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Prima della
metà del Diciannovesimo secolo, il mito di una ‘Europa delle nazioni’ era visto
in una luce per lo più ottimistica. Le due idee che ne costituivano l’essenza, almeno fino al 1848, furono quella
della ‘missione’ spettante a ciascun popolo una volta riunito a formare una
nazione e quella dell’‘armonia’ che sarebbe derivata dalla creazione
dell'Europa delle nazioni.
Già prima del 1830, numerosissime sono le
prove dell’esistenza di questo stato d’animo, seppure in forma ancora
imprecisa, dal momento che i concetti di stato e di nazione non di rado erano
confusi.
Il poeta francese Béranger espresse lo stato d’animo in questione, in maniera un po’ rozza ma con estrema chiarezza nel poema Santa Alleanza dei popoli, scritto nel 1818, in cui compare la Pace che si rivolge agli uomini:
Ah voi uguali in valore francesi, inglesi, russi
o tedeschi, popoli formate una Santa Alleanza e datevi la mano
Il grande
filosofo tedesco Hegel applicò ai
concetti di stato e di Europa il suo idealismo dialettico. Lo stato era ai suoi
occhi la personalità vera, l’assoluto, la realizzazione dello spirito del
popolo.
Lo Stato è l’Idea dello Spirito nella manifestazione esteriore della Volontà umana e della sua Libertà.
Ma, nella
fase fino a quel momento raggiunta dall’umanità, lo stato era un’espressione
dello spirito universale: La storia universale procede dall’est all’ovest, e
quindi l’Europa costituisce la fine della storia, ...di cui l’Asia è l’inizio.
Sicché, l’evoluzione della Storia è un’evoluzione dello spirito, e il suo completamento è l’Europa…
Se per
Hegel l’essenza dell’Europa era la Germania, per Jouffroy la Francia era ‘l’avanguardia dell’Europa in quanto
nazione’, per dirla con Denis de Rougemont,
e Francois Guizot unì assieme le due
idee. In Hegel come in Jouffroy, faceva dunque la propria comparsa la duplice
idea della ‘missione’ dei popoli e dell’unificazione europea.
L’idea
della ‘missione e del ‘primato’ era del resto ampiamente diffusa e nella fase
successiva al 1830 acquistò ancor maggior valenza, ad esempio in Michelet, il quale, nella ‘Introduction à l’Histoire universelle’, del 1831, scriveva che…
ciò che v’ha di meno semplice, di meno naturale,
di più artificiale, vale a dire di meno fatale, di più umano e di più libero al
mondo, è l’Europa; di più europeo, è la mia patria, è la Francia.
E il sacerdote Vincenzo Gioberti intitolava la sua opera ‘Del primato morale e civile degli italiani’ (1843). Il suo compatriota Giovanni Berchet parlava lo stesso di linguaggio descrivendo l’attuale ‘stato di sofferenza’ in cui il dolore si univa alla ragione e ai lumi nel dar vita a quel sentimento di nazionalità europea che cominciava ad avvicinare gli abitanti del continente.
Il termine ‘Europa’ compariva nei nomi dei
periodici, come il Journal européen
che Muhrad pubblicò a Berna nel 1817
o la Revue européenne, prefiguratore
del ‘Correspondant’.
E’ ben nota
la celebre Lettera ai redattori della
Revue européenne di Chateaubriand.
Ed ecco ancora l’Européen di Buchez. Ci si dedicava allo studio della ‘civiltà europea’, come Guizot nella sua Histoire générale de la civilisation en Europe (1828); ci si occupava di letteratura europea, e il primo scritto dell’ancora giovanissimo Giuseppe Mazzini apparso sul Conciliatore del 1829 aveva il titolo Di una letteratura europea.
A partire dal 1830, l’idea di un’Europa
formata da un armonioso insieme di nazioni divenne più pregnante, più generale.
Nel suo libro Le grand schisme de 1830:
Romantisme et Jeune Europe, Fernand
Baldensperger ha efficacemente illustrato la scissione che si manifestò
allora in seno alla corrente romantica: gli uni restarono fedeli all’ideale puramente
letterario della scuola, mentre altri, che via via divennero più numerosi, associarono
a esso un ideale politico radicaleggiante e nazionalista.
Mazzini fu, in effetti e senza dubbio alcuno, l’eroe per eccellenza del romanticismo nazionalista ed europeo, ragion per cui converrà soffermarci sul suo pensiero, per quanto vago, misticheggiante, contraddittorio e utopico. ‘ben di rado’, scrive Carlo Curcio, ‘in uno scrittore politico la parola Europa è stata usata con tanta frequenza quanto in Mazzini’.
Dopo aver
aderito alla società segreta dei Carbonari, Mazzini se ne distaccò e fondò a
Marsiglia la ‘Giovine Italia’ (1831). La mèta che si proponeva era
l’unificazione del paese, aspirazione di marca puramente nazionalista, e
l’avvento della repubblica.
Nell’omonimo
periodico, Mazzini descriveva il
ruolo che l’Italia avrebbe avuto nella nuova Europa e, facendo proprio un
concetto caro a Buchez, sviluppò il
tema della ‘missione’ di ciascuna nazione in Europa. Dall’idea della ‘missione’
d’un popolo a quella dell’unione dei popoli europei, c’era solo un passo, che
Mazzini compì in seguito alle sconfitte cui andarono incontro i suoi tentativi
nella Savoia e in Italia.
Rifugiatosi a Berna, Mazzini con altri sedici rivoluzionari italiani, tedeschi e polacchi sottoscrisse, il 15 aprile 1834, il patto della ‘Giovine Europa’, un documento nel quale apparivano, in esergo, i principi di
‘libertà, uguaglianza, umanità, fraternità dei
popoli e progresso continuo’.
I firmatari
si affermavano convinti che ogni popolo avesse una missione particolare che
concorreva necessariamente al compimento della missione generale dell’umanità.
Ma Mazzini si spinse oltre, concependo una sorta di federazione
di repubbliche europee previste in numero di quattordici. Nota Pierre Renouvin che quel rifacimento
della carta d’Europa era in fin dei conti più importante del piano di
organizzazione futura dei rapporti internazionali, essendo Mazzini convinto che
tra quelle repubbliche avrebbe regnato, a priori, uno spirito di fratellanza.
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