CHI DELLA FOLLA, INVECE,

CHI DELLA FOLLA, INVECE,
30 MAGGIO 1924

lunedì 30 dicembre 2024

LA SCHIAVA BIANCA (9)

 









Precedenti anni d'infanzia (7/8)  


Prosegue con l'impressione 


del Genio







Il mercato degli schiavi (in francese Le Marché d'esclaves; in inglese The Slave Market) è un dipinto del pittore francese Jean-Léon Gérôme. Realizzato intorno al 1866, è un dipinto a olio su tela di dimensioni 84,8 cm per 63,5 cm. La trama dell’immagine è costruita attorno alla scelta di una concubina nel mercato arabo. Il dipinto è esposto al Clark Art Institute.

 

Nel 1844, a Parigi, Jean-Léon Gérôme divenne allievo di Charles Gleyre (1806-1874). Gli allievi di Gleyre comprendevano Monet, Renoir, Basile e Whistler. La simpatia di Gleyre per Fidia e Raffaello già a quel tempo sembrava antiquata, ma i suoi allievi li usavano quando dipingevano scene storiche, bibliche e mitologiche. In particolare, Gérôme visitò più volte il Medio Oriente, ed era ben consapevole che ufficialmente la tratta degli schiavi nell’Impero Ottomano durante il periodo Tanzimat era seriamente limitata, anche sotto la pressione degli alleati europei dei turchi.

 

Tuttavia, la trama di Gérôme non contiene solo una scena di una storia recente al momento in cui la dipinse.

 



Il tema della tratta araba di una schiava di Jean-Leon Gérôme è apparso in un contesto sociale specifico, quando le modelle erano costantemente a disposizione dell’artista in studio. Alla fantasia di un uomo che domina una donna, di un possesso assoluto dei corpi delle donne, si contrappone un sentimento di ferocia, crudeltà, bassezza e lussuria della tratta degli schiavi. I dipinti di questo soggetto portarono un tocco scandaloso al lavoro di Jean-Léon Gérôme, che contribuì all’aumento della fama dell’artista.

 

Il dipinto venne acquistato da Adolphe Goupil il 23 agosto 1866 e nel 1867 venne esposto al Salon di Parigi. L’opera venne acquistata e venduta varie volte finché nel 1930 non venne comprata da Robert Sterling Clark. Dal 1955 fa parte della collezione dell'istituto d’arte.

 

Il dipinto presenta un’ambientazione mediorientale o nordafricana non specifica nella quale un uomo ispeziona i denti di una schiava nuda. Sullo sfondo si vedono dei compratori che ispezionano un uomo nudo dalla pelle scura. Maxime Du Camp, che aveva lavorato intensamente in Medio Oriente, recensì il dipinto esposto al Salone del 1867.




Egli individuò la scena nel mercato degli schiavi de Il Cairo e descrisse il quadro come ‘una scena fatta sul posto’. Egli descrisse la donna in vendita come ‘un’abissina’ e definì il venditore un ‘brigante avvezzo a ogni sorta di rapimento’. Secondo lui, la povera fanciulla in piedi è ‘sottomessa, umile e rassegnata’.

 

Le prime raffigurazioni del commercio di schiavi di Gérôme precedono Il mercato degli schiavi e alcune sono ambientate nel mondo classico. In effetti, egli aveva dipinto una scena molto simile nel 1857, intitolata Acquisto di una schiava, ambientata nel mondo greco o romano, nella quale le differenze etniche tra il compratore, il venditore e la schiava non sono così evidenti.




Nel 2019 il partito politico di destra Alternative für Deutschland (lett. ‘Alternativa per la Germania’) adoperò il dipinto per una pubblicità politica in vista delle elezioni europee del 2019. La ristampa venne accompagnata dagli slogan ‘Gli europei votino AfD!’ o ‘Così che l’Europa non diventi un’Eurabia!’.

 

Deutsche Welle riportò come il quadro fosse stato adoperato con un intento razzista, in quanto raffigurava suggestivamente degli uomini dalla pelle scura, barbuti e con dei turbanti che ‘esaminavano i denti di una donna bianca nuda’. L’istituto d’arte statunitense denunciò pesantemente l’AfD per quest’uso del dipinto.

 

 

 

PRIMA E DOPO IL MURO

 

 

 

‘Mi è sempre piaciuto dirigere il dipartimento di opinione. Oggi su Welt am Sonntag è apparso un testo di Elon Musk. Ieri ho presentato le mie dimissioni dopo la stampa’.

