Penniwit, the Artist
I lost my
patronage in Spoon River
From trying
to put my mind in the camera
To catch
the soul of the person.
The very
best picture I ever took
Was of
Judge Somers, attorney at law.
He sat
upright and had me pause
Till he got
his cross-eye straight.
Then when
he was ready he said ‘all right’.
And I yell ‘overruled’,
and his eye turned up.
And I
caught him just as he used to look
When saying
‘I except’.
(E. L. Masters)
L’uomo nero
Amico mio,
amico mio,
Io sono
molto e molto malato!
Né io
stesso conosco
Da dove mai
mi venga questo male.
Forse è il
vento che fischia
Sopra il
campo deserto e desolato,
O forse,
come selva di settembre,
È l’alcool,
che i cervelli fa sfiorire.
Sventola la
mia testa le orecchie
Come un
uccello le ali,
Ma più non
è capace
Di reggersi
sul collo.
Un uomo
nero,
Nero, nero,
Un uomo
nero,
Si siede
sul mio letto,
Un uomo
nero,
Tutta la
notte non mi fa dormire.
L’uomo nero
Segue col
dito le righe d’un libro abietto.
E su di me
nasaleggiando
Come un
monaco sopra un defunto,
Mi legge la
vita
D’un
ribaldo ubriacone,
Angoscia e
paura nell’anima instillandomi.
L’uomo
nero,
Nero, nero.
‘Ascolta,
ascolta, -
Mi va
mormorando -
Ci sono nel
libro numerosi e bellissimi
Pensieri e
progetti.
Quest’uomo
Viveva nel
paese
Dei più
abominevoli
Scassinatori
e bricconi.
‘In quel
paese a dicembre
La neve è
diabolicamente pura
E le
tormente avviano
Allegri
filatoi.
Era
quell’uomo un avventuriero,
Ma di
elevata
E
sopraffina marca.
‘Era
elegante
E per
giunta poeta,
Seppur di
esile
Ma prensile
forza,
Ed una
certa donna
Di
quarant’anni e passa
Chiamava
sua diletta
E perfida
fanciulla.
‘La
felicità - diceva -
È la
destrezza di mente e di mani
Le anime
maldestre sono sempre passate
Tutte per
infelici.
Né ha
importanza
Se tante
sofferenze
Son
generate dai gesti
Strampalati
e bugiardi.
‘Fra
tempeste e bufere,
E dentro il
gelo quotidiano,
Nelle
crudeli perdite
E quando tu
sei triste,
Mostrarsi
sorridente e semplice
È la
suprema arte del mondo’.
‘Non osare
questo,
Uomo nero.
Tu non fai
certo
Il
palombaro di mestiere.
Che cosa
dunque m’importa
D’un poeta
scandaloso.
Leggi, per
favore,
Questo
racconto ad un altro’.
L’uomo nero
Mi scruta
fisso.
E gli si
velano gli occhi
D’un vomito
azzurrino:
Come
volesse dirmi
Che son
ladro e mariuolo
E,
svergognato e spavaldo,
Ho derubato
qualcuno.
… … … … … …
… . .
Amico mio,
amico mio,
Io sono
molto e molto malato.
Né io
stesso conosco
Da dove mai
mi venga questo male.
Forse è il
vento che fischia
Sopra il
campo deserto e desolato,
O forse,
come selva di settembre -,
È l’alcool,
che i cervelli fa sfiorire.
Notte di
gelo.
Assorta è
la pace al crocevia.
Sto solo
alla finestra,
Non
aspettando ospite né amico.
Di porosa e
soffice calce
È ricoperta
tutta la pianura,
E gli
alberi, come cavalieri,
Sono
accorsi a convegno nel giardino.
Piange da
qualche parte
Un sinistro
uccello notturno.
I cavalieri
di legno
Seminano un
ticchettare di zoccoli.
Ecco di
nuovo quella cosa nera
Che -
toltasi il cilindro e liberatasi
Con
negligenza della redingote -
Si siede
alla mia poltrona.
‘Ascolta,
ascolta! -
Mi dice
rauco, guardandomi in viso,
E sempre
più vicino
Chinandosi.
-
Non ho mai
visto
Alcun
gaglioffo
Inutilmente
soffrire
Tanta
stupida insonnia.
‘Ma
ammettiamo mi sbagli.
E già, c’è
adesso la luna.
E che
cos’altro occorre
A questo
mondiciattolo ebbro di sonnolenza?
Può darsi,
di nascosto
Giungerà
‹Lei›, dalle grosse cosce:
Le leggerai
allora
Una tua
qualche boccheggiante lirica?
‘Come amo i
poeti!
Che gente
divertente!
In loro
sempre trovo
La ben nota
al cuore storiella:
La
studentessa foruncolosa
Alla quale
parla dei mondi
Un
chiomatissimo mostro
Stremantesi
d’erotico languore.
‘Non so,
non ricordo…
In un
villaggio,
Credo a
Kaluga,
O piuttosto
a Riazan’,
In una
semplice
Famiglia
contadina
Un ragazzo
viveva,
Dagli occhi
azzurri e dai capelli gialli…
‘Divenne
adulto
E per
giunta poeta,
Seppur di
esile
Ma prensile
forza,
Ed una
certa donna
Di
quarant’anni e passa
Chiamava
sua diletta
E perfida
fanciulla’.
‘Uomo nero!
Sei un
ospite abominevole:
Da lungo
tempo
Lo si dice
ai quattro venti’.
Furiosamente
mi imbestio
E vola il
mio bastone
Diritto al
grugno suo,
Fra bocca e
naso…
… … … … … …
… …
… La luna è
morta,
Alla
finestra azzurreggia l’alba.
Ah, notte!
Che brutto
scherzo,
Notte,
m’hai tu giocato!
Io sto in
cilindro.
Non c’è
nessuno con me.
Sono solo,
Con lo
specchio in frantumi…
[1925]
(Sergej Aleksandrovic Esenin)
Nessun commento:
Posta un commento