IL GRASSO LEGNAIUOLO

IL GRASSO LEGNAIUOLO
& UN MONDO PERDUTO

lunedì 1 dicembre 2025

IN SILENTE VELINO (2)

  








Da un Precedente capitolo






Ancor prima del Rousseau

 

 

 

Un giorno, recatosi ad Alviano a predicare e salito su un rialzo per essere visto da tutti, chiese silenzio. Ma mentre tutti tacevano in riverente attesa, molte rondini garrivano con grande strepito attorno a Francesco. Non riuscendo a farsi sentire dal popolo per quel rumore rivolto agli uccelli, disse:

 

‘Sorelle mie rondini, ora tocca a me a parlare, perché voi lo avete già fatto abbastanza; ascoltate la parola di Dio, zitte e quiete, finché il discorso sia finito’.

 

Ed ecco subito obbedirono: tacquero e non si mossero fino a predica terminata. Gli astanti, stupiti, davanti a questo segno dicevano: ‘Veramente quest’uomo è un santo e un amico dell’Altissimo!’. E facevano a gara per toccargli le vesti con devozione, lodando e benedicendo Iddio. Era davvero cosa meravigliosa, poiché perfino le creature prive di ragione sapevano intendere l’affetto fraterno e il grande amore che Francesco nutriva per esse!




Una volta, presso Greccio, gli fu portato da un confratello un leprotto preso vivo al laccio, e il santo uomo, commosso, disse:

 

‘Fratello leprotto, perché ti sei fatto acchiappare? Vieni da me’.

 

Subito la bestiola, lasciata libera dal frate, si rifugiò spontaneamente nel grembo di Francesco, come a un luogo assolutamente sicuro. Rimasto un poco in quella posizione, il padre santo, accarezzandolo con affetto materno, lo lasciò andare, perché tornasse libero nel bosco; ma quello, messo a terra più volte, rimbalzava in braccio a Francesco, finché questi non lo fece portare dai frati nella selva vicina. Lo stesso accadde con un coniglio animale difficilmente addomesticabile, nell’isola del lago di Perugia.

 

Altrettanto affetto egli portava ai pesci, che, appena gli era possibile, rimetteva nell’acqua ancor vivi, raccomandando loro di non farsi pescare di nuovo.




Un giorno standosi egli in una barchetta nel porto del piccolo lago di Piediluco, un pescatore gli offrì con riverenza una tinca che aveva appena pescato; egli accolse lietamente e premurosamente quel pesce, chiamandolo fratello poi lo ripose nell’acqua fuori della barca e cominciò a lodare il nome del Signore. E per un po’ di tempo il pesce, giocando giulivo nell’acqua, non si allontanò, finché il Santo, finita la preghiera, non gli diede il permesso di partirsene.

 

Ecco come il glorioso padre Francesco, camminando per la via dell’obbedienza e della perfetta sottomissione alla volontà divina, si meritò sì grande potere da farsi obbedire dalle creature!

 

Perfino l’acqua infatti si mutò in vino per lui, quando giaceva gravemente infermo nello Speco di Sant’Urbano (presso Stroncone). Appena ne bevve, guarì e tutti capirono che si trattava davvero di un miracolo.




Sarebbe troppo lungo, o addirittura impossibile narrare tutto quello che il glorioso padre Francesco compì e insegnò mentre era in vita. Come descrivere il suo ineffabile amore per le creature di Dio e con quanta dolcezza contemplava in esse la sapienza, la potenza e la bontà del Creatore?

 

Proprio per questo motivo, quando mirava il sole, la luna, le stelle del firmamento, il suo animo si inondava di gaudio.

 

O pietà semplice e semplicità pia!

 

Perfino per i vermi sentiva grandissimo affetto perché la Scrittura ha detto del Signore: io sono verme e non uomo (Sal 21,6); perciò si preoccupava di toglierli dalla strada, perché non fossero schiacciati dai passanti. E che dire delle altre creature inferiori, quando sappiamo che, durante l’inverno, si preoccupava addirittura di far preparare per le api miele e vino perché non morissero di freddo?




