Precedenti capitoli:
Nessuno mi vuole ammazzare (12-13/1)
Prosegue con...:
L'apparenza appena
impercettibile
dell'ombra delle Idee (15)
& la tirannide il peggiore
nemico (16/7)
Nella
Grecia arcaica, questi poeti o cantori folli
custodiscono un valore fondamentale per la sopravvivenza stessa della società:
conservano la memoria del gruppo affidata a un patrimonio di miti, racconti,
tradizioni sapienziali e forme espressive che costituiscono l’autentica storia
della comunità e che in assenza della scrittura vengono trasmesse
esclusivamente attraverso la parola poetica.
Alla follia - quella poetica - viene affidata sostanzialmente la memoria, prima che
la scrittura vinca la sua battaglia con la parola; essa si realizza nella
capacità di conservare, attraverso la recitazione dei miti poetici, l’identità
culturale della società.
Il nesso tra follia poetica, che conserva il passato, e follia profetica, proiettata sul futuro, è lucidamente intesa da Plutarco:
Guardate il potere dell’anima che sta sul
versante opposto della divinazione: la memoria. Che opera incredibile compie,
nel salvare e custodire le cose passate, che non esistono più, perché di quello
che è stato niente più rimane né sopravvive. Ogni cosa nasce e nello stesso
tempo si perde: le azioni, le parole, i sentimenti. Tutto il tempo travolge,
come un fiume vorticoso. Ma l’anima, non si sa come, riesce a fermare le cose
che non esistono più, e le riveste di vita, rendendole visibili […] le anime
hanno dentro di sé, innato, il furore profetico, e anche se questo potere
rimane nascosto e inattivo, a volte esse fioriscono e si accendono nei sogni e
alcune in punto di morte: forse perché allora il corpo si purifica o acquista
una disposizione particolare alla profezia […] la facoltà profetica è come una
tavoletta: senza scrittura, senza significati, senza una qualsiasi forma di
determinazione, ma capace di immaginazioni e presentimenti. Così s’impadronisce
del futuro senza che ci sia bisogno di razionalità, soprattutto quando,
distaccandosi dal presente, entra in stato di estasi. Allora accade, attraverso
un particolare adattamento del corpo a questa trasformazione, ciò che noi
definiamo entusiasmo.
(Plutarco, Il tramonto degli oracoli, 432 ad)
Quando si parla di follia poetica bisogna però specificarne la forma; un poeta di questa natura non è folle perché dice cose deliranti: al contrario, egli afferma esplicitamente di essere portatore di verità, come sostiene Esiodo all’inizio della Teogonia dove fa dire alle Muse che esse ‘conoscono molte bugie simili alla verità ma sanno quando vogliono dire il vero’; Empedocle nel proemio del suo poema Sulla natura (Peri physeos) prega gli dei di ‘stornare la pazzia (manien) dalla propria lingua’.
Non è folle
neppure dal punto di vista tecnico-espressivo, dal momento che possiede una
tecnica con un bagaglio rigoroso di formule, schemi espressivi e ritmici. È
folle per quanto attiene al momento dell’ideazione e dell’esecuzione, ossia
(per usare le parole di Platone) ‘quando entra nel ritmo e nell' armonia’, vale
a dire quando un profondo impulso psicologico innescato dall’esecuzione stessa
e dalla necessità di trasmettere il suo messaggio a un uditorio lo fa ‘vibrare
all’unisono’ (come dice un antico critico, l’Anonimo del Sublime) con la
materia del suo canto: solo quando egli entra in questo stato di profondo
turbamento psicosomatico e di alterazione della personalità è in grado di
trasmettere al suo uditorio il proprio materiale poetico.
L’Anonimo del Sublime adotta sostanzialmente lo
stesso sistema euristico di Platone: anche per lui, il poeta è un ispirato che
perde il controllo della mente, e l’emozione estetica dell’ascoltatore è un’esperienza
di perdita della coscienza e di profonda empatia psicologica con il poeta:
anche lui parla di estasi ed entusiasmo.
