CHI DELLA FOLLA, INVECE,

CHI DELLA FOLLA, INVECE,
30 MAGGIO 1924

martedì 26 novembre 2024

MENTRE CRESCEVO


















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Mentre nascevo

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Mentre crescevo 














Sono stato educato oltre che, come tutti i miei coetanei, non solo da genitori e insegnanti, ma anche da potenze più alte, occulte e arcane, come la Natura, prima Madre, prima maestra, sono cresciuto sotto la sua Divina Potenza….
Tutto il visibile è espressione, tutta la Natura è immagine, è linguaggio e scrittura geroglifica, con un suo colore. Oggigiorno, pur disponendo di una scienza della Natura assai sviluppata, noi non siamo veramente preparati né educati all’autentico vedere, e in genere, nei confronti della Natura, stiamo piuttosto sul piede di guerra.
Altri tempi, forse tutti i tempi, tutte le epoche che hanno preceduto la conquista della Terra da parte della tecnica e dell’industria, hanno avuto sensibilità e comprensione per il magico linguaggio cifrato della Natura, e hanno saputo leggerlo in modo più semplice e più innocente di noi. Questa sensibilità non era affatto sentimentale, il rapporto sentimentale dell’uomo con la Natura è piuttosto recente, anzi è sorto forse dalla nostra cattiva coscienza nei confronti della Natura.




Il senso del linguaggio della Natura, il senso di piacere per la verità che la vita generatrice dovunque mostra, e lo stimolo a una qualche interpretazione di questo multiforme linguaggio, o piuttosto lo stimolo alla risposta, è antico come l’uomo. L’intuizione di una unità occulta, sacra, dietro la grande molteplicità, di una Madre primordiale dietro tutti i nati, di un creatore dietro tutte le creature, questo mirabile impulso atavico dell’uomo a tornare verso il mattino del mondo e il mistero delle origini, è stato la radice di tutte le arti, e lo è oggi come sempre.

Noi oggi sembriamo essere infinitamente lontani dalla venerazione della Natura in questo senso religioso di ricerca dell’unità del molteplice, confessiamo malvolentieri quest’infantile impulso originario, e quando qualcuno ce lo rammenta facciamo dello spirito. Ma probabilmente ci sbagliamo quando consideriamo noi e l’intera umanità di oggi priva di timore reverenziale e incapace di un’esperienza profonda della Natura. Solo che per noi attualmente è assai difficile, anzi ci è diventato impossibile trascrivere così innocentemente la Natura in miti e personificare il creatore in modo così puerile, adorarlo come padre, come altre epoche hanno potuto fare.




Forse neppure abbiamo torto se talora troviamo le forme dell’antica devozione un tantino superficiali e ludiche, e se crediamo d’intuire che l’irresistibile fatale inclinazione della fisica moderna per la filosofia sia in fondo un fenomeno religioso. Ebbene, sia che scegliamo un atteggiamento di pia modestia o di temeraria superiorità, sia che deridiamo o ammiriamo le precedenti forme di fede della Natura animata, il nostro rapporto reale con la Natura, persino là dove noi la sperimentiamo solo come oggetto di sfruttamento, è proprio quello del figlio con la madre, e a quelle poche, antichissime vie in grado di portare l’uomo alla felicità e alla saggezza,… non se ne sono aggiunte di nuove.

Una di queste, la più semplice e la più fanciullesca (con la quale sono cresciuto come sola ed unica certezza), è la via dello stupore di fronte alla Natura e l’ascolto teso e presago del suo linguaggio (superiore e creatore di fronte alla limitatezza ‘umana’).  ‘Sono al mondo per stupirmi!’ dice un verso di Goethe. All’inizio è stupore, ed è stupore alla fine, eppure questa è una via non inutile. 




