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Nessuna
nazione di religione cristiana ha tanti ‘santi
folli’ (jurodivye) quanto la Russia. Quella della ‘santa follia’ (jurodstvo)
è una delle forme più intense e caratterizzanti della spiritualità ortodossa,
che ha profondamente segnato la storia del Cristianesimo in Russia, lasciando
numerose tracce anche nelle arti figurative, nella musica, nel teatro, nel
cinema, nella letteratura. Si tratta di una pratica ascetica che nasce dal
lucido e consapevole desiderio di vivere il messaggio evangelico in modo
totale, ‘senza mezze misure’, e porta quotidianamente a sfidare e infrangere le
norme comuni.
Arrivata
dall’Oriente Cristiano tramite la mediazione bizantina, la ‘santa follia’ ha
avuto la sua massima fortuna nell’età antico-russa, diffondendosi non solo in
ambito monastico ma anche laico. Il teologo e medievista Georgij Fedotov (1886-1951)
indica questa ripartizione: quattro canonizzazioni nel XIV secolo, undici nel
XV secolo, quattordici nel XVI secolo, sette nel XVII secolo. Nel prestigioso
Dizionario Enciclopedico Brokgauz-Efron si legge…:
Gli jurodivye sono persone che si ritengono inviate da Dio e si assumono la pratica di una delle forme della pietà cristiana, la ‘follia in Cristo’ (jurodstvo). Non solo rinunciavano volontariamente alle comodità, alle gioie della vita terrena, ai benefici della vita sociale e alla parentela stessa, ma ricevevano su di sé una sorta di follia: non erano sapienti né decorosi, non provavano vergogna e si permettevano persino azioni provocatorie. Questi profeti non mancavano di dire schiettamente la verità ai potenti del loro mondo, denunciavano le persone ingiuste e dimentiche della legge divina, rallegravano e consolavano i giusti e i timorati di Dio. Spesso gli jurodivye giravano tra i depravati della società, tra la gente persa agli occhi dell’opinione pubblica, tra i molti rinnegati cui era vietata la via della verità e del bene. Quasi tutti gli jurodivye erano dell’Est e ben pochi di loro erano monaci in Russia. Le parole dell’Apostolo ‘Noi stolti per Cristo’ (1 Cor. IV, 10) servirono da fondamento e da giustificazione alle azioni dello jurodstvo’.
‘Folli in Cristo’ non si nasce, si diventa. Divincolandosi in modo graduale ma irreversibile dai beni e dalle ambizioni terrene, i ‘chiamati’ vivono consapevolmente una sempre più intensa imitatio Christi che li porta ad assumere con indefessa costanza la maschera della follia per testimoniare in modo tangibile il Vangelo, arrivando anche a disprezzare il decoro dell’aspetto fisico e comportamentale. La volontaria rinuncia della ragione - il dono più prezioso per l’essere umano- in nome della fede, porta i ‘chiamati’ a compiere una serie di ‘follie’, di cui si ha attestazione innanzitutto nelle agiografie russe: vivere nell’estrema indigenza, andare in giro sporchi e malvestiti o addirittura nudi, portare pesanti croci e catene per la mortificazione della carne, tenere barba e capelli incolti, esporre il corpo alle intemperie dell’inverno e alla calura estiva, mangiare carne il Venerdì Santo, ballare con le prostitute, distruggere la merce dei venditori al mercato, etc.
Le agiografie russe attestano che la vocazione alla ‘santa follia’ non è cosa semplice né immediata: soltanto i veri ‘chiamati’ riescono, costantemente sorretti dalla forza della fede, a disciplinare il corpo e a mantenere con lucidità quel delicato equilibrio interiore che evita la caduta nella trappola più insidiosa: l’orgoglio spirituale. Con umiltà, abnegazione totale e rinuncia a ogni dignità, i ‘santi folli’ simulavano una pazzia umana per imitare quella che fu la sacra stultitia descritta nelle epistole di San Paolo ‘Noi stolti a causa di Cristo, voi sapienti in Cristo; noi deboli, voi forti; voi onorati, noi disprezzati. Fino a questo momento soffriamo la fame, la sete, la nudità, veniamo schiaffeggiati, andiamo vagando di luogo in luogo, ci affatichiamo lavorando con le nostre mani. Insultati, benediciamo; perseguitati, sopportiamo; calunniati, confortiamo; siamo diventati come la spazzatura del mondo, il rifiuto di tutti, fino adoggi’ (1 Cor. IV, 10-13).
A prima vista, suscitavano curiosità per l’inconsueto abbigliamento, ilarità per lo strano comportamento, scherno per la candida semplicità, ma anche compassione per l’indigenza estrema, e infine rispetto. Con la loro eccentricità, volevano scuotere il mondo delle ipocrisie e delle convenzioni, sostenendo la verità cristiana più autentica e profonda - quella che va oltre le comuni apparenze. In tale prospettiva, il segno esteriore più tangibile è lo spoliamento totale, che li portava a vivere la nudità con naturalezza, senza alcun imbarazzo né falso pudore, lanciando un monito cristiano al lusso e allo spreco.