Questo tipo
di comunicazione, fondata sull’ascolto nel quadro di una performance orale e in
un contesto di civiltà in cui la comunicazione nei suoi vari aspetti avveniva
attraverso la parola e non la scrittura, è stata paragonata a una specie di
seduta sciamanica in cui l’anima del poeta vola
insieme alla sua materia, come vola quella dello sciamano alla ricerca di un
contatto con gli spiriti.
Un ulteriore parallelo è costituito dal fatto che
sia l’esecuzione di un rapsodo sia una seduta sciamanica danno luogo a uno
spettacolo nel quale pubblico e protagonista, all’unisono, subiscono una sorta
di ‘crisi della presenza’: l’uditorio è trascinato dalla parola del cantore in
uno stato di alienazione, una particolare condizione psicologica i cui tratti
più caratteristici sono il cedimento della dimensione logico-razionale della
mente, uno stato di provvisoria alienazione mentale in cui il pubblico s’identifica
totalmente col processo creativo dell’artista, una profonda commozione fatta di
sbigottimento (ékplexis) accompagnato da sensazioni di piacere e di entusiasmo
che soggiogano e trascinano la mente di chi ascolta.
Dal quale,
tra l’altro, il poeta [l’artista] si dissocia in quanto Eterno e/o Infinito,
rispetto al Tempo (dato), e ove lo stesso si frantuma e frammenta, in quanto
colto nella singolarità della propria prospettiva nel punto di fuga.
Ovvero ed ancor meglio, disquisiamo su due piani concettuali di opposti Tempi interpretativi relativizzati; mentre quello del ‘poeta’ (dell’artista) appartiene all’oblio del mondo Infinito dell’Universo approdato ed ‘incarnato’ (‘interpretato’), potremmo anche dire (ereticamente e/o filosoficamente), ‘subordinato’, ‘costretto’, alla materia geologica, con tutte le proprie tappe evolutive e interpretative d’una relativa ‘summa’ stratificata e approdate ad una futura curva; quello reale o normale (fisico per l’appunto, in cui tra l’altro, la materia sarà trasformata come sottoposta ad una diversa evoluzione, evoluzione immune dei tempi su cui costruita la nostra ‘dissociata’ metrica interpretativa), invece ed all’opposto, equivalente all’odierno, corrispondere ad una frammentata prospettica particella dell’insieme divenuto ‘materia’, posta alla (rigida) logica equazione fisica d’un primo Big-Bang da cui la vita, tradotta e compresa attraverso all’altrettanto logica frazione della stessa (non più, si badi bene, subordinata all’evento che tal principio ha innestato). Ovvero una (singola) frazione di quanto colto, diversa dalla ‘globale visione’ (e connessione da cui la detta o tradotta ‘possessione’ o ‘mania’) dall’oblio del genio poetico dissociata; quindi posta all’Indice del proprio Infinito Tempo interpretativo… e interpretato.
In realtà, sussiste un reale ‘dissociazione’ (purtroppo colta e esiliata nella frammentata patologia interpretativa qual secolare circostanza del Tempo dato), e di rimando, il risultato o equivalente umano, creerà (la relativa dissociazione circa…) il profeta (oppure l’eterno emarginato), nel momento stesso in cui lo dissocia, appunto, isolandolo (nella contraria prospettiva data dal Tempo posto in ugual medesimo Viaggio), dopo aver preso ‘successiva’ coscienza dei fatti ‘oracolarmente’ annunziati, esiliandolo, o peggio, non riconoscendo il dio o dèmone cui ispirato (anzi il più delle volte ponendo confusione dettata dall’urgenza dell’ignoranza, del resto Giuliano lamentava spesso ugual urgenza divenuta ‘favola’ data al popolo…) in nome e per conto della Dèa Natura!
