Prosegue in:
E brevi Frammenti in Rima (2)
Dedicato alla morte di un dissidente (uno dei tanti uno dei troppi...)
…Lascio lo zaino in una
locanda vicino alla stazione…
Se non trovo il mio
amico posso sempre tornare a fare un pisolino e poi prendere il primo treno per
il mattino.
In un banco per strada
mangio una scodella di minestra di riso di soia e la stanchezza sparisce
all’istante.
…All’uscita del paese il
cielo è punteggiato di stelle, e si sente solo il gracidare delle rane. Finisco
in una pozzanghera, ma non importa, penso solo ad arrivare dal mio amico.
Intorno a mezzanotte, al
buio, riesco a trovare il suo appartamento e busso alla porta.
‘Sei tu, diavolo’, grida
per lo stupore e la gioia.
‘Da dove sbuchi?’, mi
domanda.
‘Da sottoterra’.
Anch’io sono felice.
‘Porta il vino. No, fa
troppo caldo, porta il cocomero’, dice alla moglie, una donna robusta, si
direbbe una del posto. Lei si limita a sorridere, è di poche parole. Il mio
amico non ha perso il buon carattere di un tempo.
Mi domanda se ho
ricevuto il suo romanzo.
Dice che ha letto le mie
opere e ha spedito il manoscritto alla redazione di una rivista che ha
pubblicato un mio testo, pregandoli di mandarmelo. Dice che lo ha spinto a
scriverlo un impulso irresistibile, ha voluto fare una prova per tastare il
terreno.
Il romanzo racconta di
un ragazzino di campagna malvisto dai compagni di scuola a causa del nonno ex
proprietario terriero. Ogni giorno sente il maestro dire che bisogna isolare i
nemici del partito e di classe, si convince che i suoi guai vengano da quel
vecchio malato che non vuole proprio morire e così un bel giorno mette nel
decotto per il nonno un fiore selvatico velenoso, che ti toglie quando si fa
l’erba per i maiali. Al mattino, quando gli altoparlanti diffondono nel
villaggio le note di ‘L’oriente è rosso’ per chiamare i contadini al lavoro nei
campi, il ragazzino trova il vecchio riverso a terra con la bocca colma di
sangue nero raggrumato.
E’ morto!
Il romanzo descrive lo
stato d’animo del fanciullo che osserva, con gli occhi del bambino di campagna,
un nonno incomprensibile.
Il redattore mi aveva
restituito il manoscritto senza impiegare le solite formule di rito. Non aveva
usato il consueto tono da burocrate, come: la trama non è ben congegnata, manca
di forza, i personaggi non sono ben delineati, oppure non possiede a sufficienza
i tratti del ‘tipico’. Aveva detto senza giri di parole che era ben scritto ma
l’autore era andato troppo in là, le autorità non ne avrebbero mai consentito
la pubblicazione. Avevo dovuto spiegare che lo scrittore era un geologo che
lavorava in campagna, avvezzo ai sentieri di montagna, non poteva conoscere i
limiti da non superare nell’odierno mondo letterario.
‘E quali sono i
limiti?’.
Dagli occhi che lo fanno
assomigliare a Pierre traspare l’incapacità di comprendere.
‘Ma come?’, prosegue lui,
‘Non si parlava sui giornali, proprio qualche giorno fa, di libertà di
creazione artistica e, in campo letterario, della necessità di descrivere la
realtà?’.
‘E’ per colpa di questa
fottuta realtà, di questa fottuta questione, dipingere o meno la realtà non
meno della Verità, che sono finito nei guai, ed è per questo che ora sono qui
da te’, dico.
Fa una gran risata:
‘Quindi non ci sono speranze per la storia della mia amazzone’. Prende le foto
e la ripone dal cassetto, poi dice: ‘L’ho conosciuta in un tempio in rovina
dove ho alloggiato una volta che ero in viaggio per lavoro. Parlammo un giorno
intero e mi confidò le sue vicissitudini. Ho riempito mezzo quaderno, sono le
cose che ha vissuto di persona’.
Prende il quaderno da un
cassetto e me lo sventola davanti agli occhi.
‘Ce n’è a sufficienza
per un libro, il titolo l’ho in mente da un pezzo: ‘Note del tempio in rovina’
’.
‘Non mi pare che sia
adatto ad un racconto di cappa e spada’.
