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il senso del 'Viaggio' (93)
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Contro la politica di 'Giulio' (95)
Fisicamente, Erasmo non aveva nulla di suggestivo. Era piccolo,
fragile, esangue. Sul suo volto emaciato, malinconico e assorto – il volto
dell’intellettuale – facevano spicco un lungo naso a becco e gli occhi azzurri,
vivaci e inquieti.
Non si era mai sposato, forse per egoismo, forse per bisogno di libertà
e di raccoglimento. E pur trovandosi a suo agio nel lusso delle case altrui,
quella sua la preferiva semplice, come del resto erano i suoi gusti.
Soffriva d’insonnia, e forse questo è il segreto della sua meravigliosa
produzione, sebbene una congenita debolezza di stomaco l’obbligasse a una dieta
rigorosa, detestava i digiuni e rifiutava il pesce anche nei giorni di magro.
Probabilmente, dice Durant, fu la sua bile a colorare la sua teologia.
In compenso beveva molto vino e lo sopportava benissimo: nessuno lo
vide mai ubriaco. Diceva d’infischiarsi del denaro e forse è vero nel senso che
non cercò mai di accumularne. Ma quando ne aveva bisogno – e gli succedeva
spesso -, non si vergognava di chiederne a dritta e a manca.
Anche della gloria diceva d’infischiarsi, ma non perdonava a chi non
gliela riconosceva. Chiunque gli rendesse servizio poteva contare sulla sua
ingratitudine, e in alcune occasioni si dimostrò spietato, e perfino cinico,
come quando, alla notizia che alcuni eretici erano stati bruciati, esclamò:
‘Che noia, questi roghi! Proprio ora che siamo alle porte dell’inverno,
rischiamo di far rialzare il prezzo della legna!’.
Il tratto più caratteristico del suo talento era una straordinaria
capacità di concentrazione. All’opposto di Leonardo, i suoi interessi erano
limitatissimi. Questo instancabile viaggiatore non si fermò mai ad ammirare
l’architettura di una basilica, un affresco di Raffaello, una statua di Michelangelo
o di Donatello; non sapeva nulla di scienza, sorrideva dell’astronomia, non
riuscì mai a convincersi che la terra fosse rotonda, e ai concerti si annoiava
mortalmente.
Le uniche sue passioni erano la letteratura e la filosofia classiche.
Non che le conoscesse a fondo, o per lo meno in estensione. Leggeva il greco
con fatica, di ebraico sapeva poche parole appena. Ma era uno di quei filologi
che, sorretti da un gusto e da un intuito infallibili, riescono a penetrare
anche ciò che non riescono a leggere.
Spesso citava a memoria, senza troppo curarsi dell’esattezza. Nella sua
traduzione del Nuovo Testamento, gl’inveleniti teologi contarono 4000 errori.
Ma nessuno di loro sarebbe stato e fu mai in grado di dare a un testo biblico
la splendida forma che gli diede Erasmo e di affezionarvi la massa dei lettori.
Di questi lettori c’è da stupirsi che Erasmo riuscisse ad averne tanti,
e così entusiasti pur scrivendo in latino, cioè in una lingua che, ormai non
più ‘parlata’, anche letteralmente cominciava a cedere il posto a quelle
volgari, dalle quali Erasmo non fu mai tentato. Egli maneggiava malissimo non
solo il francese e l’inglese, ma anche il fiammingo. In compenso però il suo
latino era un modello, e non d’imitazione.
Se la struttura del periodo era classicamente ciceroniana, dentro
c’erano uno spirito, un’originalità, un’immediatezza, che avevano il potere di
trasformare quella lingua in una lingua viva, più viva di quella del Petrarca.
Questo fu il primo motivo del suo successo di scrittore, ma non solo.
La verità è che Erasmo, più che un grande erudito e profondo pensatore,
fu un magnifico, inimitabile giornalista, che ‘sentiva’ il pubblico e
rispondeva puntualmente alle sue aspettative. Poteva sbagliare l’impostazione o
la soluzione di un problema, ma mai il ‘tempo’ di affrontarlo.
Il giubilo con cui nella stamperia di Manunzio assiste, fra torchi e
inchiostri, alla nascita della pagina, l’impazienza con cui ne sollecita la
composizione per paura ch’essa perda di ‘attualità’, sono indicativi. Altrettanto
lo è la ‘misura’ dei suoi scritti.
Erasmo sbaglia il ‘trattato’, non sempre azzecca il ‘saggio’, ma brilla
immancabilmente nell’ ‘articolo’, come testimoniano le lettere, insuperati
modelli di altissimo ‘reportage’, il suo vero capolavoro. Del giornalista ebbe
i limiti, e lo dimostra il seguito della sua vita, a Bruxelles, di dove, appena
arrivatoci, scrisse al Cardinale di York: ‘In questa parte del mondo il mio
naso avverte un gran puzzo di rivoluzione’.
Questa lettera porta la data del 9 settembre 1517, e ancora una volta
dimostra che il suo naso non s’ingannava mai. La rivoluzione scoppiò infatti di
lì a due mesi, anche se in Germania invece che in Belgio. Ma il naso di Erasmo,
sebbene così lungo e sensibile, non lo fu abbastanza da fargli presentire le
proporzioni di un avvenimento destinato a sorpassare anche lui, che tanto aveva
contribuito a provocarlo…..
Muhlhausen, 15 febbraio 1525
La notizia del suo arrivo vola di bocca in bocca, su per strada
principale….. Due ali di folla si accalcano per poter salutare l’uomo che ha
sfidato i principi, popolani e contadini accorsi dai borghi limitrofi… quasi
piangono dall’emozione.
Magister, devo raccontarti tutto, di come abbiamo lottato e di come
siamo riusciti a essere qui, oggi, ad accoglierti, senza che ci sia uno sbirro
in giro. Hanno una gran paura, se la
fanno sotto, se provano a farsi vedere rischiano grosso…
Siamo qui, Magister, e con te possiamo rivoltare questa città da capo a
piedi e stanare il Consiglio. Ottilie è accanto a me, gli occhi lucidi, un
vestito lindo, di un bianco che la fa spiccare nella massa dei rozzi
borghigiani.
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