Tenderà, nella predisposizione confacente alla limitata ‘natura umana’ a farne sacrificio. Posto su un piano non più ‘simmetrico’ alla Natura detta (interpretata dalla ‘materia’), semmai propensa a farla propria, quindi ridurla come oggettivarla, rimuovendo l’Infinito dalla materia, e quindi conferendo ‘prospettiva’ dal ‘punto di fuga’ rispetto alla ‘piatta icona’, ‘ridotta’ ai piani e termini d’una piatta materiale prospettiva umana; opposta al ‘poeta-oracolo-sciamano’, il quale invece, volge il proprio sguardo ai miti fondatori d’una diversa cultura e presa di coscienza della Natura, compresa ovviamente la propria…”
(Giuliano)
(G. Guidorizzi)
Un più che valido esempio….
QUESTIONE SECONDA
MERI Per adesso lascerò da parte gli asini: di questi
infatti si discuterà un’altra volta in modo più serio e ponderato. Ma questi figli di asini, ovvero muli, da quale tratto
caratteristico avrei potuto distinguerli?
CIRCE Questi sono coloro che erano tenuti in conto di
filosofi e di eloquenti: ma non erano né filosofi né eloquenti.
Sono coloro che, vantando in sé il poeta e l’oratore,
non erano nessuna delle due cose.
Sono quelli che si presentavano quasi sotto il titolo
di legisti e di scolastici: senza essere né gli uni né gli altri.
Sono quelli che si spacciavano per grammatici e discettatori:
il loro ingegno mostrava difetto in entrambe le arti.
Sono quelli che si dicevano mercanti e nobili: ma
finivano per incorrere in un genere di ignobilità meno evidente.
Sono quelli che si presentavano come togati e
armigeri: ma erano inadatti alla guerra e alle lettere.
Sono quelli che si presentavano per aulici e
religiosi: ma si comportavano come animali di genere eteroclito.
Sono quelli che si mostravano come belli e terribili:
ma non generavano né la femmina né il maschio.
Così anche adesso,
figli di una madre giumenta e di un padre asino, non sono né cavalli né asini:
e hanno il raglio mescolato al nitrito.
QUESTIONE TERZA
MERI Quale segno avrebbe potuto indicarmi i capri?
CIRCE O l’odore caprino, oppure il fatto che per tutto
il tempo in cui vivono continuano ad accoppiarsi. Ovvero da come esultano
quando vedono un compagno accoppiarsi con la loro femmina: allora per la gran
gioia saltellano e si dimenano come arieti.
QUESTIONE QUARTA
MERI In che modo avrei potuto scorgere le scimmie?
CIRCE O facendo attenzione proprio al loro naso,
oppure osservando come questi animali, benché si facessero attrarre da tutte le
discipline migliori, vale a dire dalla migliore poesia, ovvero sofia, ovvero
discorso eloquente, ovvero narrazione storica, nondimeno finivano per
comportarsi nel più infelice dei modi con ciascuna di queste. Voglio dire che
le avresti potute riconoscere da questo indizio, giacché tendendo al meglio
cadevano nel peggio. Lo stesso vedi accadere adesso, dal momento che queste
scimmie, pur imitando l’uomo, il più bello degli animali, proprio con un simile
comportamento si rendono massimamente deformi tra tutti i viventi.
MERI Nonostante che la scimmia sia bella alla
scimmia.
QUESTIONE QUINTA
MERI Come avresti fatto a distinguere dalle altre
questo secondo genere di scimmie?
CIRCE Questi animali - privi di qualsiasi utilità
nelle faccende serie e gravi - si rendevano graditi ai magnati adulandoli,
facendo gli istrioni e recitando la parte dei parassiti: anche adesso, giacché
non possono portare pesi insieme agli asini, marciare in guerra insieme ai
cavalli, arare insieme ai buoi, pascersi di cadaveri insieme ai porci non
servono ad altro che a far ridere.
QUESTIONE SESTA
MERI C’è, guarda presso la riva del fiume, anche un
terzo genere di scimmie che vive appartato: quale indizio era in grado di
rivelarlo?
CIRCE Era il vedere una stirpe di genitori barbari che
educava figli incolti, incivili, giacché per un affetto smodato e irragionevole
accettava con indulgenza i loro costumi: come vedi, adesso che hanno ripreso la
loro vera forma, questi animali uccidono i propri cuccioli abbracciandoli
troppo forte.
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