‘Certo, non lo è. Se ti
interessa prendilo, dagli un’occhiata, ti può essere utile per un romanzo’.
Poi ripone nel cassetto
anche il quaderno e dice alla moglie: ‘Portaci del vino, va’ ’.
‘Non parliamo di
romanzi’, dico, ‘non riesco più a ripubblicare nemmeno vecchi saggi. Come
vedono il mio nome, rimandano tutto indietro (e mi braccano per ogni dove…)’.
‘E tu faresti meglio ad
occuparti solo della tua geologia! Come ti è saltato in mente di metterti a
scrivere?’, interviene la moglie quando ci porta il vino.
‘E adesso come ti vanno
le cose? Dimmi, dimmi!’…
E’ molto affettuoso…
‘Vago qua e là per
evitare di essere costretto a fare autocritica. Di essere torturato. Sono in
viaggio da mesi, aspetto che passi la bufera per tornare a casa. Là ove
stabilisco un domicilio puntuale arriva la tortura…. Se la situazione peggiora
mi cerco un riparo, poi taglio la corda. In ogni caso non mi farò mandare ai
lavori forzati mansueto come un agnellino, come in passato i vecchi
‘reazionari’ ’.
Ridiamo entrambi di
cuore.
‘Ti racconto una storia
divertente. Quando facevo parte di una squadra incaricata di individuare
miniere d’oro abbiamo catturato un selvaggio’.
‘Non prendermi per i
fondelli. L’hai visto con i tuoi occhi?’.
‘Visto? L’abbiamo
catturato! Cercavamo una scorciatoia per arrivare al campo prima del buio. Tra
i boschi sotto la vetta della montagna c’era una striscia bruciata, piantata a
granturco. In un campo tutto giallo si muoveva qualcosa, di sicuro un animale
selvatico, pensammo. Per motivi di sicurezza in quei posti giravamo sempre
armati. I compagni dissero che secondo loro si trattava di un orso o di un
cinghiale. Dell’orso non c’era traccia, potevamo almeno procurarci un po’ di
carne, sarebbe stata già una bella fortuna. Circondarono la zona. La cosa sentì
il movimento e scappò verso il bosco. Erano circa le tre del pomeriggio, perché
il sole era a ponente e la vallata era ancora luminosa. Come la cosa si mosse,
la testa apparve tra le piante di granturco. Era un uomo selvaggio con i
capelli lunghi fino alle spalle! Lo videro tutti. Erano eccitatissimi e gridavano:
un selvaggio! Un selvaggio! Non lasciatelo scappare! Gridava un altro nel
puntare il fucile. A stare tutto il giorno in giro per monti e valli capitava
di rado di sparare, così si erano scatenati, chi correva, chi gridava, chi
sparava. Una volta avvicinati lo costrinsero ad uscire, nudo come un verme.
Barcollò, poi cadde a terra, aveva solo un paio di occhiali legati al collo con
un cordone, e le lenti erano così consumate che parevano vetro smerigliato’.
‘E’ frutto della tua
fantasia?’, dico.
‘E’ tutto vero, no?’, fa
la moglie dalla stanza da letto.
Non si era ancora
addormentata.
‘Quanto a inventiva mi
superi, ormai sei un romanziere’.
‘E’ lui il vero
romanziere’, dico verso la stanza della moglie, ‘ha un talento innato. A scuola
non lo batteva nessuno, quando si metteva a raccontare storie restavamo tutti
ad ascoltarlo a bocca aperta. Peccato che il suo unico romanzo sia stato
stroncato prima di vedere la luce’.
Mi dispiace molto per
lui.
‘Oggi parla tanto solo
perché ci sei tu, di solito non dice mai una parola di troppo’, fa la moglie
dalla sua camera.
‘Allora sta’ ad
ascoltare’, dice alla moglie…
‘Continua’, lo incito.
Ha acceso la mia curiosità.
Beve un sorso di vino
per riprendere la carica.
‘Si avvicinarono, gli
sfilarono gli occhiali, lo spinsero con la canna del fucile e gli domandarono
duri. Se sei un uomo perché scappi? Tremava come una foglia, e gridava frasi
sconnesse. Uno lo minacciò con il fucile, e urlò per spaventarlo: ti ammazzo se
continui a fare il matto! Allora scoppiò in singhiozzi e raccontò che era
fuggito da un campo di lavoro e non voleva tornarci. Che crimine hai commesso?
