Precedenti capitoli:
E a voi chevvefrega!
Prosegue in:
Bocconi Brevi...
Esser sepolto
Con chi nacqui
Ed al freddo giacqui
Al riparo d’una
Grotta
Neppur dimora
concessa
D’un Antro antico
In mezzo al ghiaccio
In mezzo alla neve
In mezzo alla bufera
Esser sepolto
Dalla foglia così
come la neve
E non certo da una
valanga
D’azzurra zozzura
vestita
D’azzurro regna solo
il cielo
Accompagnato ad un
vasto firmamento
D’un esercito di
stelle è pur rimasto
Neppure quello
giacché troppo affollato
Da strani oggetti
Cavalcare draghi e da serpenti accompagnato
In disaccordo con i
veri Elementi!
Esser sepolti
all’uscio d’un mistero
Antico ed Eretico
Per esser detto
O solo rivelato
E sepolto
Con chi dalla Natura
votato
(Saramonda d’Orange,
da ‘Poesie sciolte bocconi brevi’)
…Un
pazzo, sì certo quello che accompagnava Saramonda, un pazzo che aveva scelto di
conferire alla sua pazzia una forma molto vicina a quella, rigorosamente
formalizzata del lazzi giullareschi.
La
parola ‘araldo’, a questo proposito, non lascia dubbi: l’araldo (in latino
praeco) è appunto il più autorevole tra i giullari presenti durante un torneo,
colui che è in grado di riconoscere le armi dipinte dei cavalieri partecipanti
e ne descrive a gran voce i pregi e gli atti di valore.
Si
può pensare che, in quel periodo, egli fosse ancora incerto fra la vita
dell’eremita e quella del pellegrino: due esperienze del resto simili, al punto
che il pellegrinaggio ha potuto esser definito un ‘eremitismo ambulante’.
L’eremita
bassomedievale viveva di solito non in solitudini inaccessibili come i suoi
modelli egizi o siriaci del primo cristianesimo, bensì in romitori prossimi ai
centri urbani e alla vie di comunicazione; il pellegrino si spostava di ospizio
in ospizio, e i luoghi nei quali trovava riparo giornaliero erano sempre più
frequentemente siti in aree urbane o immediatamente suburbane.
Certo
è che – questo era necessario per la sua ‘riconoscibilità’ (sottolineiamo che
tal condizione riproposta non men che tradotta negli odierni quotidiani accadimenti
vien solitamente interpretata da medesimi ugual ‘fedeli’ come condizione della
‘pazzia’ già nominata e da tutti nessun escluso indicata… Dacché conveniamo in
cotal difetto d’una o più mirabili Nobili Terre transitate e navigate donde superiore
favella regna et impera ma non necessariamente cogitata solo suggerita da indegna
misera parabola distribuita e connessa anche per chi ‘custode’ come il Tempo
enunciato della vera dottrina divenuta farsa sia essa filosofica o teologica
tratta per la sostanza data qual superiore Intelletto e Credo da ognun predicato
coltivato et anco da ogni fedele pregato non men che disquisito… Dimorare
medesima intolleranza per simmetrica Storia transitata…), per la sua identità
socio-giuridica – Francesco veniva considerato un Eremita (oggi se solo
bivaccasse fori ugual mura additato e apostrofato come un povero inetto
pazzo!).
I TEMPI NARRATI
Prossimi
al 24 Febbraio ne ravviviamo la
Memoria sottratta alle Ragioni della Storia rimembrata ceduta - o se preferite
- abdicata alla normalità e non certo alla Pazzia pregata e come il Tempo
odierno perseguitata… E rivelata non men che rilevata chi della stessa (pazzia)
non certo si maschera o ciarla ma si ispira come acqua da medesima fonte
attinta per condividere ugual sete non certo di dotto sapere o falsa preghiera
dispensata ma di più elevato Principio Dottrina e con essi Statura e Dio…
Tommaso da Celano narra nella ‘Vita
prima’ che un giorno Francesco ascoltando la messa nella sua diletta
Porziuncola verso la fine del 1208 rimase colpito della lettura del Vangelo
relativa alla ‘missione apostolica’:
‘Andate e predicate
dicendo che il regno dei cieli è vicino; curate i malati, suscitate i morti,
mondate i lebbrosi, cacciate e dèmoni, i malvagi, i nani…’…
In
questa versione della biografia sanfrancescana, Tommaso è evidentemente
preoccupato di salvare le ragioni ortodosse d’una scelta radicale di povertà
che in quel momento erano ‘Perfette’
per esser confuse, ragioni che rivendicavano proprie e che non somigliavano in
nulla al modo di vivere dei preti e neppure dei ricchi monaci: questi ultimi
difatti rispettavano sì il voto di povertà personale, ma appartenevano ad
Ordini ricchissimi e si vedevano per giunta ordinariamente obbligati a
risiedere tutta la vita in quel monastero nel quale avevano pronunziato la loro
solenne promessa. Perciò Tommaso aggiunge che Francesco, colpito da questo
passo evangelico che egli stimava letto appositamente per lui, corse dal
sacerdote che aveva detto messa e se lo fece spiegare punto per punto.
Informazione
in apparenza incongrua, dal momento che le pagine successive dimostrarono come
fosse proprio la nuda e pura lettera del passo che lo aveva affascinato e
convinto; e che a quella egli voleva attenersi, senza alcun commento che ne
attutisse la semplice durezza. In realtà, il biografo sottolinea l’immediato
ricorso da parte di Francesco al sacerdote e la richiesta di un’interpretazione
sicura e fedelmente ortodossa della pagina evangelica in quanto desiderava
evidenziare la propria preoccupazione di mantenersi e di mostrarsi sempre
ortodosso e il suo desiderio di attenersi alla mediazione della Chiesa, cosa
che sempre lo avrebbe distinto…
Forse
perché nella manifesta ortodossia si celava e dispiegava ben diversa Natura…
Nessun commento:
Posta un commento