CHI DELLA FOLLA, INVECE,

CHI DELLA FOLLA, INVECE,
30 MAGGIO 1924

domenica 25 dicembre 2022

BUONA NOTTE ALLA FALCE DELLA LUNA (una o due poesie per Natale)

 









Penniwit, the Artist

 

 

I lost my patronage in Spoon River

 

From trying to put my mind in the camera

 

To catch the soul of the person.

 

The very best picture I ever took

 

Was of Judge Somers, attorney at law.

 

He sat upright and had me pause

 

Till he got his cross-eye straight.

 

Then when he was ready he said ‘all right’.

 

And I yell ‘overruled’, and his eye turned up.

 

And I caught him just as he used to look

 

When saying ‘I except’.

 

(E. L. Masters)

 



 


 


 

L’uomo nero

 

 

Amico mio, amico mio,

 

Io sono molto e molto malato!

 

Né io stesso conosco

 

Da dove mai mi venga questo male.

 

Forse è il vento che fischia

 

Sopra il campo deserto e desolato,

 

O forse, come selva di settembre,

 

È l’alcool, che i cervelli fa sfiorire.

 

 

 

Sventola la mia testa le orecchie

 

Come un uccello le ali,

 

Ma più non è capace

 

Di reggersi sul collo.

 

Un uomo nero,

 

Nero, nero,

 

Un uomo nero,

 

Si siede sul mio letto,

 

Un uomo nero,

 

Tutta la notte non mi fa dormire.

 

 

 

L’uomo nero

 

Segue col dito le righe d’un libro abietto.

 

E su di me nasaleggiando

 

Come un monaco sopra un defunto,

 

Mi legge la vita

 

D’un ribaldo ubriacone,

 

Angoscia e paura nell’anima instillandomi.

 

L’uomo nero,

 

Nero, nero.

 

 

 

‘Ascolta, ascolta, -

 

Mi va mormorando -

 

Ci sono nel libro numerosi e bellissimi

 

Pensieri e progetti.

 

Quest’uomo

 

Viveva nel paese

 

Dei più abominevoli

 

Scassinatori e bricconi.

 

 

 

‘In quel paese a dicembre

 

La neve è diabolicamente pura

 

E le tormente avviano

 

Allegri filatoi.

 

Era quell’uomo un avventuriero,

 

Ma di elevata

 

E sopraffina marca.

 

 

 

‘Era elegante

 

E per giunta poeta,

 

Seppur di esile

 

Ma prensile forza,

 

Ed una certa donna

 

Di quarant’anni e passa

 

Chiamava sua diletta

 

E perfida fanciulla.

 

 

 

‘La felicità - diceva -

 

È la destrezza di mente e di mani

 

Le anime maldestre sono sempre passate

 

Tutte per infelici.

 

Né ha importanza

 

Se tante sofferenze

 

Son generate dai gesti

 

Strampalati e bugiardi.

 

 

 

‘Fra tempeste e bufere,

 

E dentro il gelo quotidiano,

 

Nelle crudeli perdite

 

E quando tu sei triste,

 

Mostrarsi sorridente e semplice

 

È la suprema arte del mondo’.

 

 

 

‘Non osare questo,

 

Uomo nero.

 

Tu non fai certo

 

Il palombaro di mestiere.

 

Che cosa dunque m’importa

 

D’un poeta scandaloso.

 

Leggi, per favore,

 

Questo racconto ad un altro’.

 

 

 

L’uomo nero

 

Mi scruta fisso.

 

E gli si velano gli occhi

 

D’un vomito azzurrino:

 

Come volesse dirmi

 

Che son ladro e mariuolo

 

E, svergognato e spavaldo,

 

Ho derubato qualcuno.

 

… … … … … … … . .

 

Amico mio, amico mio,

 

Io sono molto e molto malato.

 

Né io stesso conosco

 

Da dove mai mi venga questo male.

 

Forse è il vento che fischia

 

Sopra il campo deserto e desolato,

 

O forse, come selva di settembre -,

 

È l’alcool, che i cervelli fa sfiorire.

 

 

 

Notte di gelo.

 

Assorta è la pace al crocevia.

 

Sto solo alla finestra,

 

Non aspettando ospite né amico.

 

Di porosa e soffice calce

 

È ricoperta tutta la pianura,

 

E gli alberi, come cavalieri,

 

Sono accorsi a convegno nel giardino.

 

 

 

Piange da qualche parte

 

Un sinistro uccello notturno.

 

I cavalieri di legno

 

Seminano un ticchettare di zoccoli.

 

Ecco di nuovo quella cosa nera

 

Che - toltasi il cilindro e liberatasi

 

Con negligenza della redingote -

 

Si siede alla mia poltrona.

 

 

 

‘Ascolta, ascolta! -

 

Mi dice rauco, guardandomi in viso,

 

E sempre più vicino

 

Chinandosi. -

 

Non ho mai visto

 

Alcun gaglioffo

 

Inutilmente soffrire

 

Tanta stupida insonnia.

 

 

 

‘Ma ammettiamo mi sbagli.

 

E già, c’è adesso la luna.

 

E che cos’altro occorre

 

A questo mondiciattolo ebbro di sonnolenza?

 

Può darsi, di nascosto

 

Giungerà ‹Lei›, dalle grosse cosce:

 

Le leggerai allora

 

Una tua qualche boccheggiante lirica?

 

 

 

‘Come amo i poeti!

 

Che gente divertente!

 

In loro sempre trovo

 

La ben nota al cuore storiella:

 

La studentessa foruncolosa

 

Alla quale parla dei mondi

 

Un chiomatissimo mostro

 

Stremantesi d’erotico languore.

 

 

 

‘Non so, non ricordo…

 

In un villaggio,

 

Credo a Kaluga,

 

O piuttosto a Riazan’,

 

In una semplice

 

Famiglia contadina

 

Un ragazzo viveva,

 

Dagli occhi azzurri e dai capelli gialli…

 

 

 

‘Divenne adulto

 

E per giunta poeta,

 

Seppur di esile

 

Ma prensile forza,

 

Ed una certa donna

 

Di quarant’anni e passa

 

Chiamava sua diletta

 

E perfida fanciulla’.

 

 

 

‘Uomo nero!

 

Sei un ospite abominevole:

 

Da lungo tempo

 

Lo si dice ai quattro venti’.

 

Furiosamente mi imbestio

 

E vola il mio bastone

 

Diritto al grugno suo,

 

Fra bocca e naso…

 

… … … … … … … …

 

… La luna è morta,

 

Alla finestra azzurreggia l’alba.

 

Ah, notte!

 

Che brutto scherzo,

 

Notte, m’hai tu giocato!

 

Io sto in cilindro.

 

Non c’è nessuno con me.

 

Sono solo,

 

Con lo specchio in frantumi…

 

[1925]

 

(Sergej Aleksandrovic Esenin)









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