Ero un reazionario. Ma è una vicenda vecchia, i reazionari sono stati
riabilitati da tempo, perché non sei tornato a casa? Disse che i familiari non
l’avevano voluto nascondere, così si era rifugiato su queste montagne. Dove sta
la tua famiglia? A Shanghai. Che bastardi, perché non ti hanno fatto restare?
Avevano paura di essere coinvolti. In cosa? I reazionari sono stati
indennizzati con grosse somme di denaro, e ora tutti vorrebbero averne uno in
famiglia. Ma non avrai per caso il cervello fuori posto? Rispose di no, che era
solo molto miope. A quel punto si misero tutti a ridere come matti’.
Anche la moglie scoppia
a ridere…
‘Sei un buontempone,
solo tu riesci a raccontare storie del genere’.
Anch’io non riesco a
trattenermi dal ridere, da tempo non ero così allegro.
“Nel…. [ometto
la data dell’autore giacché interviene breve riflessione, questo racconto
dedicato a chi sacrificato per la pace e avverso al totalitarismo di stato, sia
esso in nome di un partito, sia esso per conto del libero mercato, cosicché
ognuno si può riconoscere in quanto di seguito riportato, non meno del
medesimo come lui perseguitato, avversi
ad ogni forma di tortura dedico questo breve parentesi a tutti i perseguitati,
ma non solo: calunniati e perseguitati da chi avverso per propria natura ad
ogni Verità della Storia… ed alla Memoria, e con lei, ogni Verità cancellata e contraffatta numerare la Storia attraversata… e ben
conservata… o fors’anche ben recitata…]… era stato bollato come
esponente di destra e nel… era stato mandato in un campo di lavoro [uno dei
tanti in ogni luogo ove il libero arbitrio perseguitato…]… Nel… era
sopraggiunta una terribile carestia, non c’era nulla da mangiare, si era
gonfiato come un pallone, era stato ad un passo dalla morte e così era fuggito
a Shanghai dove rimase nascosto due mesi in casa. I familiari però volevano
assolutamente che tornasse in prigione perché la razione di cereali non bastava
nemmeno per una persona. Come avrebbero potuto continuare a nasconderlo in
casa? Così se ne era andato a aveva trovato rifugio su queste montagne, dove
viveva da più di vent’anni. Il primo anno lo aveva accolto una famiglia di
montanari, per campare li aiutava a tagliare la legna e a fare qualche lavoro
nei campi. Poi un giorno, saputo che la comune popolare stava per indagare su
di lui, si era rifugiato in una zona impervia ed era riuscito a sopravvivere
grazie a quella famiglia… I miei colleghi gli domandarono in che modo fosse
diventato reazionario e lui spiegò che all’università studiava le antiche
iscrizioni oracolari su gusci di tartaruga, era giovane e pieno di entusiasmo e
nel corso di una riunione aveva manifestato opinioni sconsiderate sulla
situazione politica. Allora gli dissero: seguici, torna ad occuparti delle tue
iscrizioni oracolari. Ma lui si rifiutò, disse che doveva falciare il campo di
granoturco che di dava cereali per tutto l’anno, e aveva paura che se fosse
andato via i cinghiali avrebbero distrutto il raccolto. Al che i miei colleghi
gridarono: e lascia che caghino sul granturco! Voleva andare a prendere gli
indumenti che stavano in una grotta sotto la roccia, e che non metteva quando
non faceva troppo freddo. Gli diedero una camicia da mettere intorno alla vita
per portarlo al campo con loro’.
‘Finita?’.
‘Finita’, dice.
‘Comunque ho pensato ad un’altra conclusione…’.
‘Fa sentire’…
‘Il giorno seguente,
dopo essersi rimpinzato e rinfrancato con un buon sonno ristoratore, scoppia
all’improvviso in terribili singhiozzi senza che nessuno riesca a capire
cos’abbia. Si avvicinano per domandarglielo ma farfuglia tra le lacrime
qualcosa di incomprensibile. Alla fine si capisce una frase: se avessi saputo
che al mondo ci sono persone così buone non avrei sopportato le ingiustizie di
questi anni!’.
Avrei voglia di ridere
ma non ci riesco…
Dietro le lenti si
illumina in un sorriso malizioso.
