CHI DELLA FOLLA, INVECE,

CHI DELLA FOLLA, INVECE,
UN LIBRO ANCORA DA SCRIVERE: UPTON SINCLAIR

martedì 6 dicembre 2022

NEL MEZZO DEL DIALOGO, ovvero, VOLETE VEDERE COME OPERIAMO?.... (4)

 









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di uno e più Dialoghi  [3] 








l'Indagine prosegue (5) 







...con l'Arca o 


il Capitolo al completo!







AI NAVIGANTI  Il 1816 è conosciuto come “l’anno senza estate”. A causa dell’eruzione del vulcano Tamboro in India e delle polveri penetrate nella stratosfera, i mesi estivi furono freddi e spesso piovosi. In quell’estate vide la luce….

 

Ci è capitato un caso così strano che non posso far a meno di raccontartelo, anche se è molto probabile che mi rivedrai prima che queste righe ti giungano.

 

Lunedì scorso, eravamo quasi completamente circondati dai ghiacci che serravano la nave da tutti i lati lasciando a stento libero il tratto di mare sul quale galleggiavamo. La nostra situazione era piuttosto rischiosa, anche perché eravamo avvolti da una fitta nebbia. Di conseguenza ci mettemmo alla cappa sperando in un mutamento di tempo e visibilità.




Verso le due la nebbia si sollevò e scorgemmo distendersi in tutte le direzioni ampie e irregolari pianure di ghiaccio, senza fine. Alcuni miei compagni ebbero un gemito e anch’io cominciavo a provare una certa ansietà quando, d’un tratto, uno strano spettacolo attrasse la nostra attenzione, distogliendola dai nostri problemi. Distinguemmo un piccolo veicolo, fissato su una slitta trainata da cani, che procedeva verso nord, alla distanza di mezzo miglio.

 

Un essere che aveva l’aspetto umano, ma era di statura gigantesca, sedeva sulla slitta e guidava i cani. Osservammo la rapida corsa del viaggiatore con i nostri cannocchiali, finché scomparve tra le anfrattuosità del ghiaccio. Quest’apparizione ci provocò un enorme stupore. Noi eravamo, o così credevamo, a centinaia di miglia dalla terra più vicina, ma la figura intravista pareva indicare che non eravamo forse distanti come avevamo ritenuto. Bloccati dal ghiaccio, ci era impossibile seguirne la traccia che avevamo osservato con estrema attenzione.

 

Circa due ore dopo avvertimmo un sommovimento del mare e prima che fosse notte il ghiaccio si ruppe. La nave era libera. Rimanemmo tuttavia alla cappa fino al mattino, per timore di scontrarci nel buio con uno di quei massi di ghiaccio che vanno alla deriva quando il pack si spezza. Ne approfittai per riposare qualche ora.




Al mattino, non appena vi fu luce, salii sul ponte e trovai tutti i marinai affollati su un lato della nave: sembravano parlare con qualcuno in mare. C’era in effetti una slitta simile a quella del giorno prima, che era stata trascinata verso di noi durante la notte su un largo lastrone di ghiaccio. Solo uno dei cani era vivo, ma sulla slitta c’era un essere umano che i marinai cercavano di convincere a salire sul vascello. Non era un selvaggio abitante di isole sconosciute, come l’altro viaggiatore, ma un europeo. Quando fui sul ponte il nostromo disse: ‘Ecco il nostro capitano. Non permetterà che la morte vi sorprenda in mare aperto!’.

 

Nel vedermi lo sconosciuto mi parlò in inglese, anche se con accento straniero: ‘Prima che io salga a bordo volete avere la cortesia di informarmi sulla vostra direzione?’.

 

Puoi immaginare la mia sorpresa nel sentirmi fare una simile domanda da un uomo sull’orlo dell’abisso. Avrei immaginato che la mia nave fosse l’estrema occasione per un naufrago, da non scambiare con tutte le ricchezze di questa terra. Gli risposi comunque che eravamo in viaggio di scoperta verso il Polo Nord.

 

Udendo ciò apparve soddisfatto e acconsentì all’invito di salire a bordo. 


Buon Dio, Margaret! 




