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Costruttori di sana Democrazia (6/1)
La parola corruzione deriva dal latino corruptus, che significa ‘rompere’
o ‘distruggere’…
La corruzione infrange e distrugge quella fiducia che costituisce un
ingrediente essenziale della delicata alchimia che sta al cuore della
democrazia rappresentativa (nonché, aggiungo, del diritto… che ne deriva
giacché ognuno dovrebbe beneficiare, grazie a tal alchimia, ciò di cui in segreto
privato dal patto scellerato con cui il corrotto gode l’improprio frutto
coltivato e raccolto nella virtuale illusione di rendere fecondo e propizio ciò
da cui deriva, non il pregiudizio, ma al contrario, certa vista circa una
deformazione rinnovata e non ben enunciata nella propria realtà celata…. E di
nuovo calata e celebrata dalla Storia… rendiamo così monito e ricordo, e che il
nuovo ‘bosco’ non ci conservi rancore circa una più onesta ragione rinfrancata…).
Nella sua forma contemporanea, la corruzione comporta sempre un’unione
incestuosa di potere e ricchezza, e in particolare la cessione di denaro in
scambio di un abuso di potere pubblico.
È irrilevante che ad iniziare lo scambio sia la persona che ha
la ricchezza o quella che ha il potere; è lo scambio in sé a costituire
l’essenza della corruzione….
È irrilevante che ci si arricchisca con il denaro o con un
ammontare equivalente di influenza (acquisita…
ed importata…), prestigio, status o potere; il danno proviene dall’aver
sostituito surrettiziamente la ricchezza alla ragione nella determinazione
negli usi del potere.
Ed è irrilevante che il potere così acquisito (anche se
democraticamente votato) venga considerato in una luce favorevole da un gruppo
più o meno ristretto di individui; è la disonestà della transizione ad essere
velenosa.
Quando il processo ‘decisionale’ non è più governato dalla ragione (e se questa viene offuscata da altri valori
i quali nulla hanno da condividere con la democrazia si innestano tutti quei
‘paradossi’ in cui la stessa trema alla ‘faglia’ ove cotal principio fu
superato in ciò da cui nato… come fra breve leggeremo…), si espone più
rapidamente all’esercizio del potere nudo e crudo; e la propensione alla
corruzione si rafforza di conseguenza.
In effetti, in anni recenti, abbiamo assistito ad una serie di casi
lampanti di corruzione e all’uso fraudolento del potere pubblico a scopi
privati (ne ravviviamo a mo’ di antitodo
e prevenzione la memoria storica…). Le attività che oggi risultano più
dannose per la salute e l’integrità della democrazia americana sono in
maggioranza legali. Tutti questi abusi hanno una caratteristica comune: i loro
autori danno per scontato di non aver nulla da temere dall’indignazione
popolare (infatti si difendono e vendono
dietro fortini e barricate preventive…), dal momento che pochi verranno a
conoscenza dei loro misfatti (se ciò
avviene come spesso successo nei feudi dei loro soci in affari si viene
direttamente al giudizio del ‘creatore’ con cui saldare l’opinione poco
gradita… Così rimembro il ricordo di tal Medioevo detto socialista in cui
ragione & saggezza ed altre virtù poco apprezzate dal monarca nominato da Dio
governarono per circa mezzo secolo… Ed il nuovo - evo - nulla di meglio
promette….).
Le volpi private (anche se hanno platealmente annunciato la dovuta
rinuncia… nel rispetto, dicono, della legge e con questa del principio da cui
nata ed anche in qual tempo abortita…) sono state messe a guardia dei pollai
pubblici; il fatto sconcertante è che questo stesso approccio è stato adottato
in molte altre agenzie e dipartimenti. Ma ciò non suscita alcuna indignazione,
perché nella nostra democrazia il dialogo bilaterale è pressoché scomparso.
Ogni sorta di scempio si compie quotidianamente (ciò che fu sarà di nuovo…) sotto i nostri occhi, ma nessuno sembra
o vuole accorgersene. Un comportamento siffatto non potrebbe mai aver luogo se
vi fosse la benché minima probabilità che tale corruzione ‘istituzionalizzata’
venisse denunciata in uno spazio pubblico rilevante ai fini dei risultati
elettorali.
