CHI DELLA FOLLA, INVECE,

CHI DELLA FOLLA, INVECE,
30 MAGGIO 1924

venerdì 27 agosto 2021

MORTE A VENEZIA (ovvero, un inatteso incontro!) (11)

 










Precedenti capitoli:


Negli stessi anni (8/10)


& la frutta degli alberi...


Prosegue con...:


Una protesta (12)


& i figli della nebbia


ovvero, il capitolo completo... (13)


& con lo sguardo dell'uomo (14)








Per inciso, detto fra noi, quali migliori esperti dell’Arte della  Natura, quali adoratori, effimeri contemplatori e cantori al di fuori d’ogni Secolo contato e numerato uguale a se medesimo, cultori della sacra divinazione da lei ispirata e tradotta, nonché dispensata ai pochi fra i molti disposti a difenderla e custodirne il segreto messaggio in lei celato, più antico d’ogni preghiera, giacché l’ammirarla quanto il pregarla quale immateriale Primo ricongiungimento ed atto all’Anima-Mundi consacrata, in accordo a quanto di Sacro ed inviolato, fedeli al suo Divino e più elevato Ideale, ci consacra Profeti (perseguitati) ricongiunti al Principio di un più probabile Dio (quale Creatore dell’arte della Natura nell’opera tradotta).  

 

Seppur riconosciuti, certamente come Lei esiliati e mutilati (talvolta o troppo spesso anche del suo quanto nostro ingegno derivato), sfruttati così come potrebbe esserlo ogni essere impropriamente nominato animale, ove perso Ragione Pensiero ed Intelletto, ammirarlo nell’acrobatico cantico, posato su un Ramo, su una Pietra, su un’ala che piano s’alza e impone allo strumento della Divina Coscienza, affinché l’Ala diventi penna dello strumento dell’Opera così perfetta.




Così parla pensa e compone un più alto e nobile Ingegno, al di fuori d’ogni sacro versetto, al di sopra d’ogni Verbo quale principio fattosi Legge d’uno strano ed improprio Dio che tutto vuol possedere e intendere nonché sottomettere all’umano volere.

 

Un Dio dell’uomo al quale opponiamo la retta comprensione della Sacra Divinità nel suo stesso nome.   

 

L’ammirai in quel dì di Venezia, maschera su maschera, costume di scena interpretata da un nobile buffone, pietra su pietra, tomba su tomba, altare su altare, ed ebbi modo in questa occasione di incontrare, seppur indirettamente attraverso voci di strada, l’americano approdato anche lui in nome dell’Arte da cui il costume con cui sono soliti indossare la vita come la divisa.

 

Seppure celebravano indistintamente la morte in vita.




La penna ci accomuna in questo strano intento rivolto all’Arte.

 

La sua fu prestata da un indiano il quale meditò pace per la propria Terra conquistata, adoperandosi allo spettacolo da fiera, certo la penna potrebbe mutare la propria natura in questa nuova grammatica tradotta dal bufalo, così da divenire la mia pena.

 

Tal pena tenderà, nel giudizio dell’artista cultore della Natura, a rinnovarsi, procedendo verso un difetto non solo grammaticalmente dedotto e da ogni dizionario storico ritratto come ben conservato, ma altresì tenderà a rinnovare quanto di Sacro in Lei riconosciamo.




 Mi astengo da ogni commento, in nome della stessa Arte indistintamente approdata in questa nobile quanto antica e unica Venezia, nel fare la guerra quanto nel custodirla per ogni pietra altare e chiesa, sia per il Cavaliere quanto lo scudiero con cui nobilita o mortifica l’arte della conquista non meno della civiltà così inscenata.

 

Però ammetto in cuor mio, ammirando ogni pietra divenuta ugual tomba del paladino quanto fossa profonda del fedele scudiero, di cui accumunati dalle nobili gesta ovvero dalla terra alla pietra, assommata alla Storia che li celebra  annovera e numera, mai ne rimembra il tanto troppo sangue approdato fin sull’altare, in nome di ugual ideale nominato sacrificio da cui le inutili umane gesta sempre tradotte in nome e per conto del loro Dio.




Certamente se solo lo avessero compreso forse neppure ci ricorderemo di loro, se solo avessero intuito il suo pensare creare e evolvere secondo i principi di una più elevata e ispirata Natura, certamente li tradurremmo su diverse strofe e rime a forma di Budda.    

 

 Giacché se non fosse questo il motivo mutilato, seppure benedetto ornato e ben conservato nella pietra consacrata ed elevata fin sulla cima della cupola, e non certo per ogni foglia o ramo da noi eretici difesa nel vero e più certo e Sacro Disegno di un più elevato Architetto, non innalzeremo il calice del Dio così propriamente o impropriamente pregato, e neppure vedremmo sgorgare il suo sangue così umiliato dal Golgota della prima e ultima parabola, quando in suo nome colora ogni fiume  inondando l’intera vallata.

