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Poesie sciolte ...bocconi brevi...
Prosegue nella
...Nausea (Seconda parte)
Non ricordo il giorno anno o secolo, solo il
luogo, stesso medesimo fuori dalle mura
e come sempre è stato - e sarà ancora - proprio fuor cotal ‘cinta’ per ‘dure’ ragioni
interne all’esterno si pugna - oppure nascosti e ben celati - si cerca di
conquistarne la gloria compromessa…
…Oggi, al contrario, si vuol confiscare dignità
dell’altrui decoro barattato per politica e Stato degno d’esser rimato non men
che apostrofato nella ‘nausea’ che suscita e dispensa… cotal pugna fuori dalla
cinta e cementata fortezza…
Proprio cotal ‘pugna’ - come dicevo - vien
ancor adesso apostrofata qual nuova Terra Promessa e/o conquistata così come un
Tempo con sermoni da chi preferisce ben diverse prediche o rime circa lo strano
amplesso coniugato con la Natura del Creato, la Parabola insegna anche questo
ai giovani paladini d’ugual medesimo o diverso sesso circa il ruolo dovuto d’un
casino confuso per ordine in-crociato…
Pugnare o marinare la scuola del retto apprendimento
e darsi alla pugna d’un diverso intendimento affinché la Dottrina così ben
distribuita e mai sia detta ‘materia’ in deficienza o carenza d’Intelletto
possa affrescare la bottega d’un nuovo ‘maestro’ così ben vestito oppur
recitato qual nobile politico in libera ‘pugna’ accompagnato truffare ciò che
Stato divenuto privato…
…E tutti nessun escluso con l’olfatto ben
sviluppato - medica ragion contro la depressa annunziata depressione - sentirne
il profumo ammirarne lo stile, al contrario del povero ‘pazzo’ che così come un
Tempo annunzia medesimo ugual letterato sermone censurato dalla libera pugna in
piacevole diletto nauseando anche il
misero Boccaccio…
Un Tempo come narrato nel misfatto non ancor
aggredito li guardo e la Storia ancor non appresa conferma la ‘Nausea’: solitaria
‘colonna’ su cui dispensata parola taciuta o abdicata a diversa digitalizzata
pugna, la ‘colonna’ su cui posta una più elevata predica fuor dall’Impero
distribuita in solitaria eremitica scelta contestare corrotta filosofia divenuta nuova dottrina…
…Poi inetta nauseante sociale politica…
…Alto nella ‘colonna’ il sermone intona
oracolare eretica predica: "il Barabba di turno dopo la condanna ottiene il completo consenso non meno del
pubblico Tacito assenso d’ogni console e senatore eletto fuor dalla cinta ben
difesa e pugnata per altrui digitalizzata ‘volontaria o involontaria’
appartenenza al potere pre-costituito così servito per propria mano non meno
della rosea orale diletta vorace lingua in difetto o assenza di Parabola per la
dovuta manodopera detta"…
…Io proseguo con Saramonda mia fedele amica in
libera Prosa abdicata o defecata visto cotal ‘nausea’ divenuta orrenda ansiosa
paura…
…L’incaricato di turno nobile innominato
paladino mi invita ad annunziare codesta nauseante novella seminata o se
preferite concimata in altro luogo giacché all’interno non men che l’esterno
d’ogni onesta bottega della mura d’ogni feudale comunale intento regna
professione ragione onestà e decoro in libera pugna accompagnata ma anco
affogata per propria mano per ciò che non più guerra ma santa benedetta
crociata…
Talché diletti nobili e paladini riuniti a
piedi o a cavallo transitati, oppur, a passo di somaro, o ancor meglio, da un
giullare accompagnati e deliziati non men che dilettati, la Nausea ci coglie
non più rimata solo rimandata ad un futuro esiliato, o, se preferite meglio,
apostrofata per ciò che suscita non più comprensione e cristiano intendimento
nel perdonare colui che non comprende neppur ciò che dice giacché in libera
pugna connesso, e contraccambiata per ciò che comporrà la Nausea così ben
distribuita Ragione d’un più elevato Intelletto sconnesso…
La parola
Assurdità nasce ora sotto la mia penna; poco fa, al giardino, non l’avevo
trovata, ma nemmeno la cercavo, non ne avevo bisogno: pensavo senza parole,
sulle cose, con le cose. L’assurdità non era un’idea nella mia testa, né un
soffio di voce, ma quel lungo serpente morto che avevo al piedi, quel serpente
di legno. Serpente o radice o artiglio d’avvoltoio, poco importa. E senza nulla
formulare nettamente capivo che avevo trovato la chiave dell’Esistenza, la
chiave delle mie Nausee, della mia vita stessa.
