CHI DELLA FOLLA, INVECE,

CHI DELLA FOLLA, INVECE,
UN LIBRO ANCORA DA SCRIVERE: UPTON SINCLAIR

giovedì 9 agosto 2018

L'IMPERATORE ERETICO (18)





















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La Freccia del Tempo (17/1)

Prosegue in:

All' 'Alba' del nuovo millennio... (19)  &

L'odiato nemico 'barbone' (20)













Claudio Gotico
213?-270
Quintillo
220?-270
Crispo
?
sconosciuta
?
Costantina
?
Claudia
?
Eutropio
?
Costanzo Cloro
250-305-306
Elena
250-330
Licinio
250-308-324-325
Costanza
293-330
Fausta
289-326
Costantino I
272-313-337
Giuliano
331-360-363
Elena
d. 360
Costantino II
316-337-340
Costanzo II
317-337-361
Costante I
320-337-350
Crispo
d. 326
Gioviano
331-363-364
Costanza
361-383
Graziano
359-367-383








Libanio, far vagare l’anima entro i confini di se stessa e poi farla uscire da se stessa, per non limitarne mai la sua percezione d’infinito, è un gioco a me caro, nonostante mi vada a scontrare con tormentate verità e intricati labirinti costruiti dai dubbi e dalle contorsioni della mente umana.

L’intera notte è stata pervasa dall’ignobile ricordo dei miei tre cugini, Costantino II, Costante e Costanzo, a cui mio zio lasciò il regno, illudendosi di fare cosa gradita e magnifica. Non si era neanche raffreddato il misero corpo del grande imperatore dei cristiani, che quei tre demoni s’avventarono sulla preda come aquile imbizzarrite. L’avidità di potere li spinse a sbranarsi come mostri inferociti. Tra loro non esisteva più neanche una parvenza di umanità, si muovevano come bestie assetate di sangue.

Credo, Libanio, che nessuno di loro tre possedesse un’anima, e che i raggi solari non riuscissero a riscaldare quei gelidi corpi, fatti di nulla. Gli Dèi molto spesso decidono di inviare sulla Terra tali orribili creature, per rendere la vita degli uomini un inferno di dolore e miserie. In tal modo dimentichiamo l’armonia e trascorriamo tutto il tempo a difenderci da loro.

Diventando deboli, i padroni del cielo non debbono temere che l’uomo, unito e audace, sollevi gli occhi verso l’Olimpo. È un’antica gelosia quella degli Dèi di credere che i mortali possano diventare più forti delle divinità stesse. Il sommo Platone narra magistralmente questo mio concetto nel Simposio, che il nostro Mardonio mi leggeva sovente, per insegnarmi a moderare l’audacia e l’ambizione, che attraggono malsanamente l’invidia dei signori dell’Olimpo.

Egli mi infondeva la modestia e la ponderazione dell’anima.

A lui devo questo mio carattere schivo e mite.

I tre fratelli dunque, spinti dall’ossessiva paura di essere usurpati nell’esercizio del potere, diedero ordine alle truppe di trucidare tutti i discendenti maschi del ramo di Teodora, seconda moglie di Costanzo Cloro, nonché padre di Costantino. Io e mio fratello Gallo fummo salvati, che amara consolazione, Libanio. Restammo in vita non per pietà, di questo nobile sentimento i tre assassini erano sprovvisti, ma perché considerati troppo piccoli e fragili di salute.

Pensarono che saremmo morti in maniera del tutto naturale.

Te lo ripeto ancora, caro Libanio, poiché nella mia mente c’è come un eterno ritorno di questa sanguinosa vicenda, che mi ossessiona l’anima. Dopo la strage, gli scellerati divisero tra di loro i territori dei cugini uccisi, ma una tragica fine li attendeva nell’ombra. Le turpitudini furono punite dagli Dèi, poiché costoro armarono le mani, già intrise di sangue, l’uno verso l’altro.

Cadde Costantino II in un’imboscata, tesagli dall’avanguardia dell’esercito di Costante, e cadde quest’ultimo, allo stesso modo in cui aveva inflitto la morte al più piccolo dei suoi fratelli.

Rimase dunque Costanzo, come unico imperatore, e troppo male avrebbe dovuto ancora seminare, prima di raggiungere anch’egli il solo destino che poteva abbracciarlo: la morte.

Ora comprendi il senso della mia angoscia?

È una catena di malvagità, quella che l’inclinazione dell’anima umana tramanda di padre in figlio, una ruota che gira continuamente, senza sosta, creando un amaro destino cinico e bestiale, che noi uomini denominiamo dolore.

