CHI DELLA FOLLA, INVECE,

CHI DELLA FOLLA, INVECE,
UN LIBRO ANCORA DA SCRIVERE: UPTON SINCLAIR

giovedì 11 febbraio 2016

EVOLUZIONI... (11)








































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L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità... (10)

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Evoluzioni (12)













“Il cane nero che ho raccolto qualche chilometro a sud di casa tua mi si è accoccolato addosso. E’ più di un mese che nessuna donna è stata vicina a me come lo è lui adesso. Mi sono alzato a bere qualcosa e quando sono tornato l’ho visto sdraiato sul divano nel punto dove ero io per assorbire il mio calore.
E’ una femmina ed anche più sensuale di questa…
E’ sporca domani le farò un bagno…

La porto con me Webb… di nuovo in Viaggio…
Ritorno a casa, ritorno all’incubo…
La terra è marrone. Strofino il cervello contro il finestrino freddo dell’autobus. Sono stato spedito in viaggio la mia carriera ormai in fumo e ora veleggio (sì Webb lo chiamata Vela ed è la più bella donna che mai abbia posseduto) verso casa.
Andiamo! Dobbiamo andare più a fondo senza un briciolo di giustizia e senza scherzi.




…Scendendo giù per Iberville, appena passata Marais Street, ecco che lei si stacca dalla folla e comincia a camminare al nostro ritmo tra noi ed il pubblico. La mia nuova maglietta rossa e la nuova camicia bianca e lucida risplendono sotto la cornetta. Anche le scarpe sono nuove. Sono tornato in città.
Faccio scivolare qualche nota di avvertimento verso di lei (e subito gridi ed urla…), la cingo di uno squillo e la spingo verso la folla.
Che ruggisce!
Tra Marais e Liberty mi limito a far partire una nota fra le parentesi ogni quindici righe circa.
E lei ruggisce!
Henry Allen al di là del vetro con il suo strano ‘occhio’ mi lancia occhiate non capisce il ritmo, il tempo, il passo, e per incitarmi a continuare e ogni tanto la mia nota parte come un ala libera verso il cielo che si alza dalla merda e rimane a librarsi a lungo in alto.
Un altro ruggito!




Zigzago per Iberville come un animale che si pavoneggi davanti alla banda e ogni volta che vado a sbattere contro un bordo della folla, strappo un altro RUGGITO.
Porto in parata il mio io, mi esibisco nel passo strascicato e stralunato come un pittore impazzito, mi pavoneggio, eseguo ogni strano ‘passo’ di danza che mi ricordo accumulando l’energia dell’aria per prepararla a lanciare una nota acuta come i denti di un ratto sotto il delicato ritmo di marcia di Allen.
Ma da dove è uscita questa cagna mica lo so!
Ci torna incontro, si muove con noi, le ossa fluide come salsa. Corpo esile e chioma lunga viene raggiunta da un tizio mezzo pelato che la vorrebbe toccare, così mi stacco da una riva di folla e li prendo di mira attirandoli a me come avessi una corda, mentre un altro RUGGITO mi rimbomba dietro le orecchie.
Li osservo attraverso i raggi di sole che stanno in equilibrio sulla tromba finché mi rendo conto di cosa sta succedendo e faccio accelerare la musica di Allen al punto che la maggior parte della banda non ce la fa più a starmi dietro e si limitano a marciare senza suonare, mentre io lancio note più fitte, ogni cinque secondi.




Gli occhi si incupiscono nella calda strada sbiancata.
Un nuovo RUGGITO!
Devo arrivarci prima che finisca, ma ormai ci siamo quasi ci siamo quasi, ecco Liberty che si avvicina… Gli invisibili due Spiriti avvistati come una strana allucinazione, un delirio prossimo alla pazzia i quali mi conferiscono le note giuste, i due ballerini continuano come cespugli come alberi come foglie come vento come neve…
Webb ecco mi partano le note le strofe…
La marcia sta rallentando fin quasi a fermarsi e mentre pian piano plana verso il botto finale io mi stacco e lancio lunghe note lamentose e luminose inserendo uno squillo sincopato, una rima non capita nemmeno intuita… Mi devo fidare di tutti e non mi fido di nessuno rendendomi conto che gli altri non suonano più come un Tempo…
Devo far rimbalzare le note Webb contro le pareti di gente (altrimenti perché tu esisti…), quelle linee di ferro così pur e sicure che portano l’urlo fino a terra e lasciano trasparire la luce mentre la strada, ora, è silenziosa…”.



  
Fondata nel 1718, New Orleans fu in origine una cittadina francese, che restò legata alla madrepatria fin verso il 1755, fino ai tempi cioè della Guerra dei Sette Anni. Ormai sottratta di fatto all’influenza francese, divenne colonia spagnola nel 1762, e tale restò per breve tempo. Nel 1800 Napoleone riottenne il dominio della Louisiana, che però vendette poco dopo, nel  1803, agli Stati Uniti, dando così un grosso dispiacere ai coloni indigeni, e cioè ai creoli. Allora New Orleans era assai piccola: aveva circa 10.000 abitanti, per metà negri.
Nel XIX secolo la popolazione della città crebbe enormemente, i commerci si svilupparono, e tutto a poco a poco cambiò. Cambiò anzitutto la composizione della popolazione, che in quarant’anni si decuplicò e in cento si moltiplicò per trenta, con l’arrivo di gente dei più diversi paesi.
Dal 1809 al 1810 giunsero circa 3000 schiavi da Haiti, attraverso Cuba, e arrivarono anche molti dei loro padroni bianchi. I primi che vennero ad aggiungersi ad altre migliaia di schiavi venuti dalle Indie Occidentali alla fine del XVIII secolo, portarono con sé misteriosi riti voodoo, coi loro ‘dottori’ e le loro ‘regine’.




Dal resto degli Stati Uniti giunsero i mercanti e i coloni ed anche i predicatori di origine inglese e di religione protestante; dall’Europa arrivarono nuove ondate di emigranti, fra cui quelli di origine italiana finirono per costituire, all’inizio di questo secolo, il più numeroso gruppo etnico extra-americano residente in città. Quanto ai negri era ancora possibile, negli anni successivi alla Guerra Civile, riconoscere agevolmente i membri delle diverse tribù africane, importati a New Orleans direttamente dall’Africa occidentale in anni non troppo lontani: i più numerosi erano venuti dal Senegal, dalla costa della Guinea, dal delta del Niger e dal Congo.
Negli anni che videro nascere il jazz, intorno al 1900, New Orleans non era famosa soltanto per le sue fanfare le tipiche danze dei nativi, o per i pittoreschi funerali, per le festose parate durante le celebrazioni carnevalesche del Mardi Gras, che duravano otto giorni. Era famosa anche per i raduni a suon di musica, per i balli all’aperto luogo
soprattutto al Lincoln Park, che aveva preso il posto della Congo
Square nella vita sociale della città.
Il re del Lincoln Park - ma anche di tutti i luoghi ‘uptown’ in cui si faceva musica - era Buddy Bolden, un cornettista, nato nel 1878, che dirigeva un’orchestrina il cui organico sarebbe divenuto convenzionale nel jazz delle origini: tre o quattro strumenti a fiato - una o due cornette, un trombone,
un clarinetto - e tre strumenti ritmici - un banjo o una chitarra, un contrabbasso e una batteria. Nella formazione non c’era pianoforte, troppo pesante per essere trasportato all’aperto.
















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