CHI DELLA FOLLA, INVECE,

CHI DELLA FOLLA, INVECE,
UN LIBRO ANCORA DA SCRIVERE: UPTON SINCLAIR

domenica 3 gennaio 2021

VEDEVO FORESTE




















L'inverno era stato rigido.
Ne erano segni l'abbondanza di ghiande, le cavalle che, coperte dal maschio, lo
cercavano di nuovo, negli stabbi i porci grufolavano la terra con la testa voltata
al tramontana.
Avevo scritto una lettera (una lettera), ma prima di quella un'altra, stavo studian-
do la vera natura del mito, la sua nascita, la sua segreta genesi, la sua stratifica-
zione in milioni di anni di storia, tempo....senza tempo, la freccia del tempo si
dissolveva in un mandala troppo prezioso per quei...maiali....

Gallia, autunno-inverno 359-360.

Quando ho ricevuto la tua lettera, ti ho mandato subito Archelao e gli ho dato
da portare  una lettera per te e il permesso di circolazione per un tempo più
esteso, come mi hai chiesto.
Se desideri fare ricerche sull'Oceano (della nostra memoria...), tutto, con l'aiuto
di dio, andrà secondo la mia e tua intenzione, se tu non rifuggi dalla rozzezza dei
Galli e quella, prima di loro, dei Romani...
Ma questo sarà come dio vorrà...
Da parte mia, giuro per il Salvatore e autore di tutti il mio sapere, che, se io mi
auguro di vivere, è per questo: per poter essere utile alla vera natura della cono-
scenza. E quando dico 'voi', intendo i veri e primi filosofi della saggezza e sapien-
za umana (in questo Oceano di saggezza).....




...Venne un'ondata disseccante, quel freddo che vulnera la pelle, empiendola di
geloni, venne con lo sbiancarsi del sole, un disco scialbato che compariva appena
nel cielo, una caligine a riempire la regione, un accavallarsi di nembi, un radunarsi
di strie lattate, che era prigionia d'alberi sommersi, pianure divorate.
Un sortilegio livellava suoni e odori, acque lunari sortite dalle viscere di Gea non
per nutrire ma per confondere.
Da quell'insana coltre uscivo a fatica, irrequieto, come un orso cui è stata appe-
na tolta la pietra dal suo rifugio. Mi prese la febbre malsana, a tentoni chiamavo
servi, li congedavo con ordini contraddittori, radunavo guardie pretoriane pungo-
landole con gli incarichi più strani: 'Sposta questo braciere, portalo nella sala del-
l'udienze'; 'una ciotola di latte cagliato, mettetela sul davanzale, al settimo oscilla-
re della fiamma della torcia spargetela sulla neve....Sacrificate una capra nera
agli Dei inferi....'
Vaneggiavo...




Mi fecero suffumigi d'erbe, mi posarono sul petto pietre....
Vedevo foreste, una moltitudine d'elci, querce, le contorte barbicaie dei tronchi
sollevavano scaglie di terreno in un terremoto lento di crescita, la maturazione
ossessa, lo sfogo di una terra grassa, d'umidore perenne, la macerazione che
rinverdiva, un ventre di Gaia che nulla avrebbe essiccato.
In quei fermenti, nel germogliare e deflagrare pregne d'influenze celesti, la matu-
razione saliva in cerca di luce, la foresta aveva una miriade di dei....
In quell'intricato mandala, come pesci nel loro primordiale elemento avanzavano
file di demoni, ora Franchi, Romani in perenne congiura, Alemanni, ed altri po-
poli ...barbari.....
Con molti filosofi dialogavo....cercando di chiarire quanto pretendevo da me
stesso, ...e dagli altri.
La mia vita veniva dai libri, dai sogni di realtà raccontate, avevo cominciato a
vivere in Gallia, questa ne era la prosecuzione. A Naisso, prima di muovere con-
tro il despota, mi sentivo sospeso, come dentro un canestro di vimini attaccato
a una trave. Il futuro lo sentivo stretto da un nodo incognito, il cui scioglimento
fosse permesso solo a forze diverse dalle mie.