Potrei procedere a ritroso nel tempo, fino a giungere a quello che voi filosofi definite caos primordiale della materia, dove tutto ebbe un frenetico inizio. Mi chiedo, se in questa sede embrionale di disordine cosmico si possa collocare l’errore originario, causa delle future sciagure per l’umanità.

È dalla creazione che esiste qualcosa di profondamente sbagliato, connaturato nella nostra fragile essenza. Un eterno ritorno del male.

Non mi inoltrerò ulteriormente in questioni squisitamente dogmatiche, non vorrei diventare tedioso e quanto mai pessimista.

Mi lacrima il cuore, Libanio, ho bisogno di guardare le stelle, forse riusciranno a illuminare questo mio animo cupo, smarrito nel dolore. Neanche le stelle riescono a illuminarmi. Il ricordo di Costanzo tutto sovrasta. Dei tre Costantinidi, sopravvisse proprio lui, il più crudele ed efferato di loro. Accadde esattamente come in natura, quando l’animale più debole soccombe dinanzi a quello più forte.

Cadde Costantino II, cadde poi Costante, e la mano carnefice che li gettò vilmente a terra fu quella di loro fratello.

Stento a crederlo ma la realtà questo ci narra, crudamente, senza alcun lieto fine. Per quel che concerne me ed il mio adorato Gallo fece peggio: ci lasciò vivere.

Ero poco più di un bambino, quando mi condannò all’esilio nella lontana Nicomedia, in Anatolia. Qui fui affidato al vescovo Eusebio, uomo che la mia memoria ricorda solo e soltanto per la sua noia logorante, di cui egli faceva virtù preziosa. Il tedio delle sue lezioni, risuonanti di vuote parole, costituiva per me uno strazio infinito, nulla che destasse il benché minimo interesse e neppure un lieve accenno di curiosità. Credo, Libanio, che il povero Eusebio non trasmettesse niente neanche a se stesso, e che le sue convinzioni religiose non lo convincessero poi così tanto da poterle insegnare con passione.

Il suo non era propriamente un vivere ma un vago esistere…

L’unica mia consolazione, in quei giorni interminabili, era la presenza di Mardonio e del suo nobile amore per i classici, amore che poi, pian piano, si insinuò nelle mie vene come nettare dolce. Sebbene fanciullo, intuii fin dal primo istante la mia scarsa inclinazione verso il credo dei cristiani.

Di certo Eusebio non fu il maestro più adatto a indirizzarmi in tal senso. Nelle nostre lunghe passeggiate, in cui il vescovo mi faceva ripetere le consuete preghiere della giornata, avrei potuto commettere qualsiasi gesto alle sue spalle, egli non si sarebbe mai accorto di nulla. Il ritornello di quelle vuote parole ipnotizzava il poveretto, fino a renderlo una sterile immagine di se stesso. La sua voce, ahimè, non toccava affatto la sua anima.

Talvolta sorridevo nel guardare quel fantoccio, che agli occhi di un bambino appariva quasi come un noioso  giocattolo, privo di essenza. Ricordo nitidamente, anche se non possedevo affatto quella lucida consapevolezza di adolescente, la solitudine che mi sovrastava in quegli interminabili giorni di Nicomedia.

Ma era nella notte che si consumavano i miei peggiori incubi.

La paura mi possedeva, come demone crudele, e io piangevo, ma nessuno asciugava quelle lacrime di amaro dolore. Avrei voluto la carezza di mia madre, il suo conforto, come ogni bambino, ma imparai presto, a mie spese, cosa significasse l’abbandono. Talvolta Mardonio, sentendo i miei gemiti, accorreva a consolarmi, ma egli non poteva certo sostituire una madre o un padre. La sua dolcezza mi fu di grande aiuto in quel primo disperato esilio che inaugurò tristemente una lunga serie di emarginazioni senza voce. Per lenire le mie pene il maestro mi leggeva i versi dell’Odissea e, simile a un aedo, mi cantava di Ulisse e di come quest’ultimo riuscì a sedurre Nausicaa, dalle bianche braccia, e io così mi addormentavo, sconfiggendo le ombre della notte. Mai gli chiesi perché avesse scelto proprio il re di Itaca per sedare i miei tormenti, ma sempre sarò grato a Mardonio per aver alleviato, in parte, il fardello della solitudine di Nicomedia.

(G. Bettelli)

(Prosegue...)








Giuliano, imperatore romano
Bisnonno paterno:
Eutropio
Bisnonna paterna:
Claudia
Bisnonno paterno:
Afranio Annibaliano
Bisnonna paterna:
Eutropia, imperatrice romana
Madre:
Basilina
Nonno materno:
Giulio Giuliano
Bisnonno materno:
?
Bisnonna materna:
?
Nonna materna:
?
Bisnonno materno:
?
Bisnonna materna:
?

















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