CHI DELLA FOLLA, INVECE,

CHI DELLA FOLLA, INVECE,
UN LIBRO ANCORA DA SCRIVERE: UPTON SINCLAIR

domenica 11 settembre 2016

QUADRATURA DEL CERCHIO CERCHIATURA DEL QUADRO (il sogno di Giuliano) (16)






































Precedenti capitoli:

Quadratura del cerchio Cerchiatura del quadro (15/1)

Prosegue in:

Quadratura del cerchio Cerchiatura del quadro (17)











IPAZIA

Quasi venti anni fa, quattro neonati furono portati nella foresta, dov’era stato costruito per loro un palazzo. Ciascuno d’essi ebbe un alloggio a parte, in un ambiente da cui non è mai uscito. I primi amori ricominceranno e vedremo quel che accadrà!

VOCE

Benissimo… Vai avanti così!...

IPAZIA

Perduto, è il tempo, in quanto ci sta alle spalle, è già passato… ma perduto, anche, nel senso più grave e profondo, perché è stato sciupato… lo si è lasciato trascorrere senza andare a fondo del suo potere di seduzione… della sua verità… o della felicità incorruttibile che esso contiene!

VOCE

E allora?... Chi è Lei?... Chi è?... Beatrice? Eva? Ottilia? Ipazia?... Una maschera che si mette una maschera sulla maschera per perdersi nei sessantasette livelli di fuga tra i libri?

IPAZIA

Il tempo non è come una linea dritta. Ogni tanto si attorciglia. E se uno va veloce come la luce, tutto il suo passato, come un filo, si arrotola in un unico gruno di tempo. L’eterno presente!

VOCE

L’avete sentita?... E’ un cerchio perfetto, quello, no? Quello da quadrare. Una tempesta di chicchi senza passato né futuro. Ecco il suo posto presente! Stare col suo anello e danzare fuori dal tempo!

IPAZIA

Se tutte le cose fossero fatte sparire dall’Universo, spazio e tempo, sparirebbero anche essi. Mentre per Newton lo spazio assoluto sarebbe ciò che resta, se Dio annientasse la materia.

…Però… se il tempo assoluto sta in un cerchio… allora…

VOCE

Allora ci viene voglia di essere tutti. Di non finire. Di avere più tempo. Più vita. Più vite. Dove vanno, i personaggi dei libri quando finisci di leggerli? Ma anche tra una pagina e l’altra, mentre li sfogli… dove vanno? Cosa fanno? Si nasce, al mondo, in molte forme: albero, pesce, fiume, farfalla… donna… uomo… Eretico…

(M. R. Menzio, Spazio, tempo, numeri e stelle)







IL SOGNO DI GIULIANO (Cerchiatura del quadro)


Parto poi torno, materialmente e con la memoria.
Tutti dovremmo avere memoria storica, genetica, morale,
ho scoperto però non essere una prerogativa umana,
una dote essenziale.
Parto poi torno e talvolta è come se non fossi mai nato,
o mai morto nella riva del torrente dove ricordo.
Nella riva del fiume dove dormo.
Nella tenda dove ascolto,
nel grande bosco dove prego.
Parto poi torno con la memoria
e il sogno che nulla scorda
in questa grande terra che non conosco,
in questa valle di cui non ricordo il nome,
per questa montagna che ogni anno che passa
trovo cambiata, mutata, rinsecchita.
Parto poi torno, cercando ogni volta una fuga,
una possibile strada di sopravvivenza.
Parto e poi torno dai tanti libri che mi ‘volano d’intorno’,
dalle tante pagine che mi fanno capolino,
dalle tante verità che mi scrutano mute,
dalle eterne parole che mi chiedono attenzione.
Attento il sentiero è periglioso!
Attento la valle è insidiosa!
Attento alle genti, pur la bella rilegatura,
evocano un’immagine impressa quale scudo araldico,
di una difficile lingua sull’antica copertina. (1)