Difatti,
tutto ciò che ho potuto afferrare in seguito si riporta a questa assurdità
fondamentale. Assurdità: ancora una parola; mi dibatto contro le parole; laggiù
nel giardino, la vedevo, la cosa. Ma qui vorrei fissare il carattere assoluto
di quest’assurdità. Un gesto, un avvenimento nel piccolo mondo colorito degli
uomini non è mai assurdo che relativamente: in rapporto alle circostanze che
l’accompagnano.
I
discorsi d’un pazzo, per esempio, sono assurdi in rapporto alla situazione in
cui si trova, ma non in rapporto al suo delirio. Ma io, poco fa, ho fatto
l’esperienza dell’assoluto: l’assoluto o l’assurdo. Quella radice: non v’era
nulla in rapporto a cui essa non fosse assurda. Oh! Come potrò spiegare questo
con parole? Assurda: in rapporto ai sassi, ai cespugli d’erba gialla, al fango
secco, all’albero, al cielo, alle panche verdi. Assurda, irriducibile; niente -
nemmeno un delirio profondo e segreto della natura poteva spiegarla.
Naturalmente,
io non sapevo tutto, non avevo visto il germe svilupparsi e l’albero crescere.
Ma davanti a quella grossa zampa rugosa, né l’ignoranza né il sapere avevano
importanza: il mondo delle spiegazioni e delle ragioni non è quello
dell’esistenza. Un cerchio non è assurdo, si spiega benissimo con la rotazione
d’un segmento attorno ad una delle sue estremità.
Ma pure
il cerchio non esiste.
Quella
radice, al contrario, esisteva, e in modo che io non potevo spiegarla. Nodosa,
inerte, senza nome, essa mi affascinava, mi riempiva gli occhi, mi riportava
continuamente alla sua propria esistenza. Avevo un bel ripetermi: ‘È una radice’
- non attaccava più.
Capivo
bene che non si poteva passare dalla sua funzione di radice, di pompa
aspirante, a questo, a questa pelle dura e compatta di foca, a quell’aspetto
oleoso, calloso, caparbio. La funzione non spiegava niente: permetteva di
comprendere all’ingrosso che cosa era una radice, ma per nulla affatto la
radice stessa. Questa radice qui, col suo colore, la sua forma, il suo
movimento congelato, era. al di sotto di qualsiasi spiegazione. Ciascuna delle
sue qualità le sfuggiva un poco, traboccava fuori di essa, si solidificava a
metà, diventava quasi una cosa; ciascuna di esse era dì troppo nella radice, e
il ceppo tutt’intero mi dava ora l’impressione di rotolare un po’ fuori di se
stesso, di negarsi, di perdersi in uno strano eccesso.
Ho
raschiato il mio tallone contro quell’artiglio nero: avrei voluto scorticarlo
un po’. Per niente, per sfida, per far apparire su quel cuoio conciato il rosa
assurdo d’un’abrasione: per giuocare con l’assurdità del mondo. Ma quando ho
ritirato il piede ho visto che la corteccia era rimasta nera.
…Nera?
Ho
sentito la parola sgonfiarsi, svuotarsi del suo senso con una rapidità
straordinaria.
Nera?
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