 

Ed imbrattando l’intera tela dipinta così pregata!




 Il critico d’arte della Compagnia annovera penne ed eroi s’inchina all’arte della vita!  

 

I morti furono e sono talmente tanti che non basterebbero tutte le penne del bufalo per rincorrerli e contarli.

 

Neppure un toro se per questo, corre talmente di fretta con la pena fin giù la gola che resuscita come bava della terra che inonda il sacrificio in nome della terra.

 

Giacché le ragioni di ogni guerra quanto delle pietre che ne raccolgono le spoglie tenderanno ad esser ammirate quanto replicate (sino al Circolo d’ogni concordata replica in accordo con la parte offesa), nella differenza che la pietra di cui ammiro la viva stratigrafia fin sulla cima, nonché dipinta per renderla infinita al pari del Dio che così l’ha posta, tenderà a comporre una più nobile e più certa armonia.




 Ma sappiamo bene che l’arte, sia del cavaliere quanto del colonello, non meno della parte offesa in procinto di istintuale difesa che la inscena, seppur indistintamente posti nel circolo vizioso della Storia dispensandosi dal sangue della guerra, non  appartiene a questa prosa come alla tela che la rappresenta.

 

Dacché possiamo, armati di grande differenza d’animo, e seppure cantando ogni pietra così nobilmente edificata per ogni Chiesa e tomba ben conservata o da conservare ancora, fin nella fossa appestata ancor più profonda, che l’incontro porterà e gioverà al futuro d’ognuno, il quale preferisce l’Arte certamente più nobile della Natura rimembrandone le gesta, affinché ugual medesima Arte ne abbia e goda di insperato giovamento; giacché tutto ciò detto appartiene all’evoluzione, oppure se preferite, al piccolo canto di un fringuello appeso al suo ramo, il quale ha imparato a ringraziare il suo e l’altrui Dio, affinché ognuno goda dell’Alba quanto del tramonto del suo inno in ogni Opera creata…




Anche se preferiscono la delicatezza della piuma servita al banchetto ben condita al rogo della parola bandita quale migliore delizia… affogata nel vino novello in cui ammirare la strofa mutilata…

 

Oppure l’intero panorama…




 Come nello scrivere raccomandava la precisione e concisione, così nel disegno del vero raccomandava di cogliere quello che definiva la vital truth, la verità vitale...

 

nelle sue linee essenziali, che ne esprimono sempre la storia passata e la realtà presente ... In ogni onda o in una nuvola, queste linee essenziali mostrano il flusso della corrente e del vento, e quei mutamenti di forma, che l’acqua o il vapore subiscono a ogni istante, nel frangersi a riva, o contro un’opposta corrente, o dileguandosi al sole. Solo chi manca di sensibilità vede e disegna gli elementi naturali come se fossero fissi e immobili: l’uomo saggio vede in essi il mutamento e la mutabilità, e li ritrae così, -l’animale in moto, l’albero che cresce, la nuvola nel suo corso, il monte nel suo consumarsi (15.91).




Come illustrazione dava la descrizione di un pino a Sestri, vicino a Genova, con brevi schizzi schematici, che si rifanno al bellissimo e importante disegno completo dello stesso pino nella collezione di Oxford.

 

Dalla semplice osservazione di questo perenne mutare e della libertà della natura, traeva ispirazione per un vero inno alla libertà e varietà umana, ché…

 

 ...quella perpetua varietà, quel gioco e mutamento in gruppi di forme sono più essenziali perfino del loro essere soggetti a una grande legge che le governi: la legge è necessaria per la loro forza e perfezione, ma la differenza è indispensabile alla loro vita…

 

…così come lo è la libertà di espressione nella società umana.




Proprio in questo manuale di disegno per dilettanti, Ruskin, quasi per inciso, ma con estrema chiarezza, offriva, infine, con una formula felice la sua celebrata teoria dell’innocence of the eye (15.27n), come fondamento pragmatico della percezione. Veniva cosi a bilanciare le proprie affermazioni dell’anno precedente, con le quali in veste di critico d’arte, in Modern Painters 3, aveva messo in dubbio che quell’innocenza potesse esistere (5.357-5).

 

Egli esortava, invece, nel manuale, a ricrearla, se non la si possedeva, ché... tecnicamente tutta la forza della rappresentazione pittorica dipende dalla nostra capacità di ritrovare quella che si può definire l’innocenza dell’occhio; cioè una specie di percezione infantile di queste macchie piatte di colore, unicamente come tali, senza essere consci di cosa rappresentino, - come le vedrebbe un cieco che a un tratto ricevesse il dono della vista...




Ogni bravo artista si è sempre ricondotto il più possibile a questa condizione di visione infantile (15.27-28n). Paragonava, poi, egli stesso questa contemplazione della natura, e degli alberi e foglie in particolare, a una vera e propria lettura di…

 

…un bel linguaggio, scritto o espresso per noi, non in lettere nere e spaventose, né in frasi monotone, ma in vaghe forme verdeggianti e ombrose di parole intrecciate, e fiorite di spirito brillante e fragrante, con mormorii saggi e discreti e con lieta morale (15.188).

 

Immagine, parola e messaggio s’identificavano, dunque, nella sua concezione del processo percettivo, come un tutto armonico, che mostra ancora una volta perché Ruskin usasse indifferentemente i due termini  poesia e pittura nella sua discussione sullo stile del terzo volume dei Pittori Moderni, nel capitolo Of the received opinions touching the Grand Style (5 .17-34), sua versione originale dell’ut pictura poesis.




Sulla difficoltà del compito di insegnare a vedere non si faceva certo illusioni, ché, come aveva già detto nella lezione del 1858 ricordata prima…

 

 ...nulla al mondo era così raro come la vera vista, nulla così difficile da conferire. Era facile far sentire la gente, più difficile farla pensare, ma quasi impossibile farla vedere (16.460).

 

Tuttavia, come sempre, lo sorreggeva il fervore evangelico e rammentava a se stesso e agli altri che, perfino tra i miracoli di nostro Signore, quello del donare la vista era stato il solo a mostrarsi difficile o lento da attuare, come si legge nel lungo sviluppo del Vangelo di Giovanni (IX. 1-41) e altrove, dove gli occhi devono essere toccati da Gesù almeno due volte.

 

Ma lo sforzo valeva in ogni caso la pena, perché

 

 ...il potere che se ne otteneva, se di vera arte si trattava, era di conferire letteralmente e veramente la vista, non a un solo cieco qui e là, ma a miriadi di persone; e così, sfoggiando e svelando la gloria del creato, e dando la luce agli altri, meglio si adempiva il comando dato a tutti gli uomini, di ‘camminare come i figli della luce’ (Efesii, V 8) (16.458-60).




Con il sopravvento dell’impulso verso la discussione dei problemi sociali, economici e politici della seconda fase dell’opera critica del Ruskin, l’attenzione del saper vedere si sposta sempre più verso il saper leggere, sempre inteso anch’esso letteralmente come parte del primo e soprattutto come attenzione alla parola e all’arte letteraria quale suo prodotto.

 

L’interesse per l’economia politica dell’arte, già sottinteso nelle opere precedenti agli anni sessanta, si era manifestato fin dalle primissime prove poetiche giovanili, come l’autore stesso ci ricorda in Queen of the Air, e nella favola famosa The King of the Golden River (1841), nei Seven Lamps of Architecture (1849), e nel capitolo più celebre delle Pietre di Venezia su La Natura del Gotico (1853), fino a farsi più diffuso nel quinto ed ultimo volume dei Pittori Moderni (1860).

 

Nelle opere che faranno seguito a questa, il tema socioeconomico e politico diventerà quello predominante, così che nel cercare d’inquadrare in un’unica visione i problemi estetici e quelli economici, s’inserirà anche la valutazione dell’opera letteraria, come ad esempio nelle conferenze su The Politica! Economy of Art, ancora del 1857, e nei saggi di Munera Pulveris (1862-63).




Il dato stilistico della semplicità e concisione, la conquista della precisione di osservazione ed espressione, vengono ormai anch’essi a far parte della lezione economica. La motivazione, per quanto concerne il valore delle opere d’arte, in confronto agli altri beni di consumo, risiede nel fatto che…

 

 ...le cose che danno godimento intellettuale o emotivo si possono accumulare e non si consumano; ma continuano a procurare nuovi piaceri e nuove capacità di dare piacere ad altri. Queste, dunque, sono le sole cose che si possano ritenere come produttrici di ‘ricchezza’ o di ‘benessere’ (The Politica! Economy of Art).




Per chi le produce, in campo letterario in particolare, la disciplina espressiva è il punto fondamentale della sua breve nota su L’economia della letteratura. Oltre al criterio, per così dire utilitario, già ricordato, del risparmiare le parole inutili, ché tanto il lettore le ignorerebbe comunque, vi è poi sempre la sovrana esigenza del vero, che trova un’altra motivazione ancora:

 

 ...in genere un fatto vero si può dire in modo semplice; e oggigiorno abbiamo bisogno di fatti più di ogni altra cosa.

 

Per giungere a tali risultati, ribadiva per un altro verso il motivo del.. saper vedere per saper pensare…

 

Se (gli esseri umani) sapessero solo guardare le cose invece di pensare a cosa devono essere, o fare una cosa, invece di pensare che non si può farla, staremmo tutti molto meglio...


(Prosegue...)








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