‘E’ superfluo’, dico
dopo aver riflettuto un istante.
‘L’ho aggiunto di
proposito’.
Si toglie gli occhiali e
li appoggia sul tavolo.
Mi accorgo che c’è più
malinconia che malizia nei suoi sguardi, sembra un uomo diverso quando porta
gli occhiali, con quell’aria onesta e gioviale. Non l’avevo mai visto sotto
questa luce.
‘Vuoi stenderti un po’?
mi domanda.
‘No, non importa, tanto
non riuscirei a dormire’, dico.
Dalla finestra si
intravedono i primi bagliori dell’alba. Fuori la calura si è dissipata e soffia
una brezza fresca.
‘Possiamo chiacchierare
anche sdraiati’, dice.
Mi sistema una branda di
bambù, prende una sdraio per sé, poi spegne la luce e si stende.
‘Devi sapere che all’epoca mi misero sotto inchiesta e si occupò di
me proprio la squadra che aveva catturato l’uomo selvaggio. Non mi fucilarono
per un pelo. La pallottola mi ha scalfito il cranio, mi hanno mancato per poco,
ho avuto fortuna. A parte questo, erano brave persone (questo bisogna pur dirlo…)…
‘Il bello nella tua storia del selvaggio è che ti mette allegria
malgrado la crudeltà, perché la lasci intuire, non la descrivi direttamente’….
‘Ma aspetta mi è venuta in mente una nuova conclusione in nome dei
vecchi tempi di scuola andati, ti ricordi quando studiavo e traducevo vecchi Papiri
ed iscrizioni oracolari, ascolta ne ho trovata una’altra te la leggo…
Anche questa una buona conclusione oppure un inizio…’….
Parto poi
torno, materialmente e con la memoria.
Tutti
dovremmo avere memoria storica, genetica, morale,
ho
scoperto però non essere una prerogativa umana,
una dote
essenziale.
Parto poi
torno e talvolta è come se non fossi mai nato,
o mai
morto nella riva del torrente dove ricordo.
Nella
riva del fiume dove dormo.
Nella
tenda dove ascolto,
nel
grande bosco dove prego.
Parto poi
torno con la memoria
e il
sogno che nulla scorda
in questa
grande terra che non conosco,
in questa
valle di cui non ricordo il nome,
per
questa montagna che ogni anno che passa
trovo
cambiata, mutata, rinsecchita.
Parto poi
torno, cercando ogni volta una fuga,
una
possibile strada di sopravvivenza.
Parto e
poi torno dai tanti libri che mi ‘volano d’intorno’,
dalle
tante pagine che mi fanno capolino,
dalle
tante verità che mi scrutano mute,
dalle
eterne parole che mi chiedono attenzione.
Attento
il sentiero è periglioso!
Attento
la valle è insidiosa!
Attento
alle genti, pur la bella rilegatura,
evocano
un’immagine impressa quale scudo araldico,
di una
difficile lingua sull’antica copertina. (1)
Le
stagioni che modellano il luogo sono dure,
gli
oscuri passi dove talvolta scruto muto
l’espressione
dei viandanti e abitanti, conserva tristi pagine,
pensieri
lontani non in sintonia con la bellezza dei panorami.
Parto e
poi torno nei miei e altrui ricordi,
e se
evocarli può arrecare dolore,
se
leggere la verità può portare rancore…..,
salgo
sull’alto ripiano, cammino lento nell’altipiano,
scruto
attento nella memoria,
cerco
riparo là dove non sono accetto,
scavo
scrupoloso nell’archeologia dei lineamenti,
fra una
pagina e l’altra, fra una lacrima e l’altra,
fra una
risata e l’altra, fra una presunzione e l’altra.
I ricordi
vagano fra un gradale e l’altro,
che con
puntualità da ‘bottegaio’ apro nell’oscura bufera
dove ho
dormito, sognato, e immaginato.
Fra una
pagina e l’altra vi è vita,
quella
che ci fu negata nella lenta traversata,
sulla
triste collina,
nel duro
campo,
sulla
difficile linea,
nella
squallida baracca,
nella
fredda e calda tenda,
nell’innominata
chiesa,
nell’antico
mulino,
vicino al
fiume nel ricordo di una prateria,
un
deserto, una distesa di ghiaccio,
un caldo
lago e un silenzio che è solo l’inizio.