Dovevo superare il mio scetticismo circa la possibilità di rendere gli uomini,
nonostante la loro ferina disuguaglianza, non sudditi, ma compagni di viaggio.
In ruoli diversi, ognuno doveva essere utilizzato secondo indole.
Il sovrano non è al di sopra di ogni legge.
Equità e clemenza, secondo l'ideale romano.
Ragione e armonia secondo quello greco.
Governare è forse come poetare, ossia dare un nome alla realtà.
Ora potevo. Ne avevo il dovere.
Ma avevo altre nefaste visioni della storia....
Oltre le colonne dei templi abbattute, le statue sgretolate dei responsi bruciati
dai galilei, oltre il loro credere di possedere tutto, dall'alfa all'omega, un grido,
forse l'ultimo, ma un grido, sotto la macina spietata di quella che chiamano ....
storia......




...Poi avevo sentito voci, oppugnazioni: che resti muto, non legiferi, non s'adiri,
pensi solo alla filosofia, ...questo Giuliano barbuto....
I greci hanno insegnato, ma prima di loro altri: senza il pensiero che azione c'è?
E senza l'azione a che vale il pensiero?
Le cose terrene sono il risultato della mescolanza, l'universo è stretto dai legami
dalle forme da cima a fondo e l'uomo è diventato qualcosa di diverso dal suo
primo essere, dal Tutto ha apostatato nel momento che si è fatto uomo.
Sì....liberare interamente la terra dal male: può farlo solo Helios....
Restaurare, ripristinare la strada dell'Ellade, disselciata più che dalla noncuranza
dei galilei e dalla tiepidezza dei pagani, dal livore dei cinici che si rifanno a Dio-
gene e spudoratamente lo tradiscono. Contro quest'ultimi avevo composto un
'Dialogo', definendoli rozzi ignoranti e ciarlatani...
Da quella torma di sfaccendati straccioni che, con la scusa di filosofare, ammor-
bono i portici delle città, da quei parassiti avevo ricevuto attraverso i loro sgher-
ri, burattini e teatranti..., libelli e lazzi.




Volevo riformare la religione antica, l'insieme di quei miti, eiaculazioni della
fantasia, quasi oltraggi alla ragione, orribili luminosi vapori che coprono ed e-
sorcizzano il nostro bisogno d'invisibile. Prima della psicologia, prima della
dottrina, prima del loro ...primo e solo ....Dio.
Gli Dèi, gli eroi, i semidei sono l'erculeo tentativo di circoscrivere il mistero, farne
provvista raccogliendone frammenti, risarcimento e consolazione, tutto è simbolo
di verità, ma qualcuno in questa percezione ci ha preceduto...
Scavavo nella roccia, ...nell'Oceano......
Sentivo che dovevo far presto.
Dovevo oppormi alle usanze folli della Corte.
Banchettare con spropositi di selvaggina, lussi di cerimonie, feste con sfoggio di
mimi e danzatori, lo spreco di denaro pubblico per foraggiare spie trame e infor-
matori, amanuensi e compilatori di decreti, libri di norma e d'etichetta, regalie e
bustarelle...
Lo stato amministrato da funzionari imbelli, eunuchi padroni del Palazzo, gente
ambiziosa disposta a dubitare di tutto pur di sentirsi risarcita.
Artisti di corte e viscide trame...di Palazzo.
Perché quello spreco di denaro pubblico, quell'aprire le porte dell'abbondanza.
A tutto questo si doveva dare un ordine, potare l'albero parassita che troppo
era cresciuto. L'artificio delle norme, quel ginepraio distaccato dalla realtà, tutto
ciò che è esasperato prima o poi si tramuta in follia.




Eppure, quanto più avrei tagliato tanto più quest'albero avrebbe cacciato nuovi
polloni.
E' una partita aperta.
La pletora dell'apparato di Corte è uno degli aspetti della corruzione...della mafia.
Già qualcuno prima di me vi era morto....
Con un cerimoniale sibillino si allude all'imperscrutabilità dell'ordine che è nell'uni-
verso. E la parola, che dovrebbe essere signora, diventa sempre di più succuba
dell'immagine....
Come nei panegirici, nel loro uso et abuso.
Di questo forse hanno bisogno i sudditi, tali sono le regole del gioco del consenso,
ma è anche dovere di chi regna imporre i limiti della sensatezza.....
(L. Desiato, Giuliano l'Apostata)

















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