 

Con queste tweet, Eva Marie Kogel, la responsabile delle pagine di opinioni Die Welt ha protestato contro la pubblicazione di un intervento in cui l’imprenditore – diventato consigliere di Donald Trump e autore di sparate politiche molto criticate – spiega perché il 20 dicembre scorso ha dichiarato che solo ‘l’Afd può salvare la Germania’. Il servizio è corredato da un articolo di Jan Philipp Burgard – futuro capo redattore – che spiega perché l’imprenditore ha torto.

 

Alternative für Deutschland è un giovane partito di estrema destra la cui ex leader si dimise perché il partito era diventato razzista ed estremista. Alcuni membri tra l’altro hanno minimizzato l’Olocausto, negando le responsabilità tedesche. Posizioni di retroguardia su diritti civili ed etici. Il partito è stato oggetto in passato anche di verifica dell’Ufficio per la difesa della Costituzione per verificare se esistessero le basi per l’avvio di una procedura di incostituzionalità. L’appoggio di Musk a un partito di estrema destra che ottiene successi elettorali, ma viene isolato dalle altre formazioni politiche tedesche per le posizioni controverse, ha scatenato un’accesa polemica.

 

Solo venerdì il presidente tedesco Frank-Walter Steinmeier – che ha sciolto il Parlamento in vista delle prossime elezioni a febbraio- ha aperto la campagna elettorale già incandescente rivolgendo un altolà all’onnipresente Elon Musk anche senza citarlo

 

‘L’influenza esterna è un pericolo per la democrazia: sia quando è nascosta, come nel voto in Romania, sia quando è aperta e palese, come avviene in modo intenso su X’,

 

…ha detto il capo dello Stato rispedendo al mittente l’endorsement all’AfD del futuro Doge di Donald Trump. Musk, patron di Tesla e Space X che ha finanziato in maniera massiccia la campagna elettorale di Trump, il 21 dicembre era entrato a gamba tesa nel dibattitto politico tedesco con questo post:

 

‘Scholz dovrebbe dimettersi immediatamente. Incompetente idiota’.

 

Un durissimo attacco contro il cancelliere tedesco in seguito all’attentato di Magdeburgo – provocato proprio da un simpatizzante di Afd – che ignorava che Scholz si era già dimesso per la crisi del suo governo.

(IlFattoQuotidiano)






  FRANZISKA LA CIMICE 



 

Ero a Berlino nell’agosto del 61. Non c’era ancora il muro. Andai a passare la domenica dall’altra parte. Il tempo era incerto, ogni tanto uno scroscio di pioggia. Scesi alla Friedrichstrasse, dieci minuti di treno. Accanto a me sedeva un anziano signore dalla giacchetta di alpaca: fumava un sigaro, aveva voglia di chiacchierare, cercava di rendersi utile: ‘Vede quello? E’ l’ospedale della Charité. Lì operava il famoso Sauerbruch, un genio. Aprì la pancia anche a Hitler. Quell’edificio distrutto era il Reichstag. Rovine, sempre rovine’.

 

Mi fermai, per dare un’occhiata ai giornali, al caffè del Presse Club. Nella Berliner Zeitung c’era Togliatti che sorrideva accanto a Granzotto, e un articolo illustrava la nuova sede de l’Unità. Un opuscolo era dedicato alle conquiste delle donne cinesi, una rivista spiegava le meraviglie della Bulgaria. Quando chiesi il conto, la commessa mi pregò di mostrarle il passaporto. Voleva controllare se avevo cambiato la valuta regolarmente.




Sulla Sprea passavano carichi di sabbia o di carbone. Qualche pescatore buttava la lenza nell’acqua cupa: sotto un ponte della ferrovia faceva la guardia, col mitra a tracolla, un milite della Volkpolizei. Pareva un giorno di novembre, l’aria aveva i tremori dell’autunno, le vetrine dei negozi quasi vuote erano ancora più malinconiche.

 

‘La mia bottega è chiusa il mercoledì’, avvertiva un cartello, e l’insegna diceva che il proprietario, non ancora collettivizzato, tagliava barba e capelli dal 1908.

 

‘La mia bottega’: che scritta insolita, pensavo, quasi patetica. Camminavo dalle parti dell’Akademie Platz, le erbacce crescevano sulle gradinate del teatro di Federico, fumo e stagioni avevano annerito gli antichi muri: brillava appena, tra fregi dorici, l’oro di qualche parola sconvolta dalle bombe. Trovai un tassì e dissi di portarmi alla Cancelleria.