Le stagioni che modellano il luogo sono dure,
gli oscuri passi dove talvolta scruto muto
l’espressione dei viandanti e abitanti, conserva tristi pagine,
pensieri lontani non in sintonia con la bellezza dei panorami.
Parto e poi torno nei miei e altrui ricordi,
e se evocarli può arrecare dolore,
se leggere la verità può portare rancore…..,
salgo sull’alto ripiano, cammino lento nell’altipiano,
scruto attento nella memoria,
cerco riparo là dove non sono accetto,
scavo scrupoloso nell’archeologia dei lineamenti,
fra una pagina e l’altra, fra una lacrima e l’altra,
fra una risata e l’altra, fra una presunzione e l’altra.
I ricordi vagano fra un gradale e l’altro,
che con puntualità da ‘bottegaio’ apro nell’oscura bufera
dove ho dormito, sognato, e immaginato.
Fra una pagina e l’altra vi è vita,
quella che ci fu negata nella lenta traversata,
sulla triste collina,
nel duro campo,
sulla difficile linea,
nella squallida baracca,
nella fredda e calda tenda,
nell’innominata chiesa,
nell’antico mulino,
vicino al fiume nel ricordo di una prateria,
un deserto, una distesa di ghiaccio,
un caldo lago e un silenzio che è solo l’inizio.
Un immenso ghiacciaio e una mare di verde, prima.
Una lancia appuntita, e una grande traversata, poi.
Una roccia, un frammento, una cascata, una via verso la vita.
Verso la verità.
Verso il ricordo,
sull’uscio della caverna,
dove ho abbandonato vita e dignità,
morale e decoro,
disciplina e responsabilità.
Amore e affetti,
vita e morte,
tempo e luogo.
Responsabilità e apparenza.
Salgo piano dalla collina alla montagna,
schivo i dardi, cerco accorto il sentiero,
studio attento la cartina,
guardo incosciente il panorama: attraverso l’occhio digitale
di un pensiero divenuto occhio magico della memoria,
attraverso l’anima di ciò che pensano senza anima,
attraverso la parola di chi non ha parola,
attraverso la pazzia di chi non conosce cura,
attraverso la cura di chi conosce il raro dono della ‘pazzia’,
attraverso pagine e ricordi scritti,
attraverso parole e sogni mai svelati,
attraverso libri ancora da scrivere, e altri per sempre dimenticati,
pagina per pagina;
respiro che diventa rantolo…poi pian piano sudore,
rancore, pietà e rumore.
Frammenti nel vicolo che diventa sentiero,
passo e fuga,
aria più tranquilla dicono, rarefatta;
roccia armoniosa, polmoni aperti,
più ossigeno per la via che diventa impervia,
per la solitudine che ti osserva,
per la roccia che ti scruta,
per l’acqua che ti parla
….e per il cacciatore che a fondo pagina ti punta.
Passo veloce per il corpo che corre,
per la pagina che finisce,
per il tomo che si chiude;
paura che prende, sangue che sgorga, anime in fuga,
vendette in agguato, odio non pagato.
Croci in cima alla vetta,
fosse vicino alla cantina,
sentieri prima della mèta,
storie che dominano la vita.
Il sudore si asciuga, il piede si riposa,
la parola dopo il pensiero traccia l’icona alla fine della via,
della strada, dell’affollata piazza,
alla fine dello stretto vicolo prima del mercato,
dove i ricordi diventano vivi, dove il calore divampa,
dove il condannato fu trascinato senza motivo,
dove la sentenza non ha repliche,
dove gli stracci e l’umile sacca sono più pesanti dell’anima,
dove lo sguardo nascosto è mutato nell’odio,
di volti come maschere prestati alla disciplina,
di chi mai appare perché il suo nome è solo un inutile confine,
che diventa Impero e poi solo un lungo tormento.
Il ghigno di chi ha sentenziato diventa tortura e la memoria dolore,
