CHI DELLA FOLLA, INVECE,

CHI DELLA FOLLA, INVECE,
UN LIBRO ANCORA DA SCRIVERE: UPTON SINCLAIR

giovedì 21 dicembre 2017

PORFIRIO














Appunti & Riflessioni dal cap. 6













accompagnare l'Eretico Viaggio sino al cap. 61  (buona lettura e auguri...)









Gli antichi consacravano davvero opportunamente antri e caverne al
cosmo, considerato nella sua totalità o nelle sue parti, poiché faceva-
no della terra il simbolo della materia di cui il cosmo è costituito (per
questo motivo alcuni identificavano terra e materia) e d'altra parte gli
antri rappresentavano per loro il cosmo che si forma dalla materia:
essi, infatti, per la maggior parte sono di formazione spontanea e con-
naturali alla terra, circondati da un blocco uniforme di roccia, che in-
ternamente è cava e all'esterno si perde nella infinita illimitatezza della
terra.




Il cosmo d'altra parte è di formazione spontanea ed è connaturale alla
materia, che gli antichi designavano enigmaticamente pietra e roccia
per il fatto che appare inerte e ostile alla forma, e la consideravano in-
finita per il suo essere amorfa.
Poiché la materia è fluida, priva in sé della forma che la modella e le
conferisce apparenza, gli antichi, come simboli delle qualità insite nel
cosmo in virtù di essa, accolsero l'acqua che sgorga e trasuda dagli
antri, la tenebrosità e, come dice il poeta, l'oscurità.
A causa della materia, quindi, il cosmo è oscuro e tenebroso, ma è




bello e amabile per l'intrecciarsi delle forme che lo adornano, per le
quali è chiamato cosmo.
Pertanto è giusto dire che l'antro è amabile non appena vi si entra
per il fatto che esso partecipa della forma ma, per chi esamina le sue
profondità e le penetra con l'intelletto, è oscuro; quindi, ciò che è al-
l'esterno e in superficie è amabile, ciò che è all'interno e in profon-
dità è oscuro.




Così anche i Persiani danno il nome di antro al luogo in cui durante
i riti introducono l'iniziato al mistero della discesa delle anime sulla
terra e della loro risalita da qui.
Eubulo testimonia che fu Zoroastro il primo a consacrare a Mitra,
padre e artefice di tutte le cose, un antro naturale situato nei vicini
monti della Persia, ricco di fiori e fonti: l'antro per lui recava l'imma-
gine del cosmo di cui Mitra è demiurgo, e le cose situate nell'antro
a intervalli calcolati erano simboli degli elementi cosmici e delle re-
gioni del cielo.




Dopo Zoroastro prevalse anche presso gli altri l'uso di celebrare riti
iniziatici in antri e caverne, sia naturali sia costruiti artificialmente.
Come infatti consacrarono in onore degli dèi olimpi e templi, edifici
e altari, per gli dèi ctonii e gli eroi are, per le divinità sotterranee bu-
che e cavità, così consacrarono anche antri e caverne al cosmo e al-
le Ninfe, in virtù delle acque che stillano o sgorgano dagli antri, alle
quali presiedono le ninfe Naiadi, come mostreremo tra poco.




Consideravano l'antro simbolo non solo, come si è detto, del cosmo,
cioè del generato e del sensibile, ma l'oscurità degli antri li indusse
a vedervi il simbolo anche di tutte le potenze invisibili, la cui essenza
appunto non è percepibile allo sguardo.
Così Crono si prepara un antro nell'Oceano e lì nasconde i suoi fi-
gli, anche Demetra alleva Kore in un antro tra le Ninfe e passando
in rassegna le opere dei teologi si troverebbero senz'altro molti altri
esempi analoghi.




Consacravano antri alle Ninfe, soprattutto alle Naiadi, che presiedo-
no il nome Naiadi dalle acque da cui sgorgano le correnti: lo dimostra
anche l'inno ad Apollo, in cui si dice:

A te fonti di acque intellettuali
assegnarono quelle che vivono negli antri della terra,
nutrite dal soffio della Musa
a un canto divino; esse facendole sgorgare sul suolo
per ogni rivo
offrono ai mortali di dolci acque
flussi inesauribili.




Di qui, penso, presero spunto anche i pitagorici e dopo di loro, Plato-
ne quando chiamarono il cosmo antro e caverna.
In Empedocle, infatti, le potenze che guidano l'anima dicono:

Siamo giunte in questo coperto

e in Platone nel settimo libro della Repubblica si dice:

Ecco, immagina che vi siano uomini in una dimora a forma di 
caverna sotterranea, aperta verso l'alto alla luce, e che ha una
via di accesso la quale si snoda lungo tutta l'ampiezza della ca-
verna.




E quando l'interlocutore esclama:

Che strana immagine la tua!

Egli aggiunge:

Ora, caro Glaucone, bisogna adattare questa immagine a tutto 
il nostro discorso precedente e paragonare il mondo delle appa-
renze visibili alla dimora della prigione, e la luce del fuoco alla
potenza del sole.




Questo dimostra dunque che i teologi ponevano negli antri il simbolo del
cosmo e delle potenze cosmiche, e anche, come si è detto, della essenza
intellegibile, ma partendo da considerazioni diverse: simbolo del mondo
sensibile perché gli antri sono tenebrosi, rocciosi e umidi, e tale considera-
vano il cosmo resistente e fluido per la materia di cui è costituito.
D'altra parte, l'antro era simbolo del mondo intellegibile perché esso è di
essenza invisibile alla percezione, salda e stabile.




Così è simbolo anche delle potenze particolari invisibili e soprattutto di
quelle insite nella materia. Gli antri, infatti, ne erano considerati simboli par-
ticolari per la loro formazione spontanea, e per l'aspetto oscuro, tenebroso
e roccioso, e certo non sotto tutti i punti di vista né, come alcuni immagina-
rono per la loro forma, poiché ogni antro è sferico.
Se l'antro è a due entrate, come quello di Omero che ha due porte, non lo
consideravano simbolo della essenza intellegibile, bensì di quella sensibile,
così l'antro di cui ora si tratta, per il fatto che, come dice Omero, vi 'scorro-
no acque perenni', non potrebbe essere simbolo della essenza intellegibile,
ma di quella legata alla materia.
E perciò è sacro non alle Ninfe dei monti, delle vette o altre simili, ma al-
le Ninfe Naiadi che prendono il loro nome dalle acque correnti.




Con Ninfe Naiadi indichiamo in senso specifico le potenze che presiedono
alle acque, ma i teologi designavano tutte le anime in generale che discen-
dono nella generazione. Essi, infatti, ritenevano che tutte le anime si posas-
sero sull'acqua che, come dice Numenio, è divinamente ispirata; egli affer-
ma che proprio per questo motivo anche il profeta disse:

Il soffio divino si muoveva sull'acqua.

Di qui il detto di Eraclito:

Per le anime è piacere, non morte,
divenire umide.
Noi viviamo la morte di quelle,
e quelle vivono la nostra morte.

(Porfirio)


















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