 

Il ‘Bunker’ dove morì Hitler, non c’è più.




I russi l’hanno fatto demolire, adesso è diventato una collinetta, che odora di fieno bagnato, dove è spuntata l’erba medica.


‘Lui se ne è andato’, disse l’autista con confidenza ‘ma per noi non è cambiato gran che. Sa che cosa si dice? Siamo liberi di fare quello che vogliono. Ma non i può andare avanti. Mia moglie aveva bisogno di prezzemolo per preparare il brodo, ho attraversato la città, trenta chilometri, per trovarlo. Sa come chiamano la margarina? Gagarina. E’ gonfia d’acqua: appena la metti in padella, salta per aria. Una volta o l’altra scappo di là, ma quello che mitrattiene, è l’idea di finire in un campo profughi: ho due bambini. Trova che la mia automobile è sfasciata? E’ mia solo per guidarla, appartiene allo Stato. E’, anche lei, reduce della guerra. Ha vent’anni. Non ci sono ricambi, fa miracoli, poveretta. Senta questa: raccontano che i russi hanno regalato a Ulbrich una bella macchina, ma senza motore. Tanto, gli hanno detto, tu vai sempre in discesa. Buona, no?’.


 

Passai un pomeriggio senza emozioni, come un qualunque cittadino della Repubblica Democratica. Vidi saltellare gli scoiattoli nei viali del Tiergarten, i soldati russi in libera uscita che si fermavano ad osservare il sonno degli orsi, o il ragazzo che andava a raccogliere, sui trespoli sparsi un po’ dappertutto, diffidenti e loquaci pappagalli. Anche i militari sovietici si mescolavano con le famiglie che attendevano il loro turno per ricevere un bicchiere  di birra o una bevanda ingiustamente definita aranciata.




Alla Marx-Engels-Platz era arrivata la carovana del circo Busch: il direttore mi disse con orgoglio che era il maggiore della Deutsche Demokratisce Republik, erano stati in tourné e anche in Polonia e in Cecoslovacchia, ma gli incassi non bastavano al mantenimento degli artisti e degli animali.

 

Finii dalle parti dell’Alexanderplatz, a cercare invano, nei buoi tra le macerie, l’ombra degli eroi romanzeschi di Doblin. Non c’erano più gli avventurosi straccioni e le birrerie dalle quali uscivano fumo di sigari e suoni di chitarre e di fisarmoniche, ma solo la composta tristezza di qualche passante, marito e moglie, coi vestitucci dozzinali, e un bambino, tra le braccia, addormentato.

 

Quel paesaggio è profondamente mutato. Pochi giorni dopo, Ulbricht dava un ordine, e i Vopo piantavano i paletti e alzavano il filo spinato e le torrette di osservazione, muravano le finestre degli edifici sul confine, bloccavano ogni uscita. Se dalla RDT è impossibile uscire, non è semplice neppure entrare.

 

Ho impiegato quasi un’ora per i controlli di polizia. Bisogna denunciare anche la macchina fotografica, ed è proibito introdurre giornali. Una guardia, con un aggeggio munito di specchi, ispeziona perfino il telaio dell’automobile. Non si sa mai.




‘Sa che cos’è una sardina?’ mi raccontava un loquace autista di Berlino-Est, un brav’uomo esente da preoccupazioni ideologiche. ‘E’ una balena sopravvissuta al comunismo’.

 

Questa l’aveva messa in giro, dicono i teatranti, niente meno che Bertolt Brecht. Chiede il capo cellula: ‘Compagno Meier, perché non ti abbiamo visto all’ultima riunione?’. ‘Non sapevo che fosse l’ultima’, spiega Meier, ‘altrimenti ci sarei stato sicuramente’.

 

L’ironia delle storielle colpisce certi aspetti della vita quotidiana e del carattere dell’uomo germanico, sia di qua o di là dal muro, si esercita su passioni costanti, come, ad esempio, l’ossequio per l’autorità. C’è un signore che in un giorno caldo d’estate, il cielo sgombro di nuvole, non tira una bava di vento, va in giro con cappotto e ombrello, e si giustifica: ‘La radio ha annunciato che a Mosca piove e fa freddo’.




