Prosegue in:
De Umbra (2)
La parola fu donata da Dio agli
uomini per manifestare i pensieri alle persone vicine, e la scrittura fu
inventata dagli uomini per conversare con persone lontane. Quanto tempo abbia
impiegato l’uomo a trovare i segni alfabetici non c’è dato determinare, i più
antichi risalgono al carattere geroglifico, a cui seguì il geratico e da
ultimo, dall’istrumento, onde si scriveva, a mo’ di cono, il cuneiforme.
Questo carattere, venuto nell’uso comune, abbandonò a poco a poco la
sua primitiva rozzezza e prese linee più uniformi e regolari: il cono, ridotto
ad un’asta con una delle punte acuminate per scrivere, l’altra aperta a forma
di paletta per correggere mende ed errori, si disse stile, e soleva adoperarsi
sopra pergamena spalmata di cera.
Aumentato il numero dei letterati, si sentì il bisogno di affrettare la
comunicazione dei sentimenti e degli affetti e di ricercarne il mezzo più
spedito. Allo stile fu sostituito il calamus
scniptorius, cannuccia da scrivere, e alla cera l’atramento, inchiostro nero. E già al tempo di Cicerone ne vediamo l’uso universale…
…Poi qualcosa avvenne e l’uomo un tempo nominato Sapiens perse l’uso della scienza che dall’Anima-Mundi prosegue
sino all’Intellegibile Principio, ed inciso per restituire verità circa il DNA
di più certa appartenenza e di certo non un codice a barre digitato nella
propria caverna per il diletto dell’altrui scemenza…
…E sì ci vorrebbe proprio il sottoscritto (il Cicerone detto) per
ammirare siffatto
scempio, siamo qui di nuovo presso lo scaffale di questo bosco antico ammirato da lontano o forse troppo da vicino, in tutto il triste spettacolo del degrado raggiunto. Fosse solo un rogo sarebbe sì poca cosa, in quanto se pur molti e troppi nell’apparenza a rinnovare l’infinita stagione da quando nata la parola, oggi siamo più inquisiti di pria nell’odierna realtà tradotta alla ‘parabola’ della nuova dottrina.
scempio, siamo qui di nuovo presso lo scaffale di questo bosco antico ammirato da lontano o forse troppo da vicino, in tutto il triste spettacolo del degrado raggiunto. Fosse solo un rogo sarebbe sì poca cosa, in quanto se pur molti e troppi nell’apparenza a rinnovare l’infinita stagione da quando nata la parola, oggi siamo più inquisiti di pria nell’odierna realtà tradotta alla ‘parabola’ della nuova dottrina.
Che sia il virus della vita?
O meglio di quel male antico che disdegna ogni saggia e retta conoscenza?
Di certo noi figli della vera Natura in quanto ad essa conformati
secondo la sua logica, se pur ci indicano antichi e superati, inutili per
questo panorama ammirato ma di certo giammai compreso; non riconosciamo
evoluzione in siffatto Sentiero da molti attraversato: li scorgiamo passo chino
scrutare ma non vedere né Anima né Spirito in ciò che appena annusato confondere
ed eccitare l’istinto: olfatto a caccia della vita ingannare la vista rimembrando
il frutto propizio al rogo condire Anime attraversare il ciclo di una Selva ben
più profonda non meno dal Principio al Nucleo della stessa…
Di quella ve ne fosse barlume ammirata pregata e composta in un piccolo schermo senza Anima e Parola: automi
regrediti privi dell’istinto con cui evoluta la ragione e con essa la volontà
innata della conoscenza almeno ché non derivi da quell’alchemica sfera la quale
per il vero fa torto anche all’antica scienza… divenuta d’incanto breve
scemenza!
Per questo da qui ammiro ed introduco quell’albero altrettanto antico a
cui alla sua ombra tanto debbo circa la reciproca natura.
Se non fosse stato per uomini di siffatto ingegno e cultura e volontà
tradotta nella conoscenza oggi non regnerebbe né bosco né elemento né pia
conoscenza. Il virus che ci assale è un morbo antico e moderno del quale grazie
al fumo che dalla nostra cenere ne deriva ogni uomo può aspirare non solo al
calore di un inverno privato della vera linfa della vita, ma anche al nobile
progresso sottratto alla ragione della conoscenza di cui noi fotosintesi e indispensabile
Elemento.
Certo questo male che ci destina ad un lento martirio trascinato su per
un bosco privo di vita, sarà l’alba del nuovo millennio donde ogni ramo e
foglia e con loro l’antico arbusto precipiterà o fors’anche regredirà al verso
privo di parola, e questa, al gesto meccanico di chi disdegna il Pensiero,
giacché questo il falso principio di chi aspira al nuovo Millennio in nome di
ciò che comunemente nominano… Materia.
Sì certo ed anche per questo antica e nuova disputa rinnovo in nome e
per conto della vera Natura, lo abbiamo appena detto virus antico e moderno
donde taluni scorgono il principio della vita altri la fine della conoscenza…
Debbo essere accorto anche nella limpida aria riflessa quale specchio
della breve conquista in siffatto Sentiero respirata altrimenti raggiungo con
troppo fretta la mannaia della nuova scienza la quale disdegna la parola e con
essa superiore ragione che ne deriva dalla dialettica al diritto della Natura
di partecipare al vero scopo della vita; altrimenti la Materia nella propria
innominata illimitata deficienza proverebbe l’istinto affine alla bestia fino
alla clava regredita alla caverna della nuova alba… privato del successivo
mattino con cui coniugare e veder nascere la vita…
Costruisco
così il DNA smarrito perso dimenticato barattato confuso e tradito….
