CHI DELLA FOLLA, INVECE,

CHI DELLA FOLLA, INVECE,
UN LIBRO ANCORA DA SCRIVERE: UPTON SINCLAIR

martedì 7 aprile 2020

IL DIAVOLO (& l'acqua santa)




















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Acqua Santa (4)













La credenza che i fiori possano nascere dal sangue umano o aprirsi sulle tombe, alimentandosi le radici delle piante nel cuore o sulle labbra di un povero morto, è assai estesa in certe regioni delle Alpi, ed è ancora una poetica memoria del passato rimasta fra gli alpigiani; poiché il rododendro che nasce dal sangue e tingesi di colore più bello, ricorda le rose che dovettero la tinta vivissima al sangue di Adone, ucciso dal cinghiale.

Una leggenda delle Alpi dice pure che una specie di garofano (dianthus Carygophyl), che vedesi con frequenza sulle montagne, si alimenta sulle tombe nel cuore dei poveri morti; ed è forza che usi ogni cura, chi passa in un camposanto, per non guastare le pianticelle. Se avviene di spezzare uno stelo delicato del triste garofanetto, devesi chiedere scusa alle anime dei poveri morti.




Una leggenda svizzera, invece, che trovasi con qualche variante anche sulle Alpi del Tirolo, narra di certi gigli meravigliosi che fiorivano sulle tombe; ma il racconto più noto fra gli alpigiani è quello che ricorda un Duca Leopoldo d’Austria, possente signore ed amato dai suoi vassalli, il quale mentre era uscito a cavallo dalla città di Sempach fu assalito sulla via ed ucciso. Un anno dopo la sua morte nel 1387, nel giorno di San Cirillo, un fiore bellissimo si aprì nel sito che era stato bagnato dal suo sangue, ed essendo raccolto con ogni cura fu deposto in una cappella. Sul terreno ove erasi aperto il fiore così raro e bello, fu eretta una cappella, e nel 1515 anche nel giorno di San Cirillo, un altro fiore, che si poteva dire cosa di paradiso, si aprì ancora nel sito ove era morto il duca Leopoldo. Questo fatto vien pure ricordato in un documento del 1516.
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Intorno alla primola auricola che fiorisce fra le rupi altissime delle Alpi narrasi altra leggenda che rassomiglia a quella del rododendro; solo il pastore che morì miseramente precipitando da vertiginosa altezza, e non lasciò il bel mazzo raccolto per la fidanzata, erasi messo in quel cimento senza esserne pregato.




Dicesi ancora nell’Unterwald che il diavolo si diletti nel far crescere quei fiori in siti quasi inaccessibili onde mettere a rischio la vita degli uomini, che allettati dalla loro bellezza vogliono raccoglierli; e quasi inevitabilmente debbono precipitare da rupe a rupe e morire nei burroni, o fra la rapida corrente dei fiumi e dei torrenti che passano in mezzo ai massi neri.

Forse perché l’anima umana è più avvezza al dolore che alla gioia, le leggende di certi fiori pur gentili e belli che rallegrano la terra, sono tristi assai.




Il Diavolo — non abbiate paura, leggitrici gentili egli non è poi tanto brutto come si dipinge — il diavolo, che ha eseguilo in questo basso mondo tante opere mirabili di architettura, che ha costruito stupende Cattedrali e gettato sui torrenti e sui fiumi arditissimi ponti, deve anche essere stato l’inventore dei giardini.

Non mi citate contro il giardino dell’Eden, dove l’onnipotente volontà del Creatore pose in villeggiatura quelle due buone lane de’ progenitori nostri. Nessuno ha mai detto chi avesse disegnato i viali e piantato i boschetti del Paradiso terrestre, dove sorgeva l’albero del Bene e del Male; ma quel che sappiamo di sicuro è che il Demonio faceva da padrone là dentro, e l’Angelo dalla spada fiammeggiante, posto a guardia del cancello, non ebbe mai potestà di contendergli il passo.




Questa opinione, che mi pare perfettamente ortodossa, mi è saltata in testa pensando come, dal padre Adamo in poi, la più bella fioritura in tutti i giardini della terra sia stata sempre la fioritura de’ peccati mortali. Non istiamo a rammentare il fatai pomo e le sue terribili conseguenze per i più tardi nepoti. Ormai la frittata è fatta, e i serpenti, grazie a Dio, non offrono più mele alle signore. Offrono loro piuttosto delle collane di brillanti e delle carrozze a due cavalli; ma cotesto genere di seduzioni, che mette qualche dispiacere pel capo a’ mariti, non ha influenza veruna sulle generazioni future.

Pensiamo piuttosto a tutte le mariuolerie compiute nei giardini d’Alcinoo, ne’ sacri boschetti di Diana Efesia, negli orti di Epicuro, nei pensili giardini di Babilonia, in quelli dello buon re Renato nei tepidari del Trianon, fra le aiuole di Sceaux, e fra le ombre silenti de’ cespugli del Belvedere e del Quirinale. Si direbbe che sotto i lunghi pergolati, nella calda atmosfera delle stufe, al rezzo delle siepi di lauro e di mortella, nascano spontanee le infrazioni a tutti e dieci i comandamenti di Dio e le ubbidienze agli astuti consigli del Demonio.




Vero è che noi dobbiamo al diavolo una immensa  riconoscenza. Senza di lui l’uomo e la donna sarebbero ornati di tutte le perfezioni.... e immaginatevi che noia!... Noi però, senza aver l’aria di darcene troppo pensiero, abbiamo di molto perfezionata l’opera e l’invenzione di Belzebù.

I nostri giardini pigliano a prestito ogni maniera di seduzioni da tutte le arti, da tutte le scienze di questo mondo.