Se io contemplo con stupore del muschio, un fiore, un albero dorato d’autunno, un cielo nuvoloso, ed ogni qualvolta, con gli occhi o con un altro senso, ho esperienza di una parte della Natura, ne sono attratto e affascinato, e per un istante mi apro alla sua esistenza, Eterna Esistenza, ed alla sua Rivelazione; allora, in quel medesimo istante, io ho dimenticato l’intero avido cieco mondo materialistico ed il suo inutile Tempo, ed invece di pensare a dare ordini, invece di acquistare o sfruttare, di combattere o di organizzare, per un istante io non faccio nient’altro che ‘stupire’, come Goethe, e con questo stupore io sono diventato fratello non solo del poeta e di tutti gli altri poeti e saggi, io sono anche fratello di tutto ciò e che sperimento come realtà vivente: la nuvola, l’albero, il fiume, la montagna, perché, presa la via dello stupore e dell’ammirazione per il sublime, per un istante (senza Tempo, infinito al Secondo della vita…) sono sfuggito al mondo della separatezza e sono entrato nel mondo dell’unità e dell’armonia….




Gli alberi sono sempre stati per me i più persuasivi predicatori. Io li adoro quando stanno in popolazioni e famiglie, nei boschi e nei boschetti. E ancora di più li adoro quando stanno isolati…
Sono come uomini solitari…
Non come eremiti che se la sono svignata per qualche debolezza, ma come grandi uomini soli…, tra le loro fronde stormisce il vento, le loro radici riposano nell’infinito; ma essi non vi si smarriscono, bensì mirano, con tutte le loro forze vitali, a un’unica cosa: realizzare la legge che in loro stessi è insita, costruire la propria forma, rappresentare se stessi. Nulla è più sacro, nulla è più esemplare di un albero bello e robusto. 




Quando un albero è stato segato ed espone al sole la sua nuda ferita mortale, dalla chiara sezione del suo tronco e lapide funebre si può leggere tutta la sua storia: negli anelli corrispondenti agli anni e nelle escrescenze stanno fedelmente scritti tutta la lotta, tutta la sofferenza, tutti i malanni, tutta la felicità e la prosperità, anni stentati e anni rigogliosi, assalti sostenuti, tempeste superate. E ogni contadinello sa che il legno più duro e prezioso ha gli anelli più stretti, che sulla cima delle montagne, nel pericolo incessante, crescono i tronchi più indistruttibili, più robusti… più Perfetti….
Gli alberi sono santuari…..
Chi sa parlare con loro, chi sa ascoltarli, conosce la verità….
Essi non predicano dottrine o ricette, predicano, incuranti del singolo, la legge Primordiale della Vita. Un albero dice: in me è nascosto il Genio ed un seme, una scintilla, un’Idea, io sono Vita della vita perenne. Unico è l’esperimento e il disegno che l’Eterna Madre con me ha tentato, unica è la mia forma e la venatura della mia epidermide, unica la più piccola screziatura di foglie delle mie fronde e la ce della mia corteccia….







Quando siamo tristi, e non possiamo più sopportare la vita, un albero può dirci: sta’ calmo! Guardami! Vivere non è facile, vivere non è difficile. Questi sono pensieri puerili. Lascia parlare Dio in te e questi Pensieri taceranno. Tu sei angosciato perché il tuo cammino ti porta via dalla madre e dal padre e dalla casa. Ma ogni passo e ogni giorno ti portano nuovamente incontro alla Madre. La tua casa non è questo o quel posto (tu sei Straniero a questo mondo….).
… La tua casa è dentro di te!




Per questo io desidero far conoscere e apprezzare ai contemporanei, in un’opera poetica più ampia, la grandiosa, muta via della Natura!

Volevo insegnar loro ad udire il battito del cuore della Terra, a partecipare alla vita del Tutto e a non dimenticare, nell’urgenza delle loro piccole e meschine sorti, che noi non siamo padroni del mondo, autocrati, ma figli della Terra e del cosmico Tutto. Volevo ricordare a questo proposito che come i canti dei Poeti e come i Sogni delle nostri notti, anche fiumi mari, nuvole e tempeste sono simboli e modi di quell’anelito che stende le sue ali tra cielo e Terra, e il cui fine è l’indubbia certezza del diritto di cittadinanza e dell’immortalità di ogni cosa vivente.