(De Umbra Ciceronis)
…Aldo Romano è il primo a concepire il libro
come svago: inventa il piacere di leggere…
Una vera e propria rivoluzione intellettuale
trasforma uno strumento usato per pregare o per apprendere in un mezzo utile a
trascorrere in levità porzioni di tempo libero. Aldo è anche il primo editore
in senso moderno: negli anni precedenti a lui gli stampatori erano rudi operai
del torchio, spesso ignoranti, interessati al libro come oggetto commerciale,
prova ne sia la quantità di errori con cui erano infarcite le edizioni
antecedenti l’era Manuzio.
Aldo è un raffinato intellettuale, uno che
sceglie le Opere da stampare in base al loro contenuto, non solo alla
potenziale capacità di vendita. E’ il primo ad unire il patrimonio di
conoscenze culturali, le capacità tecniche, e l’intuizione nel comprendere cosa
il mercato richieda, tanto che il mondo dell’editoria si distingue in prima e
dopo Manuzio…
…A lui dobbiamo la diffusione del carattere
corsivo che va di pari passo con l’altra grandissima innovazione attuata da
Aldo, il tascabile, i libelli portatiles, come lui chiamava queste edizioni di
piccolo formato, senza commento del testo, e quindi alla portata di un po’
tutte le tasche. ‘erano economici a sufficienza per gli studenti e gli studiosi
che vagavano tra le grandi università europee’.
Non è il primo ad usare il piccolo formato
già utilizzato per i testi sacri, in modo da permettere ai religiosi di
spostarsi con i loro libri, cosa che sarebbe risultata assai complicata con i
grandi volumi in folio che dovevano starsene aperti su un leggio.
Dopo di lui l’editoria sarà irrevocabilmente
diversa da com’era prima: ancor oggi conviviamo con le sue intuizioni. Ci vorrà
forse, il libro elettronico per mandarle in soffitta.
Nel gennaio 1515 Aldo stampa la sua ultima
edizione, il De rerum natura di
Lucrezio…
(Alessandro Marzo Magno, L’alba dei libri)
Comincio a scegliere il materiale che mi è
indispensabile per formulare una ispirazione, una volontà. Per desiderare innanzitutto
un’Opera nell’Opera, per meglio valorizzare e definire il concetto espresso
nella miriade di buoni ‘legni’ che troviamo in questo fitto bosco. Aspiro alla
foglia la quale dona vita e se pur tende alla luce e grazie ad essa compie le
sue funzioni principali è riconducibile all’essenza della radice. Una ben
visibile, l’altra nascosta e protesa verso i meandri della terra ma fonte prima
di sussistenza per l’albero e il legno ad esso riconducibile (a cui aspiro per
questa scala protesa verso il Tomo della vita).
Cerco la foglia e ammiro la sua perfezione.
Sfoglio la pagina respiro il Tempo che è
stato è quello che di nuovo sarà…
Ciò che contemplo nella compostezza di un
panorama colto da lontano è l’infinito concetto di verde in tutte le sue forme,
di cui la foglia come una o milioni pagine di vita detta la storia nell’immenso
suo capitolo.
Il verde d’estate con il loro germogliare in
primavera, poi il lento morire, con le innumerabili sfumature d’autunno, mi
conducono verso gli spazi e colori dell’universo.
Quando la linfa viene meno ecco la stella
accendersi di colori ultimi e abbaglianti per poi ripiegarsi in monocromatici
eventi che risiedono alla base del nero. Ma la bellezza, che conviene all’animo
che colpisce la retina dell’occhio che fa vibrare in noi ogni sentimento di
gioia e amore per le cose della Natura è composta dall’insieme di quelle note
di verde.
Così, io, seleziono con cura e senza far
inutile rumore questi ‘legni’. Non legno qualsiasi, ma accuratamente scelto, a
costo di sacrifici e lunghe passeggiate. Poi pian piano costruisco il Tomo
della Vita, così il legno, essenza originaria diventa irriconoscibile, e una
volta lavorato perde quella sua (anche se pur raffinata consistenza) rozzezza.
L’Opera più raffinata e completa e nello
stesso illuminante non è mai paragonabile a quel ponte sospeso fra due sponde.
Nel Nulla della concretezza e astrazione dei temi trattati anche argomenti
secolari, quelli che rimangono perenni testimoni dell’evoluzione creatasi nelle
pieghe della sua struttura, così come nelle curve dei rami o nella forza
dirompente delle radici, può cedere il passo alla volontà che sottostà
all’ombra di quella ‘creatura’.
Quel ponte sospeso nell’attimo del
raccoglimento è l’idea che supera l’opera originaria: il seme che feconda la
terra per generare il frutto e la vita. È l’opera che in sé contiene la summa
delle opere e ne supera la sostanza. Perché non si attiene ad essa, ma da essa
ne prende linfa per uno slancio nuovo che produce l’energia fondamentale per
assaporare la vita, e trasformare in processo incessante ciò che è morto e
abbiamo reso tale, verso una lenta ricomposizione degli elementi per una nuova
esistenza.
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