CHI DELLA FOLLA, INVECE,

CHI DELLA FOLLA, INVECE,
UN LIBRO ANCORA DA SCRIVERE: UPTON SINCLAIR

sabato 7 marzo 2015

AMMAZZARE IL TEMPO (finalismo & meccanicismo) (16)
















Precedente capitolo:

Ammazzare il Tempo (la vita nel suo progredire) (14/15)

Prosegue in:

Ammazzare il Tempo (finalismo & meccanicismo) (17)













La finalità, dice dunque Bergson, ‘assimila il lavoro della natura a quello di un operaio che procede, anch’egli, per assemplaggio di parti in vista della realizzazione del modello’.
A cui aggiunge che anche il meccanicismo, a suo modo, lo fa, la qual cosa è forse possibile, ma il finalismo di Aristotele non lo fa.  E’ vero che il concetto di causa finale è stato ispirato ad Aristotele dall’esempio dell’attività artistica, artigianale o operaia, ma non è vero che il meccanicismo debba rimproverare al finalismo il suo carattere antropomorfico.
Abbiamo insistito su questo punto parlando di Aristotele: è l’arte che imita la natura e non il contrario. Ciò che colpisce Aristotele nel raffrontarle, è proprio il fatto che, a differenza dell’arte, la natura non calcola, non riflette, non sceglie. Ecco perché, quando nulla interviene a disturbarla, essa non sbaglia.
Ed è anche la ragione per cui, mossa dall’interno verso un fine che essa ignora ma che resta in sé, la natura non fa nulla invano.
Essa non fa né prototipi né prove, ma riesce al primo colpo o fallisce definitivamente. Niente a che vedere col lavoro umano artigianale, guidato dall’intelligenza, perché ciò che lo caratterizza è la possibilità di sbagliarsi.




La natura non lavora ‘come l’operaio, assemblando delle parti’ ma producendo dei corpi unici la cui esistenza implica quella di ciò che chiamiamo le loro parti.
Essa non fa piante o animali con degli organi, ma fa degli organi producendo animali e piante. E vuole le parti in relazione alla sua volontà del tutto; come il Dio di Tommaso d’Aquino, la natura non vuole questo in vista di quello, ma vuole che questo sia in vista di quello.
E’ significativo che il pensiero senta lo stesso bisogno di sfuggire all’antropomorfismo parlando della natura e parlando di Dio.
Aristotele ha spesso insistito sul fatto che l’uomo lavori in vista di fini intenzionali con dei materiali presi a prestito dalla natura, mentre la natura produce essa stessa i suoi materiali. 
L’uomo si è fabbricato delle ali per volare, non è stato capace di farsi spuntare ali come quelle degli uccelli, ed è del resto la ragione per cui, munito di ali fabbricate, egli vola così male.
L’uomo non ha scoperto il segreto per costruirsi delle abitazioni naturali, simili alle scaglie dorsali e ventrali delle tartarughe, ma ha progressivamente imparato a costruirne; questo è tutto ciò che dice Aristotele.




Se la natura facesse spuntare delle case, la sua opera sarebbe simile a quella degli architetti, ma la natura non è un architetto e il suo lavoro non assomiglia a quello di un architetto; la sua opera è una creazione naturale e essa stessa non è che un agente analogo all’intelligenza che dirige le operazioni dell’uomo verso i fini che essa concepisce.
L’importanza attribuita da Aristotele al fatto che la natura e l’arte procedono entrambe per gradi, che implicano l’esistenza di un fine, giustifica sicuramente in parte il rimprovero che Bergson gli muove di sostenere una nozione antropomorfica del finalismo.
Non si potrà negare che Aristotele abbia concepito l’una per analogia con l’altra, ma è questa l’occasione per ribadire che l’uomo fa parte della natura, di cui rappresenta questo caso unico, di una natura che si conosce direttamente dal di dentro, cioè attraverso l’uomo che è natura.




Tutto avviene come se, nel produrre l’uomo dotato di ragione, la natura continuasse, sotto forma di produzione artigianale il lavoro ch’essa svolgeva fino allora fisiologicamente. E’ cattivo antropomorfismo ragionare come se le due finalità operassero nello stesso modo, come se la natura creasse un occhio nello stesso modo in cui un ottico costruisce un telescopio, ma è forse antropomorfismo legittimo pensare che due serie di operazioni di struttura analoga, e conducenti a risultati comparabili, siano in ultima analisi della stessa natura.
L’artigiano umano continua l’oerazione della natura, e talvolta la completa, attraverso mezzi completamente diversi (ed, aggiungo io, per gradi procedurali differenziati…).
Lo stesso Bergson non era del resto forse così lontano dal finalismo di Aristotele come pensava…..

(E. Gilson, Biofilosofia da Aristotele a Darwin e ritorno....)

(Prosegue....)

















Nessun commento:

Posta un commento