Magnificava con splendida lode la laboriosità e la finezza d’istinto che Dio aveva loro elargito, gli accadeva di trascorrere un giorno intero a lodarle, quelle e tutte le altre creature.

 

Come un tempo i tre fanciulli gettati nella fornace ardente invitavano tutti gli elementi a glorificare e benedire il Creatore dell’universo, così quest’uomo, ripieno dello spirito di Dio, non si stancava mai di glorificare, lodare e benedire, in tutti gli elementi e in tutte le creature, il Creatore e governatore di tutte le cose.

 

E quale estasi gli procurava la bellezza dei fiori quando ammirava le loro forme o ne aspirava la delicata fragranza! Subito ricordava la bellezza di quell’altro Fiore il quale, spuntando luminoso nel cuore dell’inverno dalla radice di Iesse, col suo profumo ritornò alla vita migliaia e migliaia di morti. Se vedeva distese di fiori, si fermava a predicare loro e li invitava a lodare e amare Iddio, come esseri dotati di ragione, allo stesso modo le messi e le vigne, le pietre e le selve e le belle campagne, le acque correnti e i giardini verdeggianti, la terra e il fuoco, l’aria e il vento con semplicità e purità di cuore invitava ad amare e a lodare il Signore.




E finalmente chiamava tutte le creature col nome di Fratello e Sorella, intuendone i segreti in modo mirabile e noto a nessun altro, perché aveva conquistato la libertà della gloria riservata ai figli di Dio. Ed ora in cielo ti loda con gli angeli, o Signore, colui che sulla terra ti predicava degno di infinito amore a tutte le creature.

 

È impossibile comprendere umanamente la sua commozione, quando proferiva il tuo Nome, o Dio!

 

Allora, travolto dalla gioia e traboccante di castissima allegrezza, sembrava veramente un uomo nuovo e di altro mondo. Per questo, ovunque trovava qualche scritto, di cose divine o umane, per strada, in casa o sul pavimento, lo raccoglieva con grande rispetto riponendolo in un luogo sacro o almeno decoroso, nel timore che vi si trovasse il nome del Signore, o qualcosa che lo riguardasse.




Avendogli una volta un confratello domandato perché raccogliesse con tanta premura perfino gli scritti dei pagani o quelli che certamente non contenevano il nome di Dio, rispose:

 

‘Figlio mio, perché tutte le lettere possono comporre quel nome santissimo; d’altronde, ogni bene che si trova negli uomini, pagani o no, va riferito a Dio, fonte di qualsiasi bene!’.

 

Cosa ancor più sorprendente, quando faceva scrivere messaggi di saluto o di esortazione, non permetteva che si cancellasse alcuna parola o sillaba, anche se superflua o errata.

 

 Quanto era incantevole, stupendo e glorioso nella sua innocenza, nella semplicità della sua parola, nella purezza di cuore, nell’amore di Dio, nella carità fraterna, nella prontezza dell’obbedienza, nella cortesia, nel suo aspetto angelico! Di carattere mite, di indole calmo, affabile nel parlare, cauto nell’ammonire, fedelissimo nell’adempimento dei compiti affidatigli, accorto nel consigliare, efficace nell’operare, amabile in tutto.




Di mente serena, dolce di animo, di spirito sobrio, assorto nelle contemplazioni, costante nell’orazione e in tutto pieno di entusiasmo. Tenace nei propositi, saldo nella virtù, perseverante nella grazia, sempre uguale a se stesso. Veloce nel perdonare, lento all’ira, fervido di ingegno, di buona memoria, fine nelle discussioni, prudente nelle decisioni e di grande semplicità. Severo con sé, indulgente con gli altri.

 

Era uomo facondissimo, di aspetto gioviale, di sguardo buono, mai indolente e mai altezzoso. Di statura piuttosto piccola, testa regolare e rotonda, volto un po’ ovale e proteso, fronte piana e piccola, occhi neri, di misura normale e tutto semplicità, capelli pure oscuri, sopracciglia diritte, naso giusto, sottile e diritto, orecchie dritte ma piccole, tempie piane, lingua mite, bruciante e penetrante, voce robusta, dolce, chiara e sonora, denti uniti, uguali e bianchi, labbra piccole e sottili, barba nera e rara, spalle dritte, mani scarne, dita lunghe, unghie sporgenti, gambe snelle, piedi piccoli, pelle delicata, magro, veste ruvida, sonno brevissimo, mano generosissima.