Rinunciando all’identità sociale che l’abito da sempre assegna, i ‘santi folli’ rifiutavano sdegnosamente qualsiasi forma di decoro esteriore: molti sono raffigurati nelle icone con un panno drappeggiato sui fianchi (ad es. Maksim da Mosca), o con una camicia di canapa sfrangiata e lacera simile al cilicio(ad es. Arsenij da Novgorod). All’imbarazzante aspetto fisico, che confermava a colpo d’occhio la loro totale estraneità ai parametri della quotidianità, si associavano modalità comunicative non convenzionali e dagli imprevedibili tratti istrionici (imprecazioni, risate, silenzi, etc.). Talvolta queste stravaganze comportamentali li rendevano anche vittime della collera della gente (derisione, percosse, insulti, etc.). Nella loro esistenza fatta di paradossi, era assolutamente naturale assumere - in nome della fede -un aspetto e degli atteggiamenti provocatori che rivelassero le false apparenze: era un esercizio ascetico, logico e coerente, in cui perseverare - a costo di essere fraintesi, derisi, emarginati e addirittura puniti.
Secondo la definizione semiotica di Boris Uspenskij, questo è un antico comportamento didattico che rende i ‘santi folli’ gli unici, nella loro Alterità, in grado di svelare il lato Altro della realtà. Anche la carità era spesso manifestata in un modo molto particolare: i ‘santi folli’ chiedevano l’elemosina ma la distribuivano a chi era ancor più bisognoso, sgridavano i venditori disonesti al mercato e gettavano via i doni ricevuti da chi faceva falsa carità. Le agiografie raccontano che il patrono di Mosca, Vasilij il Beato (1468-1552), diede senza esitazione del denaro a un mercante vestito con un elegante mantello rosso. Non molto tempo, dopo si scoprì che l’uomo d’affari era in rovina e non possedeva nient’altro che qualche abito lussuoso, stava morendo di fame ma si vergognava a chiedere la carità: l’unico ad aver realmente compreso il suo bisogno fu il più noto ‘santo folle’ della città.
Un’emblematica scena del film Ivan il Terribile (URSS 1945) di Sergej Ejzenstejn (1898-1948) mostra Vasilij il Beato che, seminudo a carico di catene, riesce a entrare nel palazzo reale durante lo svolgimento del banchetto nuziale dello zar: egli si fa largo tra i boiardi sfarzosamente abbigliati e rivolge parole tuonanti al giovane Ivan, preannunciando un imminente incendio nella capitale. Va notato che la ‘santa follia’ è caratterizzata in modo inequivocabile dal dono della profezia. Nell’immaginario collettivo russo, infatti, si pensava che i ‘santi folli’ avessero ricevuto la capacità di scrutare a fondo l’anima delle persone. Questi bizzarri asceti erano abituati ad accogliere senza esitazione, per consolare e guidare, persone di ogni tipo ed estrazione sociale. Ma non esitavano a sgridare, anche con modi irriverenti e parole offensive, chi comunque non si allontanava dal peccato.
Talvolta
la predizione di un castigo era l’unica e la più efficace soluzione per
convincere chi era reticente e non ascoltava i loro consigli. Ecco perché erano
considerati anche infallibili profeti in grado di rivelare con estrema
esattezza gli avvenimenti futuri. Il dono della profezia, infatti, permetteva
loro di formulare consigli basati su quanto sarebbe effettivamente accaduto.
A partire dal XVIII secolo, grazie alla figura di Ksenija da San Pietroburgo, cominciano a essere attestati anche vari casi ‘al femminile’. Di solito le icone le raffigurano le ‘sante folli’ in laceri abiti contadini; talvolta le presentano anche con indumenti maschili, ponendo nel travestitismo -e non nella nudità - il tratto esteriore più caratterizzante della loro Alterità. I tratti della ‘santa follia’ ricorrono nella narrativa ottocentesca dei maggiori autori russi(Puškin, Dostoevskij, Tolstoj, Bunin, Leskov etc.): la natura interiore di molti dei loro personaggi, infatti, ha un fondamento mistico che si ricollega alle secolari tradizioni e alla religiosità popolare russa.
La
‘santa
follia’ ha vissuto i suoi momenti più tragici nel XX secolo epoca, come noto, davvero difficile per la
sopravvivenza della fede cristiana in Russia. Assai delicata è la fase che
riguarda lo studio delle attestazioni in età sovietica, con particolare attenzione
alla pratica di internamento negli ospedali psichiatrici, nata con l’intento di
trattare la follia ‘per Cristo’ come una qualsiasi forma di malattia mentale
(es. il beato Afanasij Andreevic Sajko). Ciò rivela non solo l’intento di
svilimento, ma addirittura di annientamento, del contenuto di fede che è la
base imprescindibile di questa pratica ascetica tanto radicata in Russia. Molti
pregevoli studi sulla ‘santa follia’ sono stati realizzati da intellettuali russi che hanno scelto
l’emigrazione. Ad es. negli Stati Uniti sono state pubblicate importantiopere
di Fedotov e di Elena Izvol’skaja (Hélène Iswolsky, 1896-1975).
Lo studio della storia del Cristianesimo in Russia tra perestrojka e glasnost , e poi all’inizio del secondo millennio, permette di scoprire modi e forme di sopravvivenza della ‘santa follia’ in anni cruciali per il paese, e di comprendere sua attuale la riscoperta. Va anche notato che, in anni recenti, è stata avviata la ristampa delle opere di letteratura religiosa che erano state messe all’indice durante il regime sovietico. Alla riedizione delle versioni canoniche delle agiografie si è affiancata la ristampa dei più importanti studi di fine XIX inizio XX secolo sulla spiritualità della Chiesa ortodossa russa e le canonizzazioni (ad es. Emel’jan Poseljanin, Vasilij Kljucevskij, Evgenij Golubinskij).
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