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& un bosco
Mi
domando se, a parte la sua esperienza giornalistica e politica, il suo intuito psicologico
non gli doveva dire che era proprio quello il modo più adatto per infondere da
una parte forza, energia e combattività alla nostra stampa e per aggiungere
dall’altra un nuovo elemento di diffidenza per sé, pel suo governo e pel suo
partito nella opinione pubblica italiana e straniera, ‘Mussolini’ — mi scriveva
da New York lo scorso settembre il collega Felice Ferrero — ‘ha fatto un grave
errore tattico col decreto contro la stampa: in un giorno ha perduto una buona
parte delle simpatie di cui lo circondava il giornalismo americano’.
Che
il decreto del luglio, venuto subito dopo il delitto Matteotti, ed il progetto.
di legge del dicembre, emanato dopo il processo Balbo, non abbiano avuto altro
scopo che quello di proteggere il Governo ed il regime dalle critiche e dalle
rivelazioni dell’opposizione è cosa così chiara ed evidente che sembra perfino
ingenuo il rilevarla. Però non si può a meno di sorridere leggendo le
giustificazioni che delle misure contro la stampa cercano di dare i fogli fascisti.
Essi se la prendono coi giornalisti, come se questi si
agitassero per un loro privilegio di classe. Ignorano, o affettano di ignorare,
che la libertà di stampa è una questione che interessa, o dovrebbe interessare,
più il pubblico che i giornalisti stessi; che è inutile parlare di libertà di
coscienza, di libertà di riunione, di garanzie costituzionali, di istituzioni
parlamentari, di indipendenza della magistratura, se non si mette a base di
tutto ciò la libertà di stampa, cioè la libertà di pensare, di scrivere, di
controllare, di criticare, di correggere e di consigliare.
Se
il pubblico italiano non fosse — politicamente — quello che è lo dovremmo
vedere nelle piazze a protestare, insieme coi giornalisti e più dei
giornalisti, contro questi attentati alla libertà di stampa; così come nelle
piazze scendeva il pubblico inglese nel 1768 quando i ministri reazionari di
Giorgio III ordinavano di bruciare il North Briton.
I
nostri fogli fascisti si sono anche accorti che i giornalisti italiani mancano
di ‘probità politica, di rigido autocontrollo, di coscienza nazionale’; parlano
della ‘ingiusta e immorale licenza dei giornalisti’; e, lusingando fin troppo
il nostro amor proprio, ci accusano di voler essere ‘una forza nello Stato’
mentre, secondo loro, dovremmo considerarci ‘una forza dello Stato’ cioè... del
Governo fascista.
Con
questi ed altri complimenti, si fa intanto un quadro assolutamente falso ed
ingiurioso del giornalismo italiano, il quale — nel suo passato — è stato tutto
fuorché improbo politicamente, immorale e licenzioso. ll giornalismo italiano —
sia permesso dirlo ad uno che vi milita modestamente da più di trenta anni ed
ha avuto modo di fare molti raffronti — è stato fino a ieri una delle manifestazioni
che più hanno onorato l’Italia all’estero.
Durante
la Conferenza di Genova erano convenuti qui da noi centinaia di giornalisti di
cartello da ogni parte del mondo. A Conferenza finita uno di questi, il Garvin,
direttore del londinese Observer, ha scritto un articolo sinceramente
entusiastico sulla stampa italiana, osservando che essa era da considerarsi tra
le prime di Europa per la sua organizzazione, per i suoi mirabili servizi di
informazione, per l’intelligenza, la coltura e la perizia dei suoi uomini.
Un
giudizio analogo ho sentito e letto spesse volte fuori d’Italia e non credo che
esso fosse del tutto immeritato lo stesso concludevo uno studio pubblicato
quindici anni fa (Il giornalismo inglese, pagina 317 e segg.) facendo un
raffronto fra il giornale italiano e quello inglese ed affermando che il primo poteva
andar orgoglioso dei grandi progressi fatti; che ben poco aveva da invidiare ai
migliori giornali stranieri; che si distingueva per il suo spirito di iniziativa,
per l’ampiezza e regolarità dei suoi servizi di informazione; che era onesto ed
indipendente; che era letterariamente vario, vivace e brillante.