Nella sua incomparabile umiltà si mostrava buono e comprensivo con tutti, adattandosi in modo opportuno e saggio ai costumi di ognuno. Veramente più santo tra i santi, e tra i peccatori come uno di loro. O Padre santissimo, pietoso e amante dei peccatori, vieni dunque loro in aiuto, e per i tuoi altissimi meriti degnati te ne preghiamo, di sollevare coloro che vedi giacere miseramente nella colpa!

 

Vedeva molti avidi di onori e di cariche, e detestandone la temerità, cercava di ritrarli da questa peste con il suo esempio. Diceva infatti che è cosa buona e accetta a Dio assumersi il governo degli altri, ma sosteneva che dovevano addossarsi la cura delle anime solo quelli che in quell’ufficio non cercano nulla per sé, ma guardano sempre in tutto al volere divino; coloro cioè che niente antepongono alla propria salute spirituale e non cercano l’applauso dei sudditi ma il loro profitto, non la stima degli uomini, ma unicamente la gloria di Dio; coloro che non aspirano alla prelatura, ma la temono, e se viene loro data non montano in superbia ma si sentono più umili e, quando viene loro revocata, non si avviliscono ma ne godono.




Diceva ancora che soprattutto in un’epoca di malvagità e di iniquità come questa, c’è grave pericolo nella prelatura e maggior vantaggio nell’essere governati. Provava grande amarezza nel vedere che alcuni, abbandonato quello che avevano così bene incominciato, dimenticavano la semplicità antica per seguire nuovi indirizzi. Perciò si lamentava di alcuni, che un tempo erano tutti intenti a mete più elevate ed ora si erano abbassati a cose vili e futili, abbandonati i veri gaudi dell’anima, si affannavano a rincorrere frivolezze e realtà prive d’ogni valore nel campo di una malintesa libertà. Per questo implorava la divina clemenza per la liberazione dei suoi figli e la scongiurava con la devozione più grande perché li conservasse fedeli alla loro vocazione.

 

Nessuno deve meravigliarsi se questo profeta del nostro tempo si distingueva per tali privilegi: il suo intelletto, libero dalla nebbia densa delle cose terrene e non più soggetto alle lusinghe della carne, saliva leggero alle altezze celesti e si immergeva puro nella luce. Irradiato in tal modo dallo splendore della luce eterna, attingeva dalla Parola increata ciò che riecheggiava nelle parole. Oh, quanto siamo diversi oggi, noi che avvolti dalle tenebre ignoriamo anche le cose necessarie!




E quale la causa, se non perché siamo amici della carne ed anche noi ci imbrattiamo di mondanità?

 

Se invece assieme alle mani, innalzassimo i nostri cuori al cielo, se stabilissimo la nostra dimora nei beni eterni, verremmo forse a conoscere ciò che ignoriamo: Dio e noi stessi.

 

Chi vive nel fango, vede necessariamente solo fango; mentre non è possibile che l’occhio fisso al cielo non comprenda le realtà celesti.

 

Quando invece pregava nelle selve e in luoghi solitari, riempiva i boschi di gemiti, bagnava la terra di lacrime, si batteva con la mano il petto; e lì, quasi approfittando di un luogo più intimo e riservato, dialogava spesso ad alta voce col suo Signore: rendeva conto al Giudice, supplicava il Padre, parlava all’Amico, scherzava amabilmente con lo Sposo. E in realtà, per offrire a Dio in molteplice olocausto tutte le fibre del cuore, considerava sotto diversi aspetti Colui che è sommamente Uno. Spesso senza muovere le labbra, meditava a lungo dentro di sé e, concentrando all’interno le potenze esteriori, si alzava con lo spirito al cielo. In tale modo dirigeva tutta la mente e l’affetto a quell’unica cosa che chiedeva a Dio: non era tanto un uomo che prega, quanto piuttosto egli stesso tutto trasformato in preghiera vivente.




Ma di quanta dolcezza sarà stato inondato, abituato come era a questi trasporti?