Se tu avessi visto l’uomo che aveva così mercanteggiato la sua salvezza, la tua meraviglia sarebbe stata senza limiti: gli arti erano quasi congelati e il suo corpo incredibilmente emaciato per lo sfinimento e la sofferenza. Non avevo mai visto un essere umano in condizioni così disastrose. Cercammo di trasportarlo in cabina, ma quando fu all’interno svenne. Lo riportammo sul ponte, cercando di rianimarlo frizionandolo con del brandy e inducendolo a inghiottirne qualche sorso. Non appena diede segni di vita lo avvolgemmo in coperte e lo sistemammo presso la stufa della cucina. A poco a poco si rianimò e mangiò un po’ di minestra che lo ristorò immediatamente.

 

Trascorsero due giorni prima che fosse in grado di parlare, e spesso temetti che avesse perduto la ragione per i patimenti subiti. Quando si fu un po’ ripreso lo portai nella mia cabina e ne ebbi cura, per quanto i miei impegni me lo permettevano. Non ho mai visto un individuo così interessante. I suoi occhi hanno un’espressione selvaggia e addirittura folle, ma ci sono momenti in cui, se qualcuno accenna a un atto di gentilezza o gli rende un favore, anche minimo, tutto il volto gli si illumina come di un raggio di benevolenza e dolcezza quale non ho visto mai. Più spesso è malinconico, disperato, e a volte digrigna i denti, come schiacciato dal peso di un dolore insostenibile.




Quando lo sconosciuto fu in grado di camminare, non mi fu facile tenere lontani gli uomini che ardevano dalla voglia di fargli mille domande. Non potevo permettere che venisse tormentato da futili curiosità perché nel suo stato fisico e mentale la guarigione dipendeva dall’assoluto riposo. Una volta però il secondo gli chiese come mai si fosse spinto così lontano, sui ghiacci e su un così strano veicolo.

 

All’improvviso assunse un’espressione profondamente desolata e replicò: ‘Per prendere qualcuno che mi sfugge!’.

 

‘L’uomo che inseguivate viaggia su una slitta come la vostra?’.

 

‘Sì’.

 

‘Allora ho l’impressione che l’abbiamo visto, il giorno prima di raccogliervi. Avvistammo dei cani che trascinavano attraverso i ghiacci una slitta su cui c’era un uomo’.




La rivelazione scosse lo straniero. Cominciò a fare domande su domande circa la direzione presa da quel demonio, così lo definiva. Poi, quando fummo soli, disse:

 

‘Senza dubbio ho suscitato la vostra curiosità, come quella di questa brava gente. Ma voi siete troppo discreto per fare domande’.

 

‘Certamente, sarebbe inopportuno e inumano da parte mia affaticarvi con un interrogatorio!’.

 

‘Però mi avete tratto da una situazione strana e pericolosa. Mi avete benevolmente riportato alla vita!’.

 

Poco dopo mi chiese se a mio parere la rottura dei ghiacci avesse distrutto l’altra slitta. Replicai che non ero in grado di rispondere con sicurezza perché il ghiaccio non si era spezzato fino a mezzanotte e il viaggiatore poteva nel frattempo aver raggiunto un riparo.

 

Non potevo dare un giudizio certo.




Da quel momento un nuovo soffio di vita ha rianimato le membra affrante dello sconosciuto. Mi ha chiesto con insistenza di salire sul ponte per vedere se la slitta fosse ricomparsa, ma l’ho persuaso a rimanere in cabina perché era ancora debole e non avrebbe potuto sostenere l’aria gelida. Gli ho promesso che qualcuno resterà in vedetta per lui e lo avvertirà immediatamente se dovesse apparire qualcosa.

 

Questa la cronaca, fino a oggi, della strana vicenda occorsami.

 

Lo straniero migliora, ma è molto taciturno e sembra a disagio quando qualcuno che non sia io entra in cabina. Per altro i suoi modi sono così affabili e gentili che tutti i marinai si preoccupano per lui, anche se hanno avuto ben pochi contatti. Quanto a me, comincio a volergli bene come a un fratello e il suo sordo e profondo dolore mi suscita simpatia e partecipazione. Deve essere stato davvero una nobile creatura nei suoi giorni migliori se anche ora, nella disgrazia, è così affascinante e amabile.




