CHI DELLA FOLLA, INVECE,

CHI DELLA FOLLA, INVECE,
UN LIBRO ANCORA DA SCRIVERE: UPTON SINCLAIR

sabato 13 luglio 2013

DESIDERIO DI CARNE (21)













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Fra Ubertino Da Casale (20)

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desiderio di carne (22)










.... Quando una regola monastica consente (o addirittura impone) l'utilizzo
della carne per ricostituire le forze di un fratello malato, indebolito nel cor-
po, è evidente la condivisione di valori con la cultura del tempo: la carne
è l'elemento ideale per nutrire il corpo, quello che, ripetiamo con Aldobran-
dino, 'lo ingrassa e gli dà forza' (proprio per questo, rinunciarvi è la scelta
paradossale di chi rifiuta le ragioni del corpo in favore di quelle dello spiri-
to: ma talvolta le prime non lasciano scampo).




Se - per assurdo - esistesse una regola monastica di età romana, la rinun-
cia alla forza fisica si tradurrebbe piuttosto nella rinuncia al pane (primo a-
limento dei soldati romani); il recupero di quelle forze, nel ricominciare a
mangiarlo.
Se quel ruolo ora è della carne, è anche perché i parametri di valutazione
nutrizionale si sono rovesciati. Inoltre, è tipicamente medievale il ragiona-
mento sottile che sostiene la rinuncia alla carne.




Se il vegetariano classico - Pitagora, Plutarco, tanti altri - evitava la carne
come ricettacolo di malvagità, vuoi perché implicava un gesto di uccisione,
vuoi perché rappresentava la corruttibilità terrena dell'essere umano, il ve-
getariano cristiano evita la carne per una pratica di 'penitenza': rinuncia a
un bene, non a un male.
Sottesa alla scelta è la convinzione, ampiamente diffusa e condivisa dalla
cultura medievale, che la carne sia il massimo piacere gastronomico, il
'piacere della carne' per eccellenza.




L'immagine funziona sul piano simbolico (la carne che nutre la carne) ma
ciò presuppone che funzioni sul piano della dietetica e del gusto. La carne
è il cibo più adatto a nutrire l'uomo.
La carne è il cibo migliore e più buono.
Questi giudizi, che i testi monastici ci consegnano assieme alla stigmatiz-
zazione del consumo di carne, sono figli del loro tempo. Anche l'astinenza
quaresimale, come pratica di penitenza imposta dalla Chiesa nei quaran-
ta giorni che precedono la Pasqua, rientra perfettamente nel quadro che
abbiamo tracciato.




In qualche modo essa rappresenta l'estensione all'intero corpo dei fedeli -
pur se limitata nel tempo - del modello alimentare monastico, e ancora una
volta conferma l'immagine alta, che si ha di quel cibo.
Se un'astinenza deve avere valore di merito, la cosa da cui ci si astiene de-
ve essere oggetto di desiderio. Non per nulla l'astinenza dalla carne va di
pari passo, nella normativa quarisemale come nelle scelte di vita monastica,
con l'astinenza della sessualità.




Da questo punto di vista i 'piaceri della carne' - o la rinuncia a essi - si inse-
guono l'un l'altro, con un gioco di parole che non è solo linguistico, ma riflet-
te anche una precisa cultura dietetica, che affida alla carne-alimento la fun-
zione, tra le altre, di stimolare la carne-corpo, cioè la sessualità....
(Prosegue....)












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