 

Soltanto lui lo sa, io non posso che ammirarlo. Solo chi ne ha esperienza, lo può sapere; ma è negato a chi non l’esperimenta. Quando il suo spirito era nel pieno del fervore, egli con tutto l’esteriore e con tutta l’anima completamente in deliquio si ritrovava già nella perfettissima patria del regno dei cieli.

 

Il Padre era solito non trascurare negligentemente alcuna visita dello Spirito: quando gli si presentava, l’accoglieva e fruiva della dolcezza che gli era stata data, fino a quando il Signore lo permetteva. Così, se avvertiva gradatamente alcuni tocchi della grazia mentre era stretto da impegni o in viaggio, gustava quella dolcissima manna a varie e frequenti riprese. Anche per via si fermava, lasciando che i compagni andassero avanti, per godere della nuova visita dello Spirito e non ricevere invano la grazia.




Desiderando questo felice viandante uscire presto dal mondo, come da un esilio di passaggio, trovava non piccolo aiuto nelle cose che sono nel mondo stesso. Infatti si serviva di esso come di un campo di battaglia contro le potenze delle tenebre, e nei riguardi di Dio come di uno specchio tersissimo della sua bontà.

 

In ogni opera loda l’Artefice; tutto ciò che trova nelle creature lo riferisce al Creatore. Esulta di gioia in tutte le opere delle mani del Signore, e attraverso questa visione letificante intuisce la causa e la ragione che le vivifica. Nelle cose belle riconosce la Bellezza Somma, e da tutto ciò che per lui è buono sale un grido:

 

‘Chi ci ha creati è infinitamente buono’.




 Attraverso le orme impresse nella Natura, segue ovunque il Diletto e si fa scala di ogni cosa per giungere al suo trono. Abbraccia tutti gli esseri creati con un amore e una devozione quale non si è mai udita, parlando loro del Signore ed esortandoli alla sua lode. Ha riguardo per le lucerne, lampade e candele, e non vuole spegnerne di sua mano lo splendore, simbolo della Luce eterna. Cammina con riverenza sulle pietre, per riguardo a colui, che è detto Pietra. E dovendo recitare il versetto, che dice: Sulla pietra mi hai innalzato, muta così le parole per maggiore rispetto: ‘Sotto i piedi della Pietra tu mi hai innalzato’.

 



Quando i frati tagliano legna, proibisce loro di recidere del tutto l’albero, perché possa gettare nuovi germogli. E ordina che l’ortolano lasci incolti i confini attorno all’orto, affinché a suo tempo il verde delle erbe e lo splendore dei fiori cantino quanto è bello il Padre di tutto il creato. Vuole pure che nell’orto un’aiuola sia riservata alle erbe odorose e che producono fiori, perché richiamino a chi li osserva il ricordo della soavità eterna. 

 

Raccoglie perfino dalla strada i piccoli vermi, perché non siano calpestati, e alle api vuole che si somministri del miele e ottimo vino, affinché non muoiano di inedia nel rigore dell’inverno.

 

Chiama col nome di fratello tutti gli animali, quantunque in ogni specie prediliga quelli mansueti.

 

Ma chi potrebbe esporre ogni cosa?

 

Quella Bontà ‘fontale’, che un giorno sarà tutto in tutti, a questo Santo appariva chiaramente fin d’allora come il tutto in tutte le cose. 

(Tommaso da Celano)




Letto tutto ciò, come procedere oltre l’ordine civile e spirituale inerente alla Dottrina e il sano Dogmatismo o insano confine del Dogma con cui ogni società si riconosce presumibilmente civile?