Thomas Jefferson ammoniva che la concentrazione del potere
nelle mani dell’esecutivo sarebbe stata foriera di corruzione, a meno che il
pubblico non avesse sottoposto a un monitoraggio costante e minuzioso tutte le
nomine a incarichi di governo. Tali nomine, infatti, sarebbero state cedute al
miglior offerente tra le diverse lobby influenzate dalle decisioni prese da
persone chiamate a ricoprire incarichi. ‘Al
riparo dagli occhi del pubblico’, scriveva Jefferson, ‘si possono comprare e vendere segretamente [le cariche federali], come
e non meno di un mercato’.
Superato il Medioevo (almeno
in virtuale conto del Tempo così sembra…) ed approdati all’Illuminismo,
quando la ragione aveva il primato sulla chiesa e sulla monarchia, il sistema
politico e il sistema di mercato – le due fonti di valutazione nella sfera
pubblica – erano considerati alleati naturali da un punto di vista filosofico.
I padri fondatori erano convinti che il popolo libero avrebbe usato il potere
della ragione per proteggere la repubblica dal pericolo che temevano più di
ogni altro: una concentrazione di potere politico che avrebbe potuto degenerare
in una tirannide (i residui di quella
sono prezioso concime di quanto ora narrato…). A quei tempi era opinione
comune che il capitalismo operasse in una sfera del tutto diversa (negli
odierni si è superata questa barriera di spazio e tempo per un nuovo Universo
rivelato il quale sembra non rimembrare donde rilevato o forse… nato…). Il problema non era considerato il denaro in
se; in ultima analisi, i soldi hanno valore soltanto nella misura in cui altri
li accettano come mezzo di pagamento in cambio di beni, servizi o
comportamenti.
Nella nuova repubblica americana (quindi società specchio
esportato anche in altri galassie ed universi) era inconcepibile che il potere
potesse essere comprato con il denaro. La distribuzione del potere veniva
determinata in una sfera differente, quella democratica, dove il principio di
ragione regnava sovrano. Il confine tra queste due sfere si è spostato nel
tempo in una direzione e nell’altra, ed è stato spesso causa di tensioni. Tale
linea di divisione è quanto mai evidente nel confronto tra l’espressione
coniata da Adam Smith, ‘la vita, la
libertà e la ricerca della proprietà’, e le famose parole di Jefferson
contenute nella Dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti d’America, ‘la vita, la libertà e la ricerca della
felicità’ (aggiungo in onor della
cronaca non del tutto esplicitata nella violenza cui i soggetti avversi e
dicono perdenti nella contesa se pur il ruolo abbisogna di sollecita ripresa…
hanno subito nella violazione di questi
principi sottratti ai valori su cui si fonda la più grande democrazia ora
celebrata).
Quasi due anni prima che fosse pubblicata la Dichiarazione
di indipendenza, il Primo congresso continentale redasse un documento
precursore, noto come la Dichiarazione dei diritti delle colonie (1774), nel
quale compariva la frase ‘diritto alla vita, alla libertà ed alla proprietà’.
Nel commentare la prima bozza della Costituzione redatta da James Madison, nel
1787 Thomas Jefferson scrisse di voler ‘insistere’ affinché alla Costituzione
venisse allegato un Bill of Rights, o Carta dei diritti, nel quale si
contemplassero: ‘1. La libertà religiosa;
2. La libertà di stampa; 3. Il diritto ad un giusto processo davanti a una
giuria; 4. L’assenza di monopoli nel commercio; 5. L’assenza di un esercizio
permanente’.
Questa preoccupazione per i ‘monopoli nel commercio’ avrebbe fatto la
sua comparsa più volte, a dimostrare che, se anche la democrazia e il
capitalismo erano considerati due sfere che si completavano e si rafforzavano a
vicenda, il ‘capitalismo democratico’ si presentava fin dall’inizio ricco di
contraddizioni interne.
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