Ancora: tre cronisti, un russo, un cinese e un tedesco si trovano attorno a un tavolo per discutere. A un tratto il sovietico si sente pizzicare da UNA CIMICE, la prende e la butta via, il cinese, irritato ma riflessivo, la infila nell’orlo della tunica:

 

‘Può sempre servire’; il tedesco obbediente, la lascia fare: ‘SE C’E’ VUOL DIRE CHE IL PARTITO E’ DACCORDO,

 

   E IL PARTITO HA SEMPRE RAGIONE...’

 

(Enzo Biagi, Germania)

 

 

 

LANNO DEL TOPO






Incontrai anche Fanziska….: 

 

Lo stato totalitario era un oppressore, ma era anche uno stato che si prendeva cura dei suoi seguaci. Le autorità hanno chiesto dove si trovasse il bambino scomparso da scuola, lo hanno cercato e aiutato finché non è tornato al suo posto.

 

Droga e violenza nelle scuole?

 

Ciò non esisteva e, se esistesse, le autorità statali sarebbero intervenute; e i genitori avrebbero sostenuto la ricerca di una soluzione invece di, come fanno oggi, impegnarsi per proteggersi dalla loro prole viziata. Nel centro medico, tutti i reparti erano in un unico posto e ora dovevi guidare per ore da un medico all’altro. Lo stato totalitario aveva dato a ognuno il suo lavoro, e ora si diceva: trova il tuo lavoro da solo, aiutati. Era finito lo stato premuroso che aveva regolato la vita quotidiana; Non controllava più, ma non era nemmeno più interessato ai singoli individui. All’improvviso c’era molta paura per la libertà che le persone avevano tanto desiderato.




E così è successo che, anche se le persone erano più libere che mai, essenzialmente si sentivano molto impotenti.

 

Zastrow aveva già capito da tempo dove si stava sviluppando l’AfD.

 

Era diventato il nuovo partito popolare nazionale tedesco, rappresentava le vittime dei “vecchi partiti” che avevano lasciato dietro di sé “deserti” “dove un tempo c’erano paesaggi fioriti”. A meno che la DDR non fosse intesa con “prima”, va detto: il tasso di disoccupazione nei Länder della Germania dell’Est è del 7,4%, in Sassonia e Turingia è del 6% – dopo aver superato il 20% prima della fine del millennio. In media, le persone se la passano meglio dal punto di vista economico rispetto a 20 anni fa, ma è comunque emerso l’odio verso l’economia di mercato e la democrazia.




Il catalogo segreto dei desideri dell’AfD comprende tutti i tipi di misure contro l’immigrazione che non sono giuridicamente applicabili: esclusione della cittadinanza per i richiedenti asilo, cittadinanza per discendenza, esclusione dell’ingresso da paesi musulmani, esclusione degli stranieri dai fondi di previdenza sociale, immigrazione solo per i ricchi e/o ben istruito.

 

La richiesta di reintrodurre la pena di morte è spesso sollevata ai tavoli degli iscritti abituali. Dirlo pubblicamente è vietato perché metterebbe in discussione l’Ufficio per la Tutela della Costituzione.

 

Paradossalmente per ciò che mi ha appena detto circa l’interpretazione della politica economica e una certa dittatura del mercato… Franziska continua in questo modo…




I nostri leader non sono stati mai così brillanti come il giorno successivo al giuramento di Donald Trump come presidente degli Stati Uniti e al discorso inaugurale spettacolarmente deludente (‘America first!’). Geert Wilders, Marine Le Pen, l’austriaco Harald Vilimsky (FPÖ), l’italiano Matteo Salvini (Lega Nord) e Frauke Petry sono saliti sul palco con musica da marcia trionfale. Sembrava che tutti attendessero con ansia la rivoluzione degli stati-nazione, almeno qualcosa di rivoluzionario, prima in Francia, poi nei Paesi Bassi e infine in Germania, dove c’era motivo di sperare in successi simili a quelli di Donald Trump (America first? Franziska?).

 

Geert Wilders ha raccomandato ai tedeschi ‘Frauke invece di Angela’ e ha detto:

 

‘Siamo all’inizio di una primavera patriottica in tutta Europa’.



 

Ha promesso: il 2017/2025 sarà

 

‘l’anno del popolo’

 

‘l’anno in cui ci libereremo della democrazia’.

 

Anche Salvini ha criticato, a mio avviso, giustamente, la politica economica europea corporativa, la globalizzazione sotto regole ingiuste, la disoccupazione e la mancanza di prospettive tra i giovani in Italia e in altri paesi dell’UE.

 

‘Una nuova Europa è possibile’,

 

….ha gridato alla folla.

 

(F. Schreiber) 







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