 

Lo abbiamo letto nelle Lettere dalla Montagna di Rousseau, il quale nel suo ‘pensare’ esposto al travaglio del Tempo dell’altrui (ri)dire e formare, e non solo ‘pedagogicamente’, la società cosiddetta ‘civile’ ricompone quella ciclicità che va ben oltre il karma della ‘materia’ trattata, e non più nel vasto regno filosofico-pedagogico in cui criticata, per sfociare nel più incredibile ridicolo paradosso, o condizione paradossale, in cui spesso pur camminando velocemente, in nome e per conto del sano e/o insano progresso, inciampa non volendo nella difesa del ‘valore’ attribuito alla stessa; sia questo di ordine economico sia questo immateriale, quindi spirituale; nel quale ogni Spirito dettato dal Libero Arbitrio anela o dovrebbe trascurando la ‘materia’… come ben comprese l’eretico Rousseau;  nei vasti Principi in cui e per cui, per sua povera ‘difettevole’ natura, riconosciuta irrimediabilmente corrotta naufragata in ogni secolo in cui la misura del valore pedagogico circoscritto e adeguato ad un ordine morale inerente al presunto progresso economico, e quindi, al valore ‘raggiunto’ in cui ogni Spirito si riconosce e specchia nella ricchezza della vita.

 

Cosa conferisca, in verità e per il vero, il valore di ‘Ricchezza’ il buon Francesco ce ne fornisce un più che valido esempio!




Ricchezza in cui e per cui ogni civiltà fonda il proprio limite comprensivo entro il conio della moneta che permette lecito o illecito commercio dell’Anima che aspira a ben altro conio?!

 

Se dovessimo approfondire il poco letto ci accorgiamo immediatamente che il ristretto confine in ciò che suddette parole, in perenne Memoria di Francesco, ispirano a meditano, riflettersi e riconoscersi in un lontano specchio affollato di Dèi per ogni caverna grotta e Tempio edificare un invisibile ponte, che per sua divina Natura, supera la Storia e con essa ogni materiale vile inumana condizione; per ricongiungersi all’immateriale “Uno” nell’unità di cui ogni confine stato o Ragione di questa material Terra progredisce sino all’invisibile Universo.




L’universo attraverso la Natura di medesimi visionari asceti - e oracolari profeti - sino ad un Mondo Perduto e posto nella splendida Geografia di una elevata altitudine e non solo Geografica, bensì teologica filosofica connessa con la Prima sostanza donde calco e forma circa la Via, il Sentiero, in cui nel difficile Passo ognuno cerca il ricongiungimento divenire Karma e ciclico perimetro per come la Visione compone ogni cosa creata e da creare ancora nell’infinito a cui la Natura affida il solo Arbitrio comprensivo.

 

Il Karma si ricomporrà indefinito e simmetrico per ogni Passo, e riconoscersi negli occhi di questo Universo, per ogni Creatura la quale ci ha creati per cantarne le Lodi o più complesse e articolate filosofiche speculazioni, dimostra ed evidenzia l’umana paradossale condizione a cui, chi elevato nel dono della Parola e del Pensiero, qual miracolo evolutivo di Dio, regredisce ed aspira all’apparente negativo Nulla del Primo Dio, e il suo immateriale Universo.

 

Quella Parola, quel dono d’Intelligenza e Pensiero sono negli Dèi ove Egli dimora incompreso per ogni sua Creatura e cosa creata nel Bene di questa Terra.

 

Dacché per ciò detto e di cui sarò deriso da ogni maestro di questo Tempio, nel Credo della Natura fondo la mia Dottrina, ed invito ogni futuro apostolo di questa Terra a proteggerla al meglio.

 

Cosa consigliare pregare, o solo ispirare, a questi discepoli apostoli del domani?

 



Innanzitutto che non ci sarà Domani senza il dono conferito dallo Spirito Infinito della Natura, e per quanto ripongano fiducia nei nuovi strumenti del progresso, in verità e per il vero, saranno solo artefici e involontari dispensatori d’un futuro Inferno, allontanandosi dal vero Principio.

 

Se codesto Principio viene spacciato per altro… me ne duole per chi difetta di Intelligenza spacciandone una nuova in difetto della stessa!

 

Questa Intelligenza, questo Pensiero, questa Poesia, questa Preghiera, questa Libertà di giudizio e arbitrio, derivano non certo da un algoritmo, bensì da un semplice frutto di Dio!

 

Proteggiamo il suo Frutto per ogni cosa Creata!




 

 

Questo l’invito…

 

 

 

Le Aree Protette rappresentano un microcosmo straordinario dove la natura trova la sua massima espressione.

