CHI DELLA FOLLA, INVECE,

CHI DELLA FOLLA, INVECE,
UN LIBRO ANCORA DA SCRIVERE: UPTON SINCLAIR

sabato 6 giugno 2020

LA GRANDE 'DEPRESSIONE' (italiana) & L'INCONTRO CON I CIUKKI (31)




















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Cercatori d'oro (29/30)


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L'incontro con i Ciukki (32)














La mattina di martedì 9 agosto 1887, mentre penetrava con passo lento nella campagna subito fuori Verona – oggi quell’area è stata mangiata dalla città – lo sguardo stanco del comandante Giacomo Bove fu richiamato dai lunghi lari di gelsi che delimitavano i campi di stoppe.

…Con il passo indebolito dalla malattia superò il fosso con un salto e atterrò nella terra nuda, di proprietà della cascina Casetta del conte Giovanni Pellegrini. Di fronte, come tirata da un righello, partiva la lunga sequenza dei gelsi.

Si mise a camminare contandoli uno per uno.

Uno, due, tre, cinque, nove.

Finché scelse il suo.

E lo toccò con il palmo della mano, come per presentarsi. Il vento leggero tra i rami faceva tremare allegramente le foglie. Si sbottonò il cappotto color caffelatte, si tolse il cappello e lo appese a un ramoscello nella parte bassa della pianta. Si accomodò appoggiandosi delicatamente al tronco. La corteccia del gelso è dura, bruna e fessurata, sembra lava solidificata. La sentì dietro la schiena.




E attese qualche istante.

Chissà quanto?

Per lui dovrà essere stata un’eternità. Il tempo, si sa, non unisce sempre uguale a se stesso: le attese lo dilatano. E questa era l’attesa delle attese. Infilò la mano destra nella tasca della giacca. Cavò fuori un pacchetto di lettere tenute da uno spago. Le contò facendole passare a una a una, di costa, sul pollice. Cinque. Sì, ci sono tutte, pensò. Osservò anche le due fotografie e di sua moglie Luisa, con al fianco la figlioletta adottiva di otto anni Maddalena Giuseppina. Poi ripose ogni cosa ordinatamente nella tasca.

Lì le avrebbero trovate.

Tutto era calmo. Oltre il volo di una farfalla, la campagna infuocata esplodeva nella forza vitale dell’estate. Il canto degli uccellini che volteggiavano intorno alla chioma del gelso si mischiava al primo frinire delle cicale del giorno. Presto sarebbe esploso il caldo. Estrasse dalla tasca la rivoltella. La guardò. Tolse la sicura. Sparò in aria per provare. E la puntò alla tempia destra.




Nessuno udì i due colpi di pistola che deflagrarono nel silenzio… Fu diverse ore dopo, verso mezzogiorno, quando il sole spioveva a picco, che qualcuno si accorse.

Un contadino che passò sui campi ad oriente dalla cascina casetta fu attratto da una macchia chiara alla base dei filari di gelso. Si avvicinò incuriosito. E di colpo si fermò! Sgomento! Poi corse da dove era venuto per dare l’allarme. I primi ad accorrere furono due carabinieri a cavallo. Il contadino tornò con un medico, alcuni curiosi e il fattore a servizio del conte Pellegrini. Ben presto intorno al gelso macchiato di sangue si assiepò una dozzina di persone.

Non fu difficile definire l’identità dell’uomo, né ricostruire i fatti che lo avevano condotto alla morte, dovuta inequivocabilmente a quel foro rosso sulla tempia destra.

Anche a quest’uomo in tasca avevano trovato cinque lettere e due fotografie che ritraevano una donna giovane ed elegante, che portava una crocchia spessa come una fune sulla nuca.

L’ultima lettera delle cinque, aperta, indirizzata alla Pubblica sicurezza di Milano. La parola ‘Milano’, sulla busta, era stata però cancellata da due righe a matita e corretta con ‘Verona’.

Evidentemente c’era stato un cambio di programma.

Uno dei carabinieri si sentì autorizzato ad esaminarne il contenuto lì sul posto.

Lesse.

‘Ringrazio Dio di avermi spinto al triste passo. Meglio il Nulla che Niente!’.




Alla fine della lettera il carabiniere si imbatté in un post scriptum aggiunto a matita. Così recitava con tono sorprendentemente ironico, che lasciò ulteriormente di stucco i presenti:

‘Aneddoto: quando ieri mattina andai a prendere la rivoltella, da un armaiolo della città, mi disse: - Signore, con quest’arma ammazzerebbe un bove -. Fatalità! Ed io sono Bove’.




Tre anni dopo la sua morte gli esperti locali deliberarono la linea del percorso per un tracciato (alpinistico) a lui dedicato….

Il giorno della sua morte, invece…, ecco arrivare in bicicletta un giovane dall’aria attenta e circospetta, che non sarebbe passato inosservato. Lo conoscevano tutti in città. Era l’inviato dell’Arena.

Il suo nome era Emilio Salgari…

Leggiamo nella stessa Arena…

Tra i primi ad accorrere sul corpo esanime alle porte di Verona fu Emilio Salgari, all’epoca giovane reporter dell’Arena.

Davanti a sé, quella mattina, Salgari si ritrovò l’uomo che lui stesso avrebbe voluto essere e nel quale si sarebbe immedesimato per il resto della vita viaggiando con la fantasia nei luoghi più remoti del pianeta.




Bove aveva navigato su tutti gli oceani, mentre Salgari – come ben noto - non si muoverà mai dalla sua fumosa stanzetta adibita a studio. Eppure Salgari, come Bove, si farà chiamare ‘Capitano’ e ‘Lupo di mare’. E dichiarerà in un’intervista rilasciata a un giornalista:

‘Ho viaggiato molto, arrivando fino allo Stretto di Bering’, proprio lo stretto attraversato per la prima volta da Giacomo Bove.

E non è finita…

Bove era stato uno dei primi italiani a conoscere e descrivere il lussureggiante incanto di Labuan e del Borneo? Salgari ambienterà proprio lì i suoi romanzi più fortunati.

Bove era rimasto intrappolato nell’inverno artico?

Salgari scriverà almeno sei romanzi sui ghiacci del Polo Nord.

Bove aveva esplorato la Patagonia e si era spinto giù in Terra del Fuoco? Ed ecco uscire il romanzo La stella dell’Araucania ambientato esattamente in quegli stessi luoghi.




L’immagine di Bove inseguirà Salgari fino al suo stesso suicidio. Avvenuto, anch’esso, fuori da una grande città, Torino, sotto gli alberi di Villa Rey, tagliandosi il ventre con un rasoio.

Dopo fruttuose ricerche da parte dello studioso salgariano Cristiano Calcagno, sono emerse sorprendenti coincidenze tra il ‘vero’ Capitano (Bove) e il ‘finto’ Capitano (Salgari). Corrispondenze e analogie che abbondano in modo impressionante, come in un gioco di specchi contrapposti.

Bove era nato in Piemonte ed era morto a Verona: Salgari era nato a Verona e morto in Piemonte.

Salgari era nato ad agosto e morto a fine aprile: Bove era morto ad agosto ed era nato a fine aprile.

L’uno l’opposto dell’altro.

Entrambi finiti a vivere per un certo periodo nel quartiere di Sampierdarena a Genova, in case tra loro vicine. Ma il ‘vero’ Capitano era alto, slanciato, di presenza imponente, un uomo charmant abituato a usare francesismi a tutto spiano, come la moda del tempo suggeriva.















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