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ovvero, il capitolo completo... (13)
& con lo sguardo dell'uomo (14)
Per inciso, detto fra noi, quali migliori esperti
dell’Arte della Natura, quali adoratori,
effimeri contemplatori e cantori al di fuori d’ogni Secolo contato e numerato
uguale a se medesimo, cultori della sacra divinazione da lei
ispirata e tradotta, nonché dispensata ai pochi fra i molti disposti a
difenderla e custodirne il segreto messaggio in lei celato, più antico d’ogni
preghiera, giacché l’ammirarla quanto il pregarla quale immateriale Primo
ricongiungimento ed atto all’Anima-Mundi consacrata, in accordo a quanto di
Sacro ed inviolato, fedeli al suo Divino e più elevato Ideale, ci consacra
Profeti (perseguitati) ricongiunti al Principio di un più probabile Dio (quale Creatore
dell’arte della Natura nell’opera tradotta).
Seppur riconosciuti, certamente come Lei esiliati
e mutilati (talvolta o troppo spesso anche del suo quanto nostro ingegno derivato), sfruttati
così come potrebbe esserlo ogni essere impropriamente nominato animale, ove perso
Ragione Pensiero ed Intelletto, ammirarlo nell’acrobatico cantico, posato su un
Ramo, su una Pietra, su un’ala che piano s’alza e impone allo strumento della
Divina Coscienza, affinché l’Ala diventi penna dello strumento dell’Opera così
perfetta.
Così parla pensa e compone un più alto e nobile Ingegno, al di fuori d’ogni sacro versetto, al di sopra d’ogni Verbo quale principio fattosi Legge d’uno strano ed improprio Dio che tutto vuol possedere e intendere nonché sottomettere all’umano volere.
Un Dio dell’uomo al quale opponiamo la retta
comprensione della Sacra Divinità nel suo stesso nome.
L’ammirai in quel dì di Venezia, maschera su
maschera, costume di scena interpretata da un nobile buffone, pietra su pietra,
tomba su tomba, altare su altare, ed ebbi modo in questa occasione di
incontrare, seppur indirettamente attraverso voci di strada, l’americano
approdato anche lui in nome dell’Arte da cui il costume con cui sono soliti
indossare la vita come la divisa.
Seppure celebravano indistintamente la morte in
vita.
La penna ci accomuna in questo strano intento rivolto all’Arte.
La sua fu prestata da un indiano il quale meditò
pace per la propria Terra conquistata, adoperandosi allo spettacolo da fiera,
certo la penna potrebbe mutare la propria natura in questa nuova grammatica
tradotta dal bufalo, così da divenire la mia pena.
Tal pena tenderà, nel giudizio dell’artista
cultore della Natura, a rinnovarsi, procedendo verso un difetto non solo
grammaticalmente dedotto e da ogni dizionario storico ritratto come ben
conservato, ma altresì tenderà a rinnovare quanto di Sacro in Lei riconosciamo.
Però ammetto in cuor mio, ammirando ogni pietra
divenuta ugual tomba del paladino quanto fossa profonda del fedele scudiero, di
cui accumunati dalle nobili gesta ovvero dalla terra alla pietra, assommata alla
Storia che li celebra annovera e numera,
mai ne rimembra il tanto troppo sangue approdato fin sull’altare, in nome di
ugual ideale nominato sacrificio da cui le inutili umane gesta sempre tradotte
in nome e per conto del loro Dio.
Certamente se solo lo avessero compreso forse neppure ci ricorderemo di loro, se solo avessero intuito il suo pensare creare e evolvere secondo i principi di una più elevata e ispirata Natura, certamente li tradurremmo su diverse strofe e rime a forma di Budda.
Giacché se
non fosse questo il motivo mutilato, seppure benedetto ornato e ben conservato
nella pietra consacrata ed elevata fin sulla cima della cupola, e non certo per
ogni foglia o ramo da noi eretici difesa nel vero e più certo e Sacro Disegno
di un più elevato Architetto, non innalzeremo il calice del Dio così
propriamente o impropriamente pregato, e neppure vedremmo sgorgare il suo
sangue così umiliato dal Golgota della prima e ultima parabola, quando in suo
nome colora ogni fiume inondando
l’intera vallata.
Ed imbrattando l’intera tela dipinta così
pregata!
I morti furono e sono talmente tanti che non
basterebbero tutte le penne del bufalo per rincorrerli e contarli.