 

Territori dove la caccia è sempre vietata e che necessitano di un livello di protezione elevato per garantire una tutela ambientale all’altezza della loro importanza. In questi ecosistemi delicati, le attività di monitoraggio, censimento e controllo faunistico non possono essere affidate al caso. Servono professionisti specializzati, operatori formati specificamente per comprendere e gestire le complessità uniche delle Aree Protette.

 

L’operatore faunistico è un professionista opportunamente formato, con specifiche competenze multidisciplinari per operare nelle Aree Protette. Svolge un ruolo fondamentale nel monitoraggio, controllo, cattura e tutela della fauna selvatica, nella prevenzione in materia di sanità animale e di malattie trasmesse dagli animali. È una delle figure centrali in materia di gestione di igiene delle carni di selvaggina.

 

Una professione che nulla ha a che vedere con il ‘cacciatore formato’ e che, unita alla consapevolezza del proprio ruolo sociale, lo rende una figura chiave nella gestione responsabile dell’ambiente delle Aree Protette.




Il bosco, una realtà che ha accompagnato il cammino dell’uomo fin dai primordi, fornendogli cibo, protezione, ristoro e che oggi costituisce un bene a cui si riconosce di svolgere sempre più funzioni utili per la collettività, contribuendo al miglioramento della qualità della vita delle persone, alla difesa del suolo, alla regimazione delle acque e alla loro qualità, alla conservazione di habitat di moltissime specie animali e vegetali e a molto altro ancora.

 

Il bosco, proprio a causa dei molteplici interessi che lo riguardano, è tuttavia sottoposto costantemente ad aggressioni dovute ad attività quali la cementificazione, i tagli di utilizzazione abusivi, i cambi di destinazione d’uso del suolo, gli incendi boschivi ed altre minacce di origine antropica.

 

Per garantirne la tutela, il bosco è stato oggetto di numerose norme a cominciare dalla Costituzione fino ad arrivare al più recente “Testo unico in materia di foreste e filiere forestali” (T.U.F.F., ovvero il Decreto legislativo n. 34/2018), che ha cercato di riorganizzare il settore, mettendo ordine tra le svariate disposizioni che si sono susseguite nel tempo. L’operatore gestione forestale aree protette, un professionista per vigilare correttamente sulle attività che interessano i boschi, in grado di conoscerne le caratteristiche, le specie arboree principali, le tecniche di utilizzazione, le consuetudini e soprattutto le regole che lo riguardano. Un ambito professionale complesso che richiede conoscenze e competenze professionali multidisciplinari acquisibili mediante una formazione tecnico-pratica con lezioni teoriche e attività pratiche sul campo.

 

Una professione che si acquisisce mediante la formazione di una figura specialistica e l’aggiornamento delle necessarie competenze tecniche, nel campo selvicolturale ed ecologico, propedeutiche a quelle di natura giuridico-legale e tecnico-investigativa finalizzate al riconoscimento della configurazione dei reati, ma anche delle sanzioni amministrative, in materia di danno al bosco, abusivismo edilizio, cambio di destinazione d’uso in area boscata, ecc.

 

Un percorso formativo utile anche ai fini dell’eventuale riconoscimento di titoli di preferenza e punteggio di merito per l’accesso ai concorsi pubblici per il ruolo di Guardiaparco e Operatore Faunistico Formato. A richiesta dell’interessato, le competenze acquisite con la formazione, potranno essere riportate sul Libretto Professionale degli Operatori delle Aree Protette.




Il corso per Operatore Formato per le Aree Protette è il primo passo per acquisire le competenze fondamentali per operare nella valorizzazione territoriale e tutela ambientale.

 

Un percorso formativo di BASE per conseguire un’adeguata preparazione e competenze multidisciplinari indispensabili per:

 

Laccesso ai concorsi al ruolo e funzioni di Guardiaparco e/o Guardiaparco per i servizi ausiliari;

 

Lespletamento di attività lavorative o di collaborazione presso Enti Parco, Organizzazioni e imprese pubbliche e private delle Aree Protette;

 

La costituzione di imprese, società, associazioni o cooperative per i servizi ambientali esterni in supporto di Enti Parco, Organizzazioni e imprese pubbliche e private delle Aree Protette.









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