Ci vogliamo dei tepidari, dove una dolce sonnolenza invita al molle abbandono e all’oblio degli obblighi del proprio stato; ci innalziamo delle stufe, dove il calore dell’ambiente fa bollire il sangue nelle vene; ci pratichiamo dei recessi misteriosi, dove occhio indiscreto non penetra a scoprire le marachelle de’ visitatori; a tutte le piante attacchiamo un cartellino con certi nomi che solleticano la tentazione e mandano in risate il pentimento…




…Popoliamo i boschetti con certe statue da farsi il segno della croce; e disponiamo pei viali, ne’ padiglioni e nelle Aranciere certi mobiletti graziosi, leggeri e solidi al tempo stesso, con delle forme provocanti che suscitano alla prima gli stimoli dell’accidia, ovvero.... pigrizia! Andate a vagolare per una mezz’ora sotto i porticati laterali del grande edificio dell’Esposizione, e tornerete a casa con un intero patrimonio di peccati di desideri.





Vedrete gli apparecchi di riscaldamento, dalle grandi stufe di ferro e cristallo de’ Mathian padre e figlio, di Lione, ai disegni ridotti in minime proporzioni dallo Zani di Suint-Germain-en-Laye e dal Britton di Bruxelles; da’ telai di moltiplicazione del Guynat di Francheville, alle cassette di riproduzione del Veitch di Londra. Mettete lì dentro un povero fiore inpocentino e modesto, una pianticella morigerata cresciuta nel santo timor di Dio, e subito quella temperatura diabolica, quel contatto che moltiplica le occasioni, faranno nascere un visibilio di conoscenze clandestine, di relazioni peccaminose, e di ibridismi riprovati dal codice civile de’ vegetabili.




Il signor Mathian ha un bel guadagnarsi delle medaglie d’oro in questo mondo, ma il giorno del giudizio universale, quando il Padre comune degli uomini e de’ legumi gli domanderà con voce tonante:

Che hai tu fatto delle vergini Orchidèe affidate alla tua custodia

…garantisco io che il signor Mathian passerà un brutto quarto d’ora, e tutte le sue medaglie, neanco se fossero di San Venanzio, non lo salveranno dalla gran cascata!...




E poi vedrete i vasi e le cassette, di terra cotta e di porcellana, le giardiniere, i deschetti, i tripodi, le panierine, le sedie, le poltrone, le graticciate, e i ponticelli destinati all’adornamento dei giardini.

Il cavalier Pasquale Franci di Siena piega i tondelli e rintaglia le lastre di ferro, come se fossero semplici bacchette di giunco e sottilissimi cartoncini per biglietti da visita. Su quelle belle poltroncine soffici come di velluto imbottito ci si deve stare d’incanto, all’ombra d’una pergola carica di grappoli d’uva, con una buona tazza di caffè, un sigaro d’avana, e.... una buona occasione di barattare quattro parole a voce bassa, fra i tropeoli dell’amicizia.




Anco i mobili del signor Bencini di Firenze hanno un’aria di civettesca semplicità e di solida leggerezza, che invita prenderci posto e a passarci una mezz’ora in santa pace. Ah! come prenderei volentieri una dozzina di quelle seggiole e un paio di que’ tavolini in legno e ferro.... con una villetta annessa e otto o dieci poderi!... Mi ci sdraierei sopra a pancia piena, ci leggerei la Nazione a tempo avanzato, sorriderei a’ ghiribizzi d’un altro Yorick purchessia, e brontolerei fra uno sbadiglio e l’altro:

Gran matto quell’ Yorick!...

Dev’essere un uomo che non ha mai nulla da fare!...




Anco il Méry Picard di Parigi, che imita colla ghisa e col ferro fuso i ramoscelli degli alberi e i fuscellini degli arbusti, ha mandato quaggiù una collezione di sgabelletti, di tripodi, di piedistalli da vasi.... e perfino un ponticello destinato a qualche fiume in miniatura, a qualche ruscelletto diminutivo, di quelli che apostrofava con sì comica bile il nostro Giambattista Fagiuoli, e a cui il Testi cantava: ‘Non gorgogliar cotanto/ Non gir sì torvo a flagellar la sponda/ Che, benché Maggio alquanto/ Di liquefatto gel t’accresca l’onda,/ Sopravverrà ben tosto,/ Essiccator di tue gonfiezze, Agosto!’.




Ma intanto sedere nell’agile barchetta, dondolarsi sull’onda al lume della luna e vedere i piedi chinesi della bella castellana zampettare furtivi sulle assicelle del ponto, dev’essere una beatitudine da andare in brodo di succiole. Gli eleganti steccati e i graziosi cancellini del Bourget di Lione mi hanno risvegliato tutte le sopite concupiscenze giovanili. Me li figuro drizzati lungo la proda, sul limite di due possessi contigui, mentre da una parte sta il giovinetto intraprendente e dall’altra la fanciulla.... intrapresa. Lo steccato rappresenta allora il così detto baluardo della morale, del dovere e della convenienza. Il male è che a questi tempi in cui s’insegna tanta ginnastica a’ ragazzi e alle signorine.... Basta!... uno steccato m’è sempre parso una cosa messa lì apposta per far venir la voglia di saltare dalla parte di là!...




Cotesta tentazione però non viene di sicuro a chi guarda le incalocchiate del Mure di Torino, ch’egli intitola tranquillamente:

Cancellate a tavola.

Vedete un po’ che bella cosa! Anco le cancellate vanno a tavola, in que’ paesi benedetti dove non manca la voglia di banchettare nemmeno alle calocchie. Buon’appetito alle cancellate del signor Mure! Elle debbono durare un pezzo in buono stato, se non è bugiardo il nostro famoso proverbio che dice:


A tavola non ci s’invecchia!... 











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