Prosegue in:
Brevi riflessioni (2)
Sono molti i pazienti colti che rifiutano categoricamente di andare dal
religioso…
Dei filosofi poi non vogliono nemmeno sentir parlare, perché la storia
della filosofia li lascia freddi e l’intellettualismo è per loro più arido del
deserto. E dove sono i grandi saggi, che non si limitano a parlare del
significato della vita e del mondo, ma lo possiedono davvero?
Non è assolutamente possibile escogitare sistemi e verità capaci di
dare al malato quello di cui ha bisogno per vivere, cioè fede, speranza, amore
e conoscenza. Queste quattro massime acquisizioni, mèta del desiderio umano,
sono altrettante grazie che non si possono né insegnare né apprendere, né dare
né prendere, né trattenere, né meritare, poiché sono legate a una condizione
irrazionale, sottratta all’arbitrio umano, cioè all’esperienza.
Ma le esperienze non si possono mai ‘fare’: accadono; per fortuna non
in senso assoluto, bensì relativo. E’ possibile avvicinarsi a loro, sono alla
nostra portata umana. Esistono vie che conducono in prossimità dell’esperienza,
ma dovremmo guardarci dal chiamarle ‘metodi’, perché questo ha un effetto
letale; inoltre, la via verso l’esperienza non è affatto uno stratagemma, bensì
un rischio che esige l’incondizionato impegno dell’intera personalità.
Le esigenze terapeutiche ci creano un problema e un ostacolo
apparentemente insormontabile. Come possiamo aiutare un’anima sofferente a
raggiungere l’esperienza redentrice dalla quale le dovranno venire i quattro
grandi carismi e che dovrà guarire i suoi mali? Pieni di buone intenzioni, noi
consigliamo il malato dicendogli: ‘Dovresti avere il vero amore o la vera fede
o la vera speranza’, oppure: ‘Conosci te stesso’.
Ma da dove il malato deve prendere come premessa proprio quello che gli
è possibile ricevere soltanto come conseguenza?
Saulo non deve la sua conversione né al vero amore né alla vera fede né
a una qualunque verità; è stato soltanto il suo odio verso i cristiani a
condurlo sulla via di Damasco e quindi a quell’esperienza che doveva essere
decisiva per la sua vita. Egli ha vissuto con convinzione il suo peggiore
errore; da ciò deriva la sua esperienza.
Si apre qui una problematica della vita che non sarà mai presa troppo
sul serio; si pone qui per lo psicologo un problema che lo mette in stretto
contatto con il direttore spirituale. Veramente il problema di colui che soffre
nell’anima riguarderebbe molto più il direttore spirituale che non il medico;
ma il malato, nella maggioranza dei casi, consulta prima il medico, perché
ritiene di essere malato fisicamente e perché certi sintomi nevrotici possono
essere almeno attenuati con le medicine.
D’altra parte, mancano di solito al direttore spirituale le cognizioni
che lo renderebbero atto a penetrare i recessi psichici della malattia, nonché
l’autorità necessaria per convincere il malato che il suo è un male psichico.
Ci sono però anche malati che, pur conoscendo con molta precisione la natura
psichica della loro sofferenza, si rifiutano di rivolgersi a un direttore
spirituale perché non lo credono capace di aiutarli efficacemente.
Tali malati hanno la stessa sfiducia verso i medici, e a ragione,
poiché, a dire il vero, medico e direttore spirituale stanno davanti a loro a
mani vuote se non, quel che è peggio, con parole vuote. Che il medico non
sappia dire niente di definitivo sulle supreme domande della psiche è naturale;
il malato dovrebbe aspettarsi la risposta non dal medico, ma dal teologo.
Ma il direttore spirituale protestante si trova talvolta confrontato
con un compito pressoché impossibile, perché deve fare i conti con difficoltà
da cui è esente il sacerdote cattolico, che prima di tutto è sostenuto
dall’autorità della Chiesa, e si trova poi in una posizione sociale ben
altrimenti sicura e indipendente da quella del pastore protestante,
eventualmente sposato, appesantito dalla responsabilità di una famiglia e che,
se le cose vanno male, non può aspettarsi di essere accolto da un convento o da
un monastero.
Se poi il sacerdote è un gesuita, beneficia dell’educazione psicologica
più moderna. So per esempio che a Roma i miei scritti sono stati sottoposti a
serio studio molto prima che nel mondo protestante qualche teologo li abbia
degnati di un’occhiata.
Viviamo tempi difficili….
La defezione dalla Chiesa protestante in Germania non è che un sintomo;
ce ne sono molti altri che potrebbero mostrare al teologo che l’uomo moderno
attende ben altro che il solo consiglio di credere o di darsi ad attività
caritatevoli. Il fatto che molti teologi ricerchino un appoggio psicologico o
un aiuto pratico nella teoria sessuale o nella teoria della potenza di Adler fa
una strana impressione, poiché entrambe le teorie sono, in fin dei conti,
ostili allo spirito, essendo psicologie senza psiche, metodi razionalistici che
addirittura impediscono il manifestarsi dell’esperienza spirituale.
La grande maggioranza degli psicoterapeuti è formata da seguaci di
Freud o di Adler, e questo significa che la grande maggioranza dei pazienti è
necessariamente avulsa da una visione spirituale della vita. Chi ha a cuore il
destino della psiche non può restare indifferente davanti a questo fatto.
L’ondata psicologica che attualmente sommerge i paesi protestanti d’Europa è
lontana dallo scemare e va di pari passo con l’abbandono in massa della Chiesa.
Cito le parole di un direttore spirituale protestante: ‘Oggigiorno si
va dal medico della psiche anziché dal direttore spirituale’.
Sono convinto che questa affermazione vada limitata a un pubblico
relativamente colto e non valga per la massa. Non bisogna però dimenticare che
occorrono circa vent’anni perché la massa pensi quel che pensa oggi la persona
istruita.
Vorrei che si riflettesse a quanto segue: negli ultimi trent’anni una
clientela proveniente da tutti i paesi civili della terra è venuta a
consultarmi; mi sono passate per le mani molte centinaia di pazienti, per la
maggior parte protestanti, in minor numero ebrei; cattolici praticanti non sono
stati più di cinque. Fra tutti questi pazienti al di sopra della mezza età,
cioè al di sopra dei 35 anni, non ce n’è stato uno solo il cui problema
sostanziale non fosse quello del suo atteggiamento religioso.
In definitiva tutti si ammalano perché hanno perduto ciò che le
religioni vive di tutti i tempi hanno dato ai loro fedeli; e nessuno guarisce
veramente se non riesce a raggiungere un atteggiamento religioso.
Naturalmente questo non ha nulla a che vedere con la confessione di una
fede o l’appartenenza a una chiesa. Per il direttore spirituale si apre qui un
campo immenso; ma sembra quasi che nessuno se ne sia ancora accorto. Né sembra
che il pastore protestante di oggi sia sufficientemente preparato a far fronte
alla poderosa sollecitazione odierna in campo spirituale.
Sarebbe più che ora che il direttore spirituale o lo psicoterapeuta si
dessero la mano per assolvere questo compito gigantesco. Vorrei mostrare con un
esempio quanto sia attuale questo problema….
(Prosegue....)
(Prosegue....)
Nessun commento:
Posta un commento