CHI DELLA FOLLA, INVECE,

CHI DELLA FOLLA, INVECE,
UN LIBRO ANCORA DA SCRIVERE: UPTON SINCLAIR

giovedì 28 gennaio 2021

BENVENUTI... (21)

 









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Di quando incontrai il lupo... (20/19)


Prosegue...:


All'Excelsior (22)    [Ed il capitolo completo (23) ]


Per chi volesse scorgere Frammenti di Memoria 


irrimediabilmente persa... salga con noi sul treno... 








Al Monte... al Monte! Non siamo noi alpinisti?

 

Breve premessa per l’attento o distratto lettore: l’articolo quivi presente nonché pubblicato sulla nostra amata rivista trimestrale sponsorizzato dalla premiata ditta di Camerino & associati di Giuseppe falegnameria con ivi annesso mobilificio, visto l’ospitale accoglienza di Giuseppe e la moglie Maria, l’amministratore delegato Giuliano ci ha accompagnato alla visita della stabilimento ove abbiamo potuto ammirare la rara raffinatezza nella paziente costruzione di panche mobili e rari armadi o madie da cucina. Ringraziamo la sincera ospitalità offerta il buon cuore e la buona bruschetta consumata… non meno delle preziose notizie sul percorso per meglio ammirare il legno quivi rimboscato donde il calore umano ispira gioia e contemplazione…  




E là, in quel centro delle convalli non dovevamo noi incontrarci Umbri e Marchegiani raccolti sotto le insegne dell’Excelsior per stringere patto di concorde lavoro nello studio dei nostri monti, e per iniziarlo al Vettore?




Correre la Valle d’Esino oltrepassando le latebre della Catena Orientale Appennina; salire l’intervalle in che primeggia l’antica città dei Camerti; girarne il dorso e le creste, ed oltrepassando il Monte Appennino scendere a Visso, valicare i suoi monti; e di qua, volgendo al gruppo dei Sibillini, raggiungere la Forca di Conche che sovrasta l’altipiano del Castelluccio al cui confine grandeggia il Vettore; salire quindi le cime del più elevato colosso delle Marche; scenderne la scoscesa pendice che torreggia sulla Valle del Tronto; percorrere quella ubertosa valle per arrestarsi ad Acquasanta a visitarvi le Terme; volgere ad Ascoli, la città delle isteriche memorie; e di là piegando alla marina prender posto in ferrovia a S. Benedetto per restituirsi ognuno alla sua abituale dimora, era invero una escursione che presentavasi alla mente piena di varietà e di bellezza, bellezza e varietà che di gran lunga furono superate dal fatto.




Chi abituato a guardare in cima i colossi delle Alpi coperti dalle nevi eterne, irti di rocce primitive, cui stanno a guardia immensi ghiacciai, che par ne vietino l’accesso a piede umano consideri queste nostre appenniniche escursioni, che corrono le apriche valli, le città festeggianti, traversano i boschi frondosi, e volgendo per l’erta incontrano lo zampillante ruscello anziché il cupo rombo della valanga, per vederci alfine giunti ad un vertice che grandeggia fra pigmei, certo che accoglierà con sorriso — per quanto sia benigno — queste parole colle quali intendiamo ad illustrare quella che qui diciamo Escursione alpinistica al Vettore.




Ci sia egli benevolo, che non lasciamo già noi, minori fratelli, di ammirarlo nella sua forza montana, e nello zelo delle sue indagini sui grandi fenomeni della natura primordiale: noi la contempliamo invece nelle successioni dei suoi atti; ma è concatenata la nostra azione; il fine d’entrambi è lo studio della natura dei monti; è scopo la utilità comune, mirando noi nei lieti convegni o nelle indagini personali all’incremento della scienza della Natura: è una sola l’insegna: Excelsior!

 

La notte aveva dì poco oltrepassato il suo mezzo, ed il fischio della locomotiva — che mossa da Ancona col primo gruppo di noi alpinisti aveva di già varcato il tunnel della Rossa — ci avvertiva che eravamo giunti alla stazione d’Albacina. Le fresche aure della notte scendevano miti dall’Appennino occidentale, rendevano limpido il cielo, scintillanti le stelle, e ci ravvivavano. E di già incominciavano le amichevoli accoglienze, perché i colleghi di Urbino e di Pesaro avevanci colà prevenuti; ond’era un cordiale stringer di mani.




Le vetture eran pronte: lunga era la via a percorrere per giungere in sul mattino alla vetta di Camerino. Montammo l’intervalle  delle due catene; e Matelica e Castel Raimondo oltrepassammo immerse nel sonno; intantochè il nostro sguardo spingeva?!

 

Fra le fosche valli, e le cime montane che si succedevano illuminate dal bagliore lunare. Ma già Venere, scintillante di luce, appariva ad oriente, e così ci avvedemmo che gli amichevoli parlari avevanci fatti inconsci del lungo cammino percorso: l’aurora sorgeva quando eravamo alle falde del monte su cui si erge Camerino la più altoposta fra le città delle Marche (metri 667). Salimmo l’erta pendice in drappelli, ed era prossimo il vertice allorché i primi raggi del sole indoravano le cime di quella regione montana, per dipingerci, nel vario effetto della  luce e delle penombre, le tinte più variate di un quadro alpestre che non poteva non produrre incantevoli impressioni.




Al limitare della città ci incontravamo la più gentile e gradita delle sorprese. I rappresentanti del Municipio, e illustri professori dell’Università — che è ornata d’uomini prestanti — ci erano intorno accogliendoci a quella prim’ora del mattino; e con tanta gentilezza di modi e sincerità di affetto, che non è a dire quanto cara e grata cosa a noi fosse. 

 

Varcammo le soglie del palazzo municipale ove era apparecchiata refezione lauta e addicevole alle prime ore mattutine: e quindi, duci a noi l’onorevole Sindaco, cav. Beri, e i professori Berti e Reali ed altri prestanti cittadini, visitammo della città, i principali istituti, che di istituti pubblici ha bel diadema la antica città dei Camerti. Università, biblioteca, orto botanico — cui il chiarissimo Reali impresse le più belle forme negli antri, nelle serre e nelle aiuole, ornandole delle specie più rare — e l’Osservatorio meteorologico — che il Berti, fisico prestante, ha corredato dei più precisi apparati, ideandone ancora di propri, per rendere il suo istituto l’una delle più importanti stazioni meteorologiche italiane ed internazionali, — attrassero il nostro studio e le più attente osservazioni.




Camerino è notevole città, la cui storia si rannoda alle epoche gloriose di Roma. Posta a cavaliere delle due serie appennine gode del più variato orizzonte, nel cui fondo orientale torreggiano, degradando in quinte pittoresche, il Vicino, le Streghe, il Catria ed il Nerone. Le sue vie, le sue piazze, le chiese, i palazzi danno risalto alle sue buone costruzioni: v’ha d’artistico il monumento in bronzo all’astuto Sisto V, Pontefice dagli ardimentosi propositi; ed i ruderi dei fortilizi e gli avanzi di Porta Cybo danno ricordi della sua storia medioevale. 


Gl’ingegni hanno svegliati e colti i Camerinesi; intelligente e seria è la popolazione; e lo .spirito disposto alle industrie, che dovrebbero e potrebbero coltivarsi. Camerino può dirsi gemma in sul culmine delle Marche! 


(Prosegue...)








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