Prosegue in...:
(la bellezza delle forme...) IN NATURA (2)
La storia della Filosofia ci mostra soprattutto
gli sforzi di riflessione continuamente rinnovati che lavorano per attenuare le
difficoltà, per risolvere le contraddizioni, per misurare con crescente approssimazione
una realtà incommensurabile con il nostro Pensiero.
Ma di tanto in tanto si conferma un’Anima che
sembra trionfare su queste complicazioni con la forza della semplicità, l’anima
dell’artista o del poeta, tenendosi vicina alla sua origine, riconciliandosi
con un’armonia sentita dal cuore termini forse inconciliabili dall’intelligenza.
Il linguaggio che parla, quando prende in prestito la voce della Filosofia, non è compreso allo stesso modo da tutti. Alcuni pensano che sia vago, e così è in ciò che esprime. Altri lo sentono preciso, perché sperimentano tutto ciò che suggerisce. A molte orecchie porta solo l’eco di un passato svanito…
(H. Bergson)
…Bergson era un materialista all’inizio dei suoi studi, e si fece strada nella sua attuale filosofia spiritualistica quando trovò l’inadeguatezza delle sue prime concezioni. Il suo gusto era per le scienze esatte, e in esse eccelleva a scuola. In quel periodo intendeva dedicarsi allo studio della meccanica e la sua ambizione giovanile era quella di continuare e sviluppare la filosofia di Herbert Spencer, di cui era allora un entusiasta ammiratore.
Ma mentre
studiava le formule della meccanica allo scopo di scoprirne le implicazioni
filosofiche e di utilizzarle nella spiegazione dell’universo, rimase colpito
dalla loro inadeguatezza, se non addirittura falsità, quando applicate ai
fenomeni della vita e della mente. In particolare fu turbato dal simbolo che si
verifica così frequentemente nelle formule matematiche e fisiche, e si suppone
che stia per ‘tempo’.
È rappresentato geometricamente da una linea retta proprio come le tre dimensioni dello spazio. In effetti, come sottolinea Bergson, il ‘tempo’ utilizzato nella scienza fisica non è altro che una quarta dimensione dello spazio. È una concezione puramente spaziale, una cornice vuota in cui gli eventi possono essere organizzati in ordine come gli oggetti sono disposti in fila su uno scaffale. Non c’è cambiamento o sviluppo in esso, perché passato e futuro sono lo stesso per esso.
Ora, quando
Bergson ha confrontato questa
concezione fisica del ‘tempo’ con il tempo reale o la durata così come lo
sentiva dentro di sé, ha scoperto che erano cose completamente diverse.
Per la
mente il passato non si allunga dietro al soggetto.
È
arrotolato nel presente e proiettato costantemente verso il futuro.
Le formule meccaniche della scienza sono mirabilmente adattate allo scopo per cui sono state progettate, cioè la manipolazione della materia, ma sono fuorvianti se applicate agli esseri viventi e specialmente alla mente umana, che è la più lontana dal regno della meccanica dei materiali.
Ecco la
vera libertà e iniziativa spirituale per cui creati.
L’avvocato
del libero arbitrio viene sempre sconfitto nella disquisizione con il
determinista quando lo incontra sul proprio terreno, perché l’adozione della
concezione spaziale del tempo e della concezione dinamica dei motivi riduce l’uomo
a una macchina e, ovviamente, lo rende suscettibile alle leggi ordinarie della
meccanica.
Se è
corretto rappresentare il futuro come due incroci di fronte all’individuo
indeciso che ha tirato a destra e a sinistra per vari ‘motivi’ inerenti al
concetto di ‘futuro’ posto nel piano lineare del Tempo (e/o quarta dimensione),
o da una parte e dall’altra, allora il determinista ha tutto a suo favore. Il
caso gli è stato concesso in anticipo e il libero arbitrio non può che ritrarsi
dalla sua logica.
Ma Bergson sostiene che quando il determinista finge di parlare del futuro, lo considera davvero come già passato, come definitivamente mappato e virtualmente esistente.
Lo
stesso vale per i nostri sensi, per il nostro organismo corporeo in
generale. Sono fatti per scopi pratici, non speculativi.
Le cose a
noi più vicine si vedono più grandi e chiare.
L’occhio
è utile perché la sua visione è limitata. Se fosse suscettibile a tutti i raggi, come la
nostra pelle, non dovremmo avere la vista, ma scottature. Ora la comprensione,
avendo anche un’origine pragmatica, limita la nostra conoscenza così come l’occhio
limita la nostra visione.
Consentitemi
di fornire alcuni esempi di questa limitazione dei nostri sensi e del nostro
intelletto.
Supponiamo di vedere un cavallo o un’automobile che passa per la strada (oppure della neve che cade in prossimità della nostra vista posta in un angolo trasversale rispetto alla propria discesa).
Abbiamo una
sensazione immediata del movimento in modo molto deciso (così per la neve, abbiamo la sensazione gradevole del suo lento fluire
ma non percepiamo il singolo ‘fiocco’, né tantomeno, se non più che motivati,
la composizione e disposizione dello stesso; percepiamo una massa compatta che non
codifichiamo e scomponiamo secondo frazionate transizioni di materia…; così
come a livello psicologico lo stimolo che il singolo movimento crea nel nostro inconscio
e/o subconscio posto nell’equazione del Tempo [o al di fuori ed Infinito
rispetto allo stesso] il quale riconducibile alla Forma percepita e ricreata
quale Arte che riflette la Natura riflessa…), ma il movimento stesso non lo
possiamo vedere. Dobbiamo prima analizzare il movimento (così come il singolo Elemento…); cioè, smontarlo, suddividerlo in
qualcosa che non è movimento.