il freddo verità,
la povertà tua sola sostanza,
il tremore passo incondizionato di fuga e riparo,
l’onestà la colpa.
La cima l’estremo sacrificio, il fuoco l’ultimo ricordo.
Il sogno segna il passo.
L’incontro un libro scritto o forse ancora non del tutto …pregato.
La preghiera diviene litania,
e uguale componimento nelle pagine della storia,
la frase sconnessa l’oracolo di tanti e troppi Dèi dimenticati.
E …mai pagati!
La moneta ti osserva, il tempo la comanda.
La ricchezza ti scruta, la potenza l’orienta.
La volontà la sveglia, il sangue s’appresta, l’orgoglio avanza.
Il tempo, suo compagno, ti inganna, mentre contempli il tutto che danza.
Il tempo ritorna in cima alla vetta,
in cima alla stanza,
dove il libro sporge con incuranza e evidenzia una verità che parla,
e non vuol essere contata.
Una verità che segna il tempo e non vuole tempo,
che gela le membra, che annebbia la vista,
che duole fin dentro le ossa,
quelle dei vivi e quelle dei morti
…e quelli che moriranno ancora.
Il tempo in essa spera e comanda,
mentre la cima con orgoglio ritrovato contempli,
come un vecchio tomo mai morto,
come una vecchia stampa che ravviva i ricordi.
Sembra facile, per taluni, andare e tornare,
sembra facile per alcuni andare e parlare.
Ma io che non conosco moneta e tempo,
dovrò patire gli inganni della storia;
ed io che non conosco e non prego croci,
su una croce di legno segneranno la mia moneta,
e il tempo di chi la conia.
La rabbia ci assale,
nel ricordo del sentiero cancellato,
nella certezza di un inganno mai raccontato.
Se anche lo fosse, ed è,
il tempo e denaro non permettono l’indugio della verità.
La verità ammirata, annusata, respirata, contemplata, pregata e pianta,
nell’angolo di un torrente, nell’antro di un caverna, nel fitto di un bosco,
al margine di una vecchia mulattiera,
vicino ad una lapide,
un sasso che parla,
una croce che urla,
un granaio che brucia,
una casa che piange,
una donna che fugge,
uno sparo che insegue,
una fila di cadaveri che compare invisibile,
una corda che pende,
il silenzio di un urlo…e nessuno che ha udito.
Volti che piangono,
volti che scompaiono,
anime che imprecano,
vendette che esplodono.
Ma nel fragore di tanto silenzio qui o lassù,
tutto il tempo che è e ci è appartenuto, muove l’anima,
fa vibrare l’oscuro sentimento dell’oracolo,
dello sciamano,
del pazzo.
Pazzi per secoli, abbiamo contato tempo e denaro,
per il Dio del sacrificio.
Pazzi per millenni abbiamo confuso ragione e sentimento,
verità e preghiera, Dio e Diavolo.
In cima alla via, in fondo alla valle, hanno chiuso il libro
che per millenni si è aperto ai nostri occhi,
hanno eretto croci e segnato vie e sentieri,
cancellato pietre e montagne,
mari e civiltà, anime e universi,
di un mondo e una natura che parla la sua lingua,
la sua storia,
il verso del tempo e del luogo,
il geroglifico stratigrafico della pietra…
…nostra compagna che impreca, che suda, che scorre e arma.
Il tempo dell’essere ed appartenere,
la moneta di un più giusto e probabile Dio. (2)

Così ora, tra una pagina e l’altra,
che dono come panorami mai morti della natura umana,
che offro come acqua preziosa,
come un fiume dove non ci bagnammo mai due volte,
ma che tanto sangue ha visto scorrere,
compongo in frammenti,
sentieri e strade,
fra scenari da non dimenticare,
fra vallate da ricordare,
fra case da contare,
fra sogni da numerare,

fra guerre da fotografare....


















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