Neppure un toro se per questo, corre talmente di
fretta con la pena fin giù la gola che resuscita come bava della terra che
inonda il sacrificio in nome della terra.
Giacché le ragioni di ogni guerra quanto delle
pietre che ne raccolgono le spoglie tenderanno ad esser ammirate quanto
replicate (sino al Circolo d’ogni concordata replica in accordo con la parte
offesa), nella differenza che la pietra di cui ammiro la viva stratigrafia fin
sulla cima, nonché dipinta per renderla infinita al pari del Dio che così l’ha
posta, tenderà a comporre una più nobile e più certa armonia.
Dacché possiamo, armati di grande differenza d’animo, e seppure cantando ogni pietra così nobilmente edificata per ogni Chiesa e tomba ben conservata o da conservare ancora, fin nella fossa appestata ancor più profonda, che l’incontro porterà e gioverà al futuro d’ognuno, il quale preferisce l’Arte certamente più nobile della Natura rimembrandone le gesta, affinché ugual medesima Arte ne abbia e goda di insperato giovamento; giacché tutto ciò detto appartiene all’evoluzione, oppure se preferite, al piccolo canto di un fringuello appeso al suo ramo, il quale ha imparato a ringraziare il suo e l’altrui Dio, affinché ognuno goda dell’Alba quanto del tramonto del suo inno in ogni Opera creata…
Anche se preferiscono la delicatezza della piuma servita al banchetto ben condita al rogo della parola bandita quale migliore delizia… affogata nel vino novello in cui ammirare la strofa mutilata…
Oppure l’intero panorama…
nelle sue linee essenziali, che ne esprimono
sempre la storia passata e la realtà presente ... In ogni onda o in una nuvola,
queste linee essenziali mostrano il flusso della corrente e del vento, e quei mutamenti
di forma, che l’acqua o il vapore subiscono a ogni istante, nel frangersi a riva,
o contro un’opposta corrente, o dileguandosi al sole. Solo chi manca di
sensibilità vede e disegna gli elementi naturali come se fossero fissi e immobili:
l’uomo saggio vede in essi il mutamento e la mutabilità, e li ritrae così, -l’animale
in moto, l’albero che cresce, la nuvola nel suo corso, il monte nel suo
consumarsi (15.91).
Come illustrazione dava la descrizione di un pino a Sestri, vicino a Genova, con brevi schizzi schematici, che si rifanno al bellissimo e importante disegno completo dello stesso pino nella collezione di Oxford.
Dalla semplice osservazione di questo perenne mutare e della libertà della natura, traeva ispirazione per un vero inno alla libertà e varietà umana, ché…
...quella
perpetua varietà, quel gioco e mutamento in gruppi di forme sono più essenziali
perfino del loro essere soggetti a una grande legge che le governi: la legge è
necessaria per la loro forza e perfezione, ma la differenza è indispensabile alla
loro vita…
…così
come lo è la libertà di espressione nella società umana.
Proprio in questo manuale di disegno per dilettanti, Ruskin, quasi per inciso, ma con estrema chiarezza, offriva, infine, con una formula felice la sua celebrata teoria dell’innocence of the eye (15.27n), come fondamento pragmatico della percezione. Veniva cosi a bilanciare le proprie affermazioni dell’anno precedente, con le quali in veste di critico d’arte, in Modern Painters 3, aveva messo in dubbio che quell’innocenza potesse esistere (5.357-5).
Egli
esortava, invece, nel manuale, a ricrearla, se non la si possedeva, ché...
tecnicamente tutta la forza della rappresentazione pittorica dipende dalla
nostra capacità di ritrovare quella che si può definire l’innocenza dell’occhio;
cioè una specie di percezione infantile di queste macchie piatte di colore,
unicamente come tali, senza essere consci di cosa rappresentino, - come le
vedrebbe un cieco che a un tratto ricevesse il dono della vista...
Ogni bravo artista si è sempre ricondotto il più possibile a questa condizione di visione infantile (15.27-28n). Paragonava, poi, egli stesso questa contemplazione della natura, e degli alberi e foglie in particolare, a una vera e propria lettura di…
…un bel linguaggio, scritto o espresso
per noi, non in lettere nere e spaventose, né in frasi monotone, ma in vaghe
forme verdeggianti e ombrose di parole intrecciate, e fiorite di spirito
brillante e fragrante, con mormorii saggi e discreti e con lieta morale (15.188).
Immagine,
parola e messaggio s’identificavano, dunque, nella sua concezione del processo
percettivo, come un tutto armonico, che mostra ancora una volta perché Ruskin usasse indifferentemente i due
termini poesia e pittura nella
sua discussione sullo stile del terzo volume dei Pittori Moderni, nel capitolo Of
the received opinions touching the Grand Style (5 .17-34), sua versione
originale dell’ut pictura poesis.
Sulla difficoltà del compito di insegnare a vedere non si faceva certo illusioni, ché, come aveva già detto nella lezione del 1858 ricordata prima…
...nulla
al mondo era così raro come la vera vista, nulla così difficile da conferire.
Era facile far sentire la gente, più difficile farla pensare, ma quasi
impossibile farla vedere (16.460).
Tuttavia,
come sempre, lo sorreggeva il fervore evangelico e rammentava a se stesso e
agli altri che, perfino tra i miracoli di nostro Signore, quello del donare la
vista era stato il solo a mostrarsi difficile o lento da attuare, come si legge
nel lungo sviluppo del Vangelo di Giovanni (IX. 1-41) e altrove, dove gli occhi
devono essere toccati da Gesù almeno due volte.
Ma lo
sforzo valeva in ogni caso la pena, perché
...il
potere che se ne otteneva, se di vera arte si trattava, era di conferire letteralmente
e veramente la vista, non a un solo cieco qui e là, ma a miriadi di persone; e
così, sfoggiando e svelando la gloria del creato, e dando la luce agli altri, meglio
si adempiva il comando dato a tutti gli uomini, di ‘camminare come i figli
della luce’ (Efesii, V 8) (16.458-60).
Con il sopravvento dell’impulso verso la discussione dei problemi sociali, economici e politici della seconda fase dell’opera critica del Ruskin, l’attenzione del saper vedere si sposta sempre più verso il saper leggere, sempre inteso anch’esso letteralmente come parte del primo e soprattutto come attenzione alla parola e all’arte letteraria quale suo prodotto.
L’interesse
per l’economia politica dell’arte, già sottinteso nelle opere precedenti agli
anni sessanta, si era manifestato fin dalle primissime prove poetiche
giovanili, come l’autore stesso ci ricorda in
Queen of the Air, e nella favola famosa The
King of the Golden River (1841), nei
Seven Lamps of Architecture (1849), e nel capitolo più celebre delle Pietre
di Venezia su La Natura del Gotico
(1853), fino a farsi più diffuso nel quinto ed ultimo volume dei Pittori Moderni (1860).
Nelle opere
che faranno seguito a questa, il tema socioeconomico e politico diventerà quello
predominante, così che nel cercare d’inquadrare in un’unica visione i problemi
estetici e quelli economici, s’inserirà anche la valutazione dell’opera
letteraria, come ad esempio nelle conferenze su The Politica! Economy of Art, ancora del 1857, e nei saggi di Munera
Pulveris (1862-63).
Il dato stilistico della semplicità e concisione, la conquista della precisione di osservazione ed espressione, vengono ormai anch’essi a far parte della lezione economica. La motivazione, per quanto concerne il valore delle opere d’arte, in confronto agli altri beni di consumo, risiede nel fatto che…
...le
cose che danno godimento intellettuale o emotivo si possono accumulare e non si
consumano; ma continuano a procurare nuovi piaceri e nuove capacità di dare piacere
ad altri. Queste, dunque, sono le sole cose che si possano ritenere come
produttrici di ‘ricchezza’ o di ‘benessere’ (The Politica! Economy of Art).
Per chi le produce, in campo letterario in particolare, la disciplina espressiva è il punto fondamentale della sua breve nota su L’economia della letteratura. Oltre al criterio, per così dire utilitario, già ricordato, del risparmiare le parole inutili, ché tanto il lettore le ignorerebbe comunque, vi è poi sempre la sovrana esigenza del vero, che trova un’altra motivazione ancora:
...in genere un fatto vero si può dire in modo semplice; e oggigiorno abbiamo bisogno di fatti più di ogni altra cosa.
Per
giungere a tali risultati, ribadiva per un altro verso il motivo del.. saper vedere per saper pensare…
Se (gli esseri umani) sapessero solo guardare le
cose invece di pensare a cosa devono essere, o fare una cosa, invece di pensare
che non si può farla, staremmo tutti molto meglio...
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