Ti dissi in una lettera, cara Margaret, che non avrei trovato amici sul vasto oceano; ora ho trovato un uomo che sarei stato felice di avere come fratello d’elezione, prima che la sventura fiaccasse il suo spirito. Continuerò a intervalli il mio resoconto sullo straniero se avrò nuovi fatti da raccontare.

 

Disprezzava le finalità della moderna filosofia naturale. Era ben diverso quando i maestri della scienza ricercavano immortalità e potere; questi obiettivi, seppure vani, erano grandiosi; ma adesso la scena era mutata. L’ambizione dei ricercatori sembrava limitarsi all’annullamento di quelle visioni sulle quali si fondava il mio interesse per le scienze. Mi si chiedeva di scambiare chimere di illimitata grandezza con realtà di poco valore.

 

Questi i miei pensieri per i primi due o tre giorni trascorsi a Ingolstadt, che furono dedicati a familiarizzare con i luoghi e le persone più interessanti della mia nuova residenza. Ma all’inizio della settimana successiva ripensai alle informazioni che il signor Krempe mi aveva dato circa le lezioni. E, benché non intendessi affatto andare ad ascoltare le concioni di quell’ometto borioso, ricordai ciò che mi aveva detto di Waldman, che ancora non avevo incontrato poiché era stato fuori città.




Spinto in parte dalla curiosità e in parte dal non aver nient’altro da fare, andai nell’aula dove quasi subito arrivò il signor Waldman. Questi era totalmente diverso dal collega. Sembrava sulla cinquantina: il suo volto esprimeva grande bonomia; radi capelli grigi gli coprivano le tempie, mentre quelli sulla nuca erano quasi neri. Era basso di statura ma con il portamento eretto, e la sua voce era la più dolce che avessi mai udito. Cominciò la lezione ricapitolando la storia della chimica e dei progressi compiuti da diversi studiosi, e pronunciava i nomi dei più eminenti tra costoro con grande fervore.

 

Quindi compì un rapido giro di orizzonte sullo stato presente della scienza spiegando una buona parte della terminologia più elementare. Dopo avere compiuto alcuni esperimenti introduttivi concluse con un panegirico della chimica moderna, le cui espressioni non dimenticherò mai più:

 

‘Gli antichi maestri di questa scienza’,

 

disse,

 

‘promisero l’impossibile e non giunsero a nulla…




I moderni maestri promettono davvero poco; sanno che i metalli non possono essere trasmutati e che l’elisir di lunga vita è una chimera. Ma questi filosofi, le cui mani sembrano fatte solo per frugare nel fango, i cui occhi sembrano fissarsi solo sul microscopio, o sul crogiuolo, hanno compiuto miracoli. Essi penetrano nei recessi della natura e ne rivelano l’opera segreta. Si librano verso il cielo; hanno scoperto la circolazione del sangue e la natura dell’aria che respiriamo. Hanno acquisito nuovi e quasi illimitati poteri, possono comandare al fulmine nel cielo, simulare il terremoto e prendersi gioco del mondo invisibile con le sue ombre’.

 

Tali furono le parole pronunciate dal professore o piuttosto, lasciatemelo dire, scagliate dal fato per la mia rovina.

 

Mentre lui proseguiva io provavo la sensazione che la mia anima stesse lottando contro un nemico in carne e ossa. Uno dopo l’altro venivano toccati i meccanismi che formavano il mio essere, tutte le corde della mia mente vibravano e presto in me non ci fu che un pensiero, un’idea, uno scopo. Molto è stato fatto – gridava l’anima di Frankenstein – ma molto, molto di più farò io!




Ripercorrendo le strade già battute mi farò pioniere di una nuova via, esplorerò forze sconosciute e svelerò al mondo i misteri insondabili della creazione.

 

Quella notte non chiusi occhio.

 

Tutto il mio essere era in preda all’agitazione e al tumulto. Sapevo che ne sarebbe nato un nuovo ordine ma non era in mio potere produrlo.

 

(M. Shelley)                      

 

 

Contro ogni forma di tortura sia antica che moderna, per ogni Essere vivente! 

 

L’INDAGINE PROSEGUE...







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