Ciò
possiamo farlo con una telecamera cinetoscopio che scatta istantanee alla
velocità di cinquanta al secondo. Queste immagini successive non danno il
movimento, indipendentemente dalla rapidità con cui vengono scattate. Ciascuno
rappresenta l’oggetto fermo o, se non abbastanza veloce, l’immagine è sfocata;
ma visualizzando queste fotografie di ‘nature morte’ in rapida successione non
le percepiamo più come viste separate ma come movimento continuo.
Perché la telecamera può ingannarci così tanto?
Semplicemente
perché i nostri occhi funzionano allo stesso modo. Sono telecamere e il tempo
di esposizione della retina è più o meno lo stesso di quello delle pellicole
cinematografiche. Un oggetto in movimento osservato costantemente è
semplicemente una fascia sfocata. Ma se strizziamo l’occhio rapidamente,
possiamo intravedere le gambe del cavallo o i raggi della ruota, così come il
cinetoscopio che trasforma il movimento in immobilità con un’attenzione
intermittente.
Ora, questa
volontà di scomporre il movimento continuo in immagini successive come il
cinetoscopio è il modo in cui pensiamo.
La mente va
a scatti come l’occhio.
Quando pensiamo al corso della Storia, lo suddividiamo in blocchi di dimensioni utili, confrontando secolo con secolo, anno con anno. Questo è perfettamente giustificabile, molto utile, anzi inevitabile e del tutto innocente, a condizione che ci rendiamo conto che è una finzione logica, adattata semplicemente a scopi pratici.
Il problema sopraggiunge dal non riconoscere tale finzione. Le persone in generale, e in particolare scienziati e filosofi, sono inclini a considerare questo processo di razionalizzazione come il modo per arrivare alla realtà, invece che come un semplice strumento per gestire la realtà.
(E. E. Slosson)
Forse (o sicuramente) la realtà è ben diversa così come apparentemente razionalizzata e posta nel futuro di una retta.
Forse
(o sicuramente)
sussiste una realtà invisibile all’occhio che osserva e alla mente che codifica
attraverso un processo genetico soffocato dal Tempo imposto; noi apparteniamo
ad una realtà scritta nei nostri Geni codificati e scritti dalla Natura (e non
certo da una astratta virtuale componentistica al silicio), quando si perde [nel Sentiero verso il futuro] tale
segmento scritto nella frazione del Tempo, ci si unisce ad una realtà del tutto
meccanicistica, così come abbiamo letto nell’analisi che ne fa Junger nel suo trattato sugli orologi a
polvere…
Sì!
È pur vero che oggi siamo esposti all’incessante crescente ‘polvere della materia’ la quale cresce a dismisura come o peggio del veleno; ma paradossalmente certo rispetto al vero Tempo della Storia (così come pensa Bergson), che la polvere che componeva e misurava un tempo non meccanico era conseguito dalla stesso fluire materiale ed impercettibile della materia.
L’elemento
improprio del Futuro (inversamente) ci costringe a misurare ugual ‘polvere’ del Tempo globalmente ed
equamente distribuito, anzi, chi più progredito e siliconato, quindi aggiornato
rispetto allo stesso, avrà l’onore di una massa di polvere inversamente (s)proporzionata
rispetto all’occhio che non riesce a distinguerne il lento fluire (in uno o più processi inversi così come il
grande mondo degli Oceani) dell’incessante veleno respirato; giacché
l’occhio non percepisce, ingannato dalla telecamera o Film interpretato, del detto
veleno globalmente inalato nonché (e
successivamente) misurato.
Solo la mente logica (ancora non condannata all’esilio, o peggio, ad interminabili secoli di prigionia come chi solito parlare circa la verità di uno o più imperi…) potrà comprenderne la sproporzione, quando sarà capace ancora di suddividere i titoli di coda dalla testa… o inizio del Film, pur gli interpreti in movimento, in verità e per il vero, strizzando l’occhio commosso di Ulisse - e non certo di Polifemo - potrà comprenderne il fine dell’intera trama scritta nei particolari (interessi) dei singoli fotogrammi.
Scena per
scena, e cogliere, se ancora riusciremo a vedere con i nostri occhi del corpo
così come quelli della mente, dalla lontana America fino alla più vicina Cina,
come il loro ed altrui Tempo si compone nell’orbita dell’economico gnomone…
Pur Junger abbia acquisito una o più intuizioni storiche allo stesso o più tavoli non disgiunti da ugual medesimo motivo, aggiungo alla sua certezza la sicurezza che saremo più o meno tutti misurati, ed oltre al marchio di fabbrica avremo inciso anche il suddetto peso specifico, quindi mi alleo con lui per ciò concernente ogni tavola ben imbandita nell’economica certezza del peso forma raggiunto… e conseguito nell’atto finale di ugual Storia… (sperando solo che non sia concessa l’estradizione tradotta di cotal eretica sentenza)…
(Giuliano)
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