorgio III ordinavano di bruciare il North Briton.

 

I nostri fogli fascisti si sono anche accorti che i giornalisti italiani mancano di ‘probità politica, di rigido autocontrollo, di coscienza nazionale’; parlano della ‘ingiusta e immorale licenza dei giornalisti’; e, lusingando fin troppo il nostro amor proprio, ci accusano di voler essere ‘una forza nello Stato’ mentre, secondo loro, dovremmo considerarci ‘una forza dello Stato’ cioè... del Governo fascista.

 

Con questi ed altri complimenti, si fa intanto un quadro assolutamente falso ed ingiurioso del giornalismo italiano, il quale — nel suo passato — è stato tutto fuorché improbo politicamente, immorale e licenzioso. ll giornalismo italiano — sia permesso dirlo ad uno che vi milita modestamente da più di trenta anni ed ha avuto modo di fare molti raffronti — è stato fino a ieri una delle manifestazioni che più hanno onorato l’Italia all’estero.

 

Durante la Conferenza di Genova erano convenuti qui da noi centinaia di giornalisti di cartello da ogni parte del mondo. A Conferenza finita uno di questi, il Garvin, direttore del londinese Observer, ha scritto un articolo sinceramente entusiastico sulla stampa italiana, osservando che essa era da considerarsi tra le prime di Europa per la sua organizzazione, per i suoi mirabili servizi di informazione, per l’intelligenza, la coltura e la perizia dei suoi uomini.

 

Un giudizio analogo ho sentito e letto spesse volte fuori d’Italia e non credo che esso fosse del tutto immeritato lo stesso concludevo uno studio pubblicato quindici anni fa (Il giornalismo inglese, pagina 317 e segg.) facendo un raffronto fra il giornale italiano e quello inglese ed affermando che il primo poteva andar orgoglioso dei grandi progressi fatti; che ben poco aveva da invidiare ai migliori giornali stranieri; che si distingueva per il suo spirito di iniziativa, per l’ampiezza e regolarità dei suoi servizi di informazione; che era onesto ed indipendente; che era letterariamente vario, vivace e brillante.

 

Il solo difetto che io gli trovavo era la mancanza di combattività. ‘Chi sa se a furia di star davanti allo specchio per farsi bello — scrivevo allora — non si sia anche un po’ smascolinizzato. Voi sentite tutto nel nostro giornale, meno la spina dorsale’. Orbene, siano rese grazie all’on. Mussolini: questa spina dorsale, questa combattività, gliela ha data lui. Il giorno in cui la nostra stampa si è vista mettere così ingiustamente sotto tutela ha acquistato una energia, una vivacità, un coraggio, una fierezza polemica veramente mirabili.

 

Vi si legge ora immancabilmente l’articolo politico quotidiano — come nei giornali inglesi; vi si trovano sottili, acri e sapienti entrefilets come nel giornale parigino; vi si sente il fervore, il calore, la passione dell’aspra battaglia. Che questa passione in alcuni casi trascenda nessuno nega; ma gli eccessi, per quanto deplorevoli, sono sempre inevitabili in un atmosfera di irritante compressione.

 

L’on. Mussolini, ha, dunque, ottenuto l’effetto opposto di quello che presumibilmente si riprometteva; invece di fiaccare la nostra stampa l’ha rinvigorita, invece di umiliarla l’ha inorgoglita, invece di asservirla ne ha stimolato lo spirito di indipendenza e di ribellione. La più sensitiva e scontrosa di tutte le libertà è quella della stampa. Il Risorgimento nel suo numero di dicembre 1849 recava un articolo, erroneamente attribuito a Cavour, che cominciava colle parole: ‘Non si tocca la stampa!’.

 

Mussolini l’ha voluta toccare ed ha commesso l’errore più grave dei suoi due anni di Governo. Perché io non ho il minimo dubbio che la partita che egli ed il Fascismo hanno impegnato col popolo italiano è stata virtualmente decisa il giorno in cui sono cominciati i sequestri e le diffide, Quintino Sella, —- uomo d’ordine, uno dei più autorevoli esponenti della Destra storica — in un memorabile discorso pronunziato in Biella l’11 ottobre 1868 alla riunione della Società Operaia di Biella, così si esprimeva, dopo aver ricordati i tempi in cui si temeva la libertà di pensiero e di stampa:

 

‘La libertà è come il vapore. Osservatelo quando si eleva da una caldaia aperta: è innocuo, poco meno che invisibile. Provatevi a trattenerlo, rinforzate il coperchio, accerchiatelo di muri; lo scoppio sarà tanto più terribile quanto maggiori saranno gli ostacoli; e così la libertà mandò l’uno dopo l’altro in aria i Governi e le dinastie che cercarono di comprimerla’.

 

Scopo del mio opuscolo non è certamente quello di fare una disquisizione sulla libertà di stampa. Si dovrebbero ripetere cose ovvie, intuitive ed anche inutili, perché la libertà di stampa se ha sempre molti nemici ha ormai ben pochi avversari. C’è ancora qualche buon’anima, in perfetta buona fede, che crede che il mondo andrebbe molto meglio senza libertà, senza i giornali, senza il vapore e senza l’elettricità (certamente il Borsa non avrebbe mai immaginato gli eccessi accompagnati dagli abusi del progresso che minacciano peggio della Libertà di Stampa, proprio perché la medesima li individua nella catena di montaggio in cui l’abuso e l’eccesso formano non solo l’oltraggio, ma anche un Dominio a beneficio di quella dittatura del capitalismo, o Futurismo, di cui il Fascismo andava e va ben fiero!).