Un
immenso ghiacciaio e una mare di verde, prima.
Una
lancia appuntita, e una grande traversata, poi.
Una
roccia, un frammento, una cascata, una via verso la vita.
Verso la
verità.
Verso il
ricordo,
sull’uscio
della caverna,
dove ho
abbandonato vita e dignità,
morale e
decoro,
disciplina
e responsabilità.
Amore e
affetti,
vita e
morte,
tempo e
luogo.
Responsabilità
e apparenza.
Salgo
piano dalla collina alla montagna,
schivo i
dardi, cerco accorto il sentiero,
studio
attento la cartina,
guardo
incosciente il panorama: attraverso l’occhio digitale
di un
pensiero divenuto occhio magico della memoria,
attraverso
l’anima di ciò che pensano senza anima,
attraverso
la parola di chi non ha parola,
attraverso
la pazzia di chi non conosce cura,
attraverso
la cura di chi conosce il raro dono della ‘pazzia’,
attraverso
pagine e ricordi scritti,
attraverso
parole e sogni mai svelati,
attraverso
libri ancora da scrivere, e altri per sempre dimenticati,
pagina
per pagina;
respiro
che diventa rantolo…poi pian piano sudore,
rancore,
pietà e rumore.
Frammenti
nel vicolo che diventa sentiero,
passo e
fuga,
aria più
tranquilla dicono, rarefatta;
roccia
armoniosa, polmoni aperti,
più
ossigeno per la via che diventa impervia,
per la
solitudine che ti osserva,
per la
roccia che ti scruta,
per
l’acqua che ti parla
….e per
il cacciatore che a fondo pagina ti punta.
Passo
veloce per il corpo che corre,
per la
pagina che finisce,
per il
tomo che si chiude;
paura che
prende, sangue che sgorga, anime in fuga,
vendette
in agguato, odio non pagato.
Croci in
cima alla vetta,
fosse
vicino alla cantina,
sentieri
prima della mèta,
storie
che dominano la vita.
Il sudore
si asciuga, il piede si riposa,
la parola
dopo il pensiero traccia l’icona alla fine della via,
della
strada, dell’affollata piazza,
alla fine
dello stretto vicolo prima del mercato,
dove i
ricordi diventano vivi, dove il calore divampa,
dove il
condannato fu trascinato senza motivo,
dove la
sentenza non ha repliche,
dove gli
stracci e l’umile sacca sono più pesanti dell’anima,
dove lo
sguardo nascosto è mutato nell’odio,
di volti
come maschere prestati alla disciplina,
di chi
mai appare perché il suo nome è solo un inutile confine,
che
diventa Impero e poi solo un lungo tormento.
Il ghigno
di chi ha sentenziato diventa tortura e la memoria dolore,
il freddo
verità,
la
povertà tua sola sostanza,
il
tremore passo incondizionato di fuga e riparo,
l’onestà
la colpa.
La cima
l’estremo sacrificio, il fuoco l’ultimo ricordo.
Il sogno
segna il passo.
L’incontro
un libro scritto o forse ancora non del tutto …pregato.
La
preghiera diviene litania,
e uguale
componimento nelle pagine della storia,
la frase
sconnessa l’oracolo di tanti e troppi Dèi dimenticati.
E …mai
pagati!
La moneta
ti osserva, il tempo la comanda.
La
ricchezza ti scruta, la potenza l’orienta.
La
volontà la sveglia, il sangue s’appresta, l’orgoglio avanza.
Il tempo,
suo compagno, ti inganna, mentre contempli il tutto che danza.
Il tempo
ritorna in cima alla vetta,
in cima
alla stanza,
dove il
libro sporge con incuranza e evidenzia una verità che parla,
e non
vuol essere contata.
Una
verità che segna il tempo e non vuole tempo,
che gela
le membra, che annebbia la vista,
che duole
fin dentro le ossa,
quelle
dei vivi e quelle dei morti
…e quelli
che moriranno ancora.
Il tempo
in essa spera e comanda,
mentre la
cima con orgoglio ritrovato contempli,
come un
vecchio tomo mai morto,
come una
vecchia stampa che ravviva i ricordi.
Sembra
facile, per taluni, andare e tornare,
sembra
facile per alcuni andare e parlare.
Ma io che
non conosco moneta e tempo,
dovrò
patire gli inganni della storia;
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