Il
solo difetto che io gli trovavo era la mancanza di combattività. ‘Chi sa se a
furia di star davanti allo specchio per farsi bello — scrivevo allora — non si sia
anche un po’ smascolinizzato. Voi sentite tutto nel nostro giornale, meno la
spina dorsale’. Orbene, siano rese grazie all’on. Mussolini: questa spina
dorsale, questa combattività, gliela ha data lui. Il giorno in cui la nostra
stampa si è vista mettere così ingiustamente sotto tutela ha acquistato una energia,
una vivacità, un coraggio, una fierezza polemica veramente mirabili.
Vi
si legge ora immancabilmente l’articolo politico quotidiano — come nei giornali
inglesi; vi si trovano sottili, acri e sapienti entrefilets come nel
giornale parigino; vi si sente il fervore, il calore, la passione dell’aspra
battaglia. Che questa passione in alcuni casi trascenda nessuno nega; ma gli
eccessi, per quanto deplorevoli, sono sempre inevitabili in un atmosfera di
irritante compressione.
L’on.
Mussolini, ha, dunque, ottenuto l’effetto opposto di quello che presumibilmente
si riprometteva; invece di fiaccare la nostra stampa l’ha rinvigorita, invece
di umiliarla l’ha inorgoglita, invece di asservirla ne ha stimolato lo spirito
di indipendenza e di ribellione. La più sensitiva e scontrosa di tutte le libertà
è quella della stampa. Il Risorgimento nel suo numero di dicembre 1849 recava
un articolo, erroneamente attribuito a Cavour, che cominciava colle parole: ‘Non
si tocca la stampa!’.
Mussolini
l’ha voluta toccare ed ha commesso l’errore più grave dei suoi due anni di
Governo. Perché io non ho il minimo dubbio che la partita che egli ed il
Fascismo hanno impegnato col popolo italiano è stata virtualmente decisa il
giorno in cui sono cominciati i sequestri e le diffide, Quintino Sella, —- uomo
d’ordine, uno dei più autorevoli esponenti della Destra storica — in un memorabile
discorso pronunziato in Biella l’11 ottobre 1868 alla riunione della Società
Operaia di Biella, così si esprimeva, dopo aver ricordati i tempi in cui si
temeva la libertà di pensiero e di stampa:
‘La
libertà è come il vapore. Osservatelo quando si eleva da una caldaia aperta: è
innocuo, poco meno che invisibile. Provatevi a trattenerlo, rinforzate il coperchio,
accerchiatelo di muri; lo scoppio sarà tanto più terribile quanto maggiori
saranno gli ostacoli; e così la libertà mandò l’uno dopo l’altro in aria i
Governi e le dinastie che cercarono di comprimerla’.
Scopo
del mio opuscolo non è certamente quello di fare una disquisizione sulla
libertà di stampa. Si dovrebbero ripetere cose ovvie, intuitive ed anche inutili,
perché la libertà di stampa se ha sempre molti nemici ha ormai ben pochi
avversari. C’è ancora qualche buon’anima, in perfetta buona fede, che crede che
il mondo andrebbe molto meglio senza libertà, senza i giornali, senza il vapore
e senza l’elettricità (certamente il Borsa non avrebbe mai immaginato gli
eccessi accompagnati dagli abusi del progresso che minacciano peggio della
Libertà di Stampa, proprio perché la medesima li individua nella catena di
montaggio in cui l’abuso e l’eccesso formano non solo l’oltraggio, ma anche un
Dominio a beneficio di quella dittatura del capitalismo, o Futurismo, di cui il
Fascismo andava e va ben fiero!).
Sempre
fra i pochi avversari in buona fede ce n’è di quelli che ammetterebbero la
libertà di stampa... se non ci fossero quei benedetti abusi che la mutano
troppo spesso in licenza. A costoro rispondeva, colla sua bonomia ambrosiana,
Emilio De Marchi una volta in cui era chiamato come perito in un pro- cesso di
stampa ‘Signori’ — egli diceva rivolto ai giurati — ‘la libertà di stampa è
come il sole. Anche il sole scotta, dà le insolazioni e molti altri mali, ma
nessuno si è mai sognato di limitare la luce ed il calore del sole che sono
tutta la nostra vita’.
Quanto
ai molti nemici è superfluo cercare chi siano, tutti coloro che hanno qualche
cosa da nascondere, tutti coloro che hanno motivo di temere il controllo della
pubblica opinione sono, logicamente, i nemici della libertà di stampa perché...
si preoccupano della forza dello Stato, del bene della Patria, del rispetto
dovuto alle istituzioni, del prestigio della Nazione... a via discorrendo. È
bene anche avvertire che la libertà di stampa poteva essere, una questione
filosofica tre o quattro secoli fa. Ma da allora in poi è sempre stata una questione
politica — anzi, come direbbe l’on. Mussolini, squisitamente politica.
La
è oggi, la sarà domani. Se i nostri ottimi fascisti, tra le altre loro amenità,
non avessero anche quella di credere che la storia incomincia colla marcia su
Roma e che tutto il resto è roba morta, cadaverica, in decomposizione, si
potrebbe cercare insieme nella esperienza del passato qualche esempio che valga
a dimostrare la fallacia e la vanità delle misure restrittive introdotte dal
presente Governo. È quello che io ho tentato di fare affrettatamente e
sommariamente nelle pagine che seguono, ricordando le principali peripezie attraverso
cui è passata ed è stata conquistata la libertà di stampa in Inghilterra ed in
Francia.
La
storia, tra le altre cose, mi pare che non lasci dubbi sopra questi punti: —
Sempre ed ovunque la libertà di stampa è stata in qualche modo manomessa da
Governi deboli che, sebbene tenessero il potere colla forza, non avevano dalla
loro il consenso dell’opinione pubblica. Sempre e dovunque la menomazione della
libertà di stampa ha avuto le stesse conseguenze: la formazione indisturbata di
avide clientele… senza scrupoli e senza ritegni; il favoritismo, l’affarismo, la
corruzione. Né potrebbe essere diversamente: la libertà di stampa essendo la
condizione prima ed essenziale per la purezza della vita pubblica.
‘Datemi solamente la libertà di stampa’ — diceva Sheridan ai Comuni — ‘ed io lascerò che il ministro abbia una venale Camera dei Pari. Io gli lascerò una Camera dei Comuni corrotta e servile. Lascerò che egli usi ed abusi del patronato del suo ufficio. Gli lascerò tutte le sue influenze ministeriali. Gli lascerò tutti i poteri conferitigli dalla sua posizione per comprarsi la sottomissione e fiaccare colla intimidazione ogni resistenza. Con tutto ciò, armato della libertà di stampa, io mi farò innanzi solo e senza paura ed attaccherò il potente edificio che egli ha alzato con quell’arma ben più potente. Io abbatterò dalla sua altezza la corruzione e la seppellirò sotto la ruina degli abusi che voleva coprire’
(Più o meno lo stesso Principio adottò un personaggio a noi caro,
quando la prematura fine, in quel dì della Russia, dallo Zar al Soviet unita,
ne ha fatto scempio, e la formula espressiva del veleno di Stato lo ha
prematuramente ricondotto verso la Storia di medesime ugual fognature, ove un
altro profugo sopravvissuto ci narra e ricorda ciò cui uno Stato non solo
capace, ma capace di alleare il proprio mascherato interesse, con l’apparente rispetto
di un’altrettanta apparente immobile avversione all’arme come alla guerra,
rivenduta e spacciata, grazie all’apporto di una stampa distratta e sovvenzionata
dallo stato medesimo, qual garanzia della corrotta democrazia, in odor di
fascismo alleato allo zar di turno).
Dicevo,
poco sopra, che i nostri fascisti affettano un sdegnoso disprezzo per tutti
quelli che possono essere gli insegnamenti del passato. Né forse hanno torto se
vogliono preservarsi l’illusione di essere e di rappresentare qualche cosa di
nuovo nel mondo. La Storia infatti, è disseminata di Mussolini ed il fascismo è
vecchio come lo spirito della reazione.
Anche
questa battaglia di stampa a cui essi ci hanno, nostro malgrado, invitati non
ci offre, non ci può offrire alcun spunto di novità.
Sempre
gli stessi mezzi per coartarla, sempre gli stessi argomenti per giustificarne
l’applicazione.
Non
prevarranno né gli uni né gli altri.
È sempre stato così.
Non
è la prima volta che si attenta alla libertà di stampa. Non sarà l’ultima. Ci
sono ogni tanto bruschi ritorni: improvvisi stringimenti di freni: la carrozza
sobbalza, gira da una parte, gira dall’altra, si arresta anche,
temporaneamente. Ma poi riprende la sua via. È una sola: sempre quella: non può
essere che quella.
(ATTENTATO PERFETTAMENTE SINCRONIZZATO SECONDO TALUNE...)
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