 

Sempre fra i pochi avversari in buona fede ce n’è di quelli che ammetterebbero la libertà di stampa... se non ci fossero quei benedetti abusi che la mutano troppo spesso in licenza. A costoro rispondeva, colla sua bonomia ambrosiana, Emilio De Marchi una volta in cui era chiamato come perito in un pro- cesso di stampa ‘Signori’ — egli diceva rivolto ai giurati — ‘la libertà di stampa è come il sole. Anche il sole scotta, dà le insolazioni e molti altri mali, ma nessuno si è mai sognato di limitare la luce ed il calore del sole che sono tutta la nostra vita’.

 

Quanto ai molti nemici è superfluo cercare chi siano, tutti coloro che hanno qualche cosa da nascondere, tutti coloro che hanno motivo di temere il controllo della pubblica opinione sono, logicamente, i nemici della libertà di stampa perché... si preoccupano della forza dello Stato, del bene della Patria, del rispetto dovuto alle istituzioni, del prestigio della Nazione... a via discorrendo. È bene anche avvertire che la libertà di stampa poteva essere, una questione filosofica tre o quattro secoli fa. Ma da allora in poi è sempre stata una questione politica — anzi, come direbbe l’on. Mussolini, squisitamente politica.

 

La è oggi, la sarà domani. Se i nostri ottimi fascisti, tra le altre loro amenità, non avessero anche quella di credere che la storia incomincia colla marcia su Roma e che tutto il resto è roba morta, cadaverica, in decomposizione, si potrebbe cercare insieme nella esperienza del passato qualche esempio che valga a dimostrare la fallacia e la vanità delle misure restrittive introdotte dal presente Governo. È quello che io ho tentato di fare affrettatamente e sommariamente nelle pagine che seguono, ricordando le principali peripezie attraverso cui è passata ed è stata conquistata la libertà di stampa in Inghilterra ed in Francia.

 

La storia, tra le altre cose, mi pare che non lasci dubbi sopra questi punti: — Sempre ed ovunque la libertà di stampa è stata in qualche modo manomessa da Governi deboli che, sebbene tenessero il potere colla forza, non avevano dalla loro il consenso dell’opinione pubblica. Sempre e dovunque la menomazione della libertà di stampa ha avuto le stesse conseguenze: la formazione indisturbata di avide clientele… senza scrupoli e senza ritegni; il favoritismo, l’affarismo, la corruzione. Né potrebbe essere diversamente: la libertà di stampa essendo la condizione prima ed essenziale per la purezza della vita pubblica.

 

‘Datemi solamente la libertà di stampa’ — diceva Sheridan ai Comuni — ‘ed io lascerò che il ministro abbia una venale Camera dei Pari. Io gli lascerò una Camera dei Comuni corrotta e servile. Lascerò che egli usi ed abusi del patronato del suo ufficio. Gli lascerò tutte le sue influenze ministeriali. Gli lascerò tutti i poteri conferitigli dalla sua posizione per comprarsi la sottomissione e fiaccare colla intimidazione ogni resistenza. Con tutto ciò, armato della libertà di stampa, io mi farò innanzi solo e senza paura ed attaccherò il potente edificio che egli ha alzato con quell’arma ben più potente. Io abbatterò dalla sua altezza la corruzione e la seppellirò sotto la ruina degli abusi che voleva coprire’ 


(Più o meno lo stesso Principio adottò un personaggio a noi caro, quando la prematura fine, in quel dì della Russia, dallo Zar al Soviet unita, ne ha fatto scempio, e la formula espressiva del veleno di Stato lo ha prematuramente ricondotto verso la Storia di medesime ugual fognature, ove un altro profugo sopravvissuto ci narra e ricorda ciò cui uno Stato non solo capace, ma capace di alleare il proprio mascherato interesse, con l’apparente rispetto di un’altrettanta apparente immobile avversione all’arme come alla guerra, rivenduta e spacciata, grazie all’apporto di una stampa distratta e sovvenzionata dallo stato medesimo, qual garanzia della corrotta democrazia, in odor di fascismo alleato allo zar di turno).   

 

Dicevo, poco sopra, che i nostri fascisti affettano un sdegnoso disprezzo per tutti quelli che possono essere gli insegnamenti del passato. Né forse hanno torto se vogliono preservarsi l’illusione di essere e di rappresentare qualche cosa di nuovo nel mondo. La Storia infatti, è disseminata di Mussolini ed il fascismo è vecchio come lo spirito della reazione.

 

Anche questa battaglia di stampa a cui essi ci hanno, nostro malgrado, invitati non ci offre, non ci può offrire alcun spunto di novità.

 

Sempre gli stessi mezzi per coartarla, sempre gli stessi argomenti per giustificarne l’applicazione.

 

Non prevarranno né gli uni né gli altri.

 

È sempre stato così.

 

Non è la prima volta che si attenta alla libertà di stampa. Non sarà l’ultima. Ci sono ogni tanto bruschi ritorni: improvvisi stringimenti di freni: la carrozza sobbalza, gira da una parte, gira dall’altra, si arresta anche, temporaneamente. Ma poi riprende la sua via. È una sola: sempre quella: non può essere che quella.


(ATTENTATO PERFETTAMENTE SINCRONIZZATO SECONDO TALUNE...)








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