Ma io volevo anche insegnare agli uomini a trovare nel fraterno amore per la Natura fonti di gioia e flussi di Vita; volevo predicare l’arte di osservare, di camminare e godere, il piacere della presenza e di esistere. Volevo far parlare per voi, in un linguaggio di forte attrattiva, montagne, mari e isole verdi, e volevo costringervi a vedere quale vita incommensurabilmente varia, attiva, fiorisce e trabocca ogni giorno fuori dalle vostre cittadine esistenze. Volevo arrivare a farvi vergognare di sapere di più di guerre tra lontane potenze straniere, di moda, di pettegolezzi, di letteratura e di arti, che non della primavera che fuori delle vostre città espande la sua irrefrenabile forza germinatrice, del fiume che scorre sotto i vostri ponti, dei boschi e degli splendidi prati tra cui corre la vostra ferrovia.




Speravo d’insegnarvi a essere legittimi fratelli di ogni cosa vivente, e di diventare così pieni d’amore da non temere più neppure il dolore e la morte, ma che questi venissero accolti solennemente e fraternamente come solenni fratelli, quando fossero venuti a voi. Tutto questo speravo di rappresentarlo non in inni o in canti epici, ma in modo semplice, verace e concreto (composto in armonia con la Natura), tra serio e scherzoso, come un Viaggiatore che, tornato a casa, racconta agli amici cose di fuori….

Volevo…. Desideravo…. Speravo…. 




… Già da bambino avevo l’inclinazione a cogliere forme bizzarre della Natura non da osservatore, ma abbandonandomi al loro originale fascino, al loro originario capriccioso (e non certo al capriccio di un bambino che urla malesseri terreni e sprovvisto del dono della magia della Natura, e cerca di appropriarsi e ricreare una Natura estranea all’originario disegno del Primo Dio…), profondo linguaggio (linguaggio che esula da linguaggi di altri ed estranei Programmatori, estranei per sempre al mondo della Natura che ora sto’ ammirando….).

Lunghe, legnose radici d’albero, venature colorate nella pietra, foglie galleggianti sull’acqua, incrinature di cristallo – tutte queste cose talvolta avevano avuto un gran fascino, soprattutto l’acqua e il fuoco, il fumo, le nuvole, la polvere, e in modo particolare le roteanti macchie di colore che vedevo quando chiudevo gli occhi. La contemplazione di simili disegni, l’abbandonarmi a forme della Natura irrazionali, capricciose, strane genera in noi un senso di concordia del nostro Io interiore con la volontà che fa esistere queste forme – noi proviamo subito la tentazione di considerale nostri capricci personali, nostre personali creazioni. 




Vediamo vacillare e vanificarsi il confine tra noi e la Natura e sperimentiamo uno stato d’animo in cui sappiamo se le immagini sulla nostra retina provengono da impressioni esterne o dall’interno (chi interferisce e interviene in maniera estranea in questo processo di Creazione e Rigenerazione, o vuole condizionarne il fine, appartiene ad un mondo a noi non attinente, e forse non solo a noi: un mondo dove questa ‘natura’ se di natura possiamo parlare, non conosce la potenza e la superiorità di Dio, il suo Tempo, il suo Primo Sogno. Lascio all’ingordo Secondo l’illusione di un mondo ove crede di possedere e controllare quanto neppure comprende, lascio al suo misero Tempo questo ‘sogno di potenza’…). 




In nessun altro caso come in questa operazione (Gnostica) noi scopriamo in modo altrettanto semplice e facile fino a che punto siamo eterni Creatori (di Mondi e Universi…), quanto è grande e continua la partecipazione della nostra Anima alla stabile edificazione del Mondo. O piuttosto, è la medesima indivisibile divinità e nella nostra Natura (e chi si prodiga anche con i mezzi più antichi come la persecuzione, in realtà odia per il vero il gesto continuo della Natura Creatrice…), e se il mondo esterno perisse, uno di noi sarebbe capace di Riedificarlo, perché la montagna, il fiume, l’albero e la foglia, il cielo e l’aria, tutto quello che è formato in Natura è in noi come immagine archetipica, proviene dall’Anima, la cui essenza è eternità, la cui essenza ci è sconosciuta, ma che se si rende sensibile a noi soprattutto come capacità d’amore e come energia creativa (lascio agli inquisitori il triste compito estraneo ad ogni Natura di mortificare il Dio incarnato nell’atto della creazione....).  
















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