Prosegue in:
Un dialogo (2)
- Davvero, sei proprio irremovibile nella tua crudele decisione?
- Sì, lo sono: il mio progetto non è nato in me in un momento di
passione, non è il frutto di un passeggero entusiasmo o di un rabbioso rancore.
Da parecchi anni ci penso e non ho mai mutato di proposito. E una volta deciso
di partire, devo proprio partir subito, perché i pochi quattrini, che ancor mi
restano dell’eredità paterna, bastano appena per pagare il mio viaggio fino a
Buenos Aires, e fra un mese al più tardi io sarò in mare. Mi vanno dicendo
tutti, che la professione di dottore in legge (se pure è una professione) è la
peggiore fra tutte quelle che può avere un galantuomo, che voglia emigrare
nella Repubblica Argentina; ma tu lo sia, ch’io ho studiato legge per
soddisfare all’ultimo desiderio di mio padre; ed io amo la chimica e la conosco
un pochino, e poi ho due braccia robuste e il coraggio di far di tutto.
L’ignoto mi affascina, l’ignoto mi inebria; il pensare che all’indomani
del mio sbarco in America non saprò dove andare, né come guadagnare il pane, mi
tenta maledettamente. E poi qui ci starei male; il nostro paese è infelice; i
tedeschi sono ritornati. Non si può salire in alto senza fare la corte ai
nostri tiranni, e la vita dell’impiegato mi fa nausea, e quella dell’avvocato
non mi piace. Ho avuto tante disgrazie in famiglia… ho bisogno di andar
lontano. Tu saresti l’unica ancora, che potrebbe arrestar la mia nave su questi
lidi, ma tu, che sei medico, che hai fra le mani una professione, che dovunque
e subito può darti un pane onorato, hai per il primo il torto di non seguirmi.
Tu non mi apprezzi com’io ti apprezzo.
- Ah! Attilio, non dirmi queste brutte parole, alle quali per il primo
tu stesso non credi. Più d’una volta tu mi hai parlato de’tuoi progetti
americani, e quando non sono riuscito a combatterli, mi son provato a diventar
americano anch’io, ma pur troppo non ci sono riuscito. Io sono timido, sono
debole; detesto i mutamenti troppo rapidi delle abitudini… non saprei
rassegnarmi a lasciare il mio paese; e sono convinto che riuscirei in America
assai peggio che non qui. Non ho carattere risoluto, non ho fede in me stesso;
a te non servirei che d’impiccio, e invece di pensare a guadagnarti un posto al
sole, tu avresti su le tue spalle anche il tuo povero amico…
- Giovanni, Giovanni, tu sei troppo modesto, tu dimentichi, che,
mutando aria e orizzonti, anche gli uomini cambiano; e in un nuovo mondo tu
troveresti forze nuove, ti spoglieresti di quella crosta ipocondriaca e
nostalgica, che non conviene ai tuoi ventidue anni e a questi tuoi bei capelli
d’oro.
- Se non ti seguo, dev’essere molto forte la ragione che mi trattiene.
La tua amicizia ha per me assorbito tutte le amicizie minori, sicché partendo
tu, io rimango solo, proprio solo. Avrei sperato di continuar teco la vita
dell’uomo, come insieme avevamo trascorsa quella del fanciullo e del giovane;
ma la forza maggiore ti porta lontano, ed io rimarrò solo a custodire le care
memorie che abbiamo comuni.
- Andiamo, andiamo, Giovanni, non farmi piangere. Oggi ho bisogno di
tutta la mia fermezza. Io ti apprezzo assai, ti apprezzo più di tutte le care
donnine, che hanno ferito il mio cuore, ti apprezzo quanto ho apprezzato mio
padre; ma io devo lasciar l’Europa in cerca d’un ideale.
- Ma l’ideale, Attilio mio, non si trova soltanto in America, ma qui e
in ogni luogo, dove vi sia un uomo che guardi in alto sotto un cielo che non ha
confini.
- Sì, tu credi in Dio, puoi farti un ideale dovunque, ma io devo
cercarmelo sulla terra questo Dio, e lo troverò più facilmente in una terra
vergine e libera, in un mondo nuovo non ancora guastato dagli uomini e dagli
Dei.
- Quando ti conobbi, io ero cattolico, ma in poch’anni tu mi facesti
cristiano, poi questa mia conversione ti pareva ancora insufficiente e tentasti
di togliermi ogni fede nel mondo degli spiriti. Ci siam battuti a lungo, tu lo
sai, ed io rimasi né vinto né vincitore. La mia fede cristiana cadde anch’essa
sotto i colpi di martello della tua critica vandalica e rimasi quel che sarò
per tutta la vita, un deista.
- Bel deista davvero! Quando tu hai tolto al tuo Dio l’amministrazione
del mondo, quando gli hai levato la questura, il paradiso, il purgatorio e
l’inferno, rimane qualche cosa meno di un sottoprefetto; rimane una parola, che
esprime in modo molto vago la somma di tutte le forze della natura.
- No, Attilio, il mio Dio non è una teoria, né un’ipotesi, ma è una
fede: il mio Dio non si vede, non si tocca, soprattutto non si discute; non
appartiene alla scienza, ma ad un altro mondo, che è nel mio cuore o nel mio
cervello o dove diavolo tu vuoi, ma che la scienza non può distruggere. I tuoi
ragionamenti sono pieni di logica; la tua parola è eloquente ed ispirata; i
tuoi autori prediletti mi innamorano; ma io dopo averli letti, dopo averti
lasciato parlare, crollo il capo e dico ancora e dico sempre: Dio esiste. E tu
lo sai, potrei avere maggiori ragioni per essere razionalista, io che ho veduto
sul tavolo anatomico il povero cadavere umano, livido, fetente, men bello della
carogna di un cane o di un gatto. Ma, quando penso, che dopo tanto tormento,
tutte le scienze riunite non hanno sfiorato che l’epidermide della natura, e
voi altri tutti non sapete spiegarmi il principio della vita di un infusorio,
mi rassegno a mettere al posto di tanta ignoranza un’ipotesi che mi consola e
mi conforta.
Il vostro Aristotile ha pur detto, che è assai meglio fare una cattiva
ipotesi, che di non farne punto; e voi
altri, anche nelle scienze più positive e sperimentali, fate ad ogni momento teorie,
supposizioni, ipotesi d’ogni forma e d’ogni colore. Ma dunque, lasciatemi anche
la mia, che è più bella di tutte le vostre sommate insieme.
- Sta bene, Giovanni, ma come mai potresti elevare a religione un’ipotesi fredda e vaga? come riscaldare una teorica fino a farne un sentimento? Tu hai rotto il tabernacolo, hai dispersi gli incensi, hai maledetto anche il simbolo d’un sacrifizio di sangue, e poi credi di avere una religione? Le ipotesi si scrivono e si cancellano senza sangue e senza pianto, come si fa delle formule....
(Prosegue....)
- Sta bene, Giovanni, ma come mai potresti elevare a religione un’ipotesi fredda e vaga? come riscaldare una teorica fino a farne un sentimento? Tu hai rotto il tabernacolo, hai dispersi gli incensi, hai maledetto anche il simbolo d’un sacrifizio di sangue, e poi credi di avere una religione? Le ipotesi si scrivono e si cancellano senza sangue e senza pianto, come si